27 dicembre 2023

Dopo la miseria. Gussola, in galera 1949-1950

 Il vento che durava intere giornate in quella regione tutta aperta e piatta, ma coltivata in ogni suo cantuccio era un avvenimento insolito e inatteso. Quando capitava, era all'inizio della primavera; faceva scoppiare le gemme luccicanti dei gelsi, portava l'odore di fuochi lontani, labili echi di suoni sconosciuti e sensazioni di mutamenti in corso. I ragazzi uscivano dalle cascine correndo a braccia aperte per sentirsi sospinti dall’aria, le erbe ondeggiavano mulinando, gli uccelli colti di sorpresa parevano alla deriva e nel volo controvento arrancavano con fatica; tutti gli alberi ancora brulli si divincolavano sotto  quella forza invisibile e sonora. Nella chiesa ombrosa qualche vivace barbaglio di luce colorata mandava nuovi riflessi anche dentro ai confessionali spalancati; perfino nel minuscolo ospizio del paese, dove i vecchi abbandonati e incontinenti erano accuditi dalle povere suore, non ci sapeva più di orina. Sembrava che l'aria pulisse ogni cosa e la luce irrompeva abbagliante nell'androne polveroso della scuola, come dentro le vaste finestre del municipio. Eppure il periodo comportava forti disagi e preoccupazioni soprattutto per i braccianti senza terra, i quali troppo spesso si trovavano anche senza lavoro. I prezzi calmierati con le tessere annonarie non venivano più applicati, l'anno prima il pane, da 65 Lire al chilo, era passato a 125 Lire, il doppio, e stava crescendo ancora. Il governo aveva provveduto qualche tempo addietro con una indennità nello stipendio chiamata “caropane”, ma praticamente riguardava solo gli impiegati statali e tutti gli altri dovevano arrangiarsi da soli. 

Una persona pacata e avveduta non partirebbe mai per colpire con una bastonata la schiena di chicchessia, tanto meno la schiena di un rappresentante delle istituzioni nazionali. Però in una situazione concitata, dopo aver sofferto miseria e sopraffazione, mentre il suddetto rappresentante sta difendendo gli interessi di antichi capi prepotenti, minacciati da coloro che prima essi opprimevano,  allora può verificarsi qualcosa fuori dal consueto. I carabinieri, pur nelle loro impeccabili divise, non erano tutti uguali, ma si distinguevano l'un l'altro per minimi particolari, in paese, nella piccola caserma, ce n'era uno che portava due vistosi mustacchi neri e lo chiamavano “Il Barbis”, cioè il “Baffo”. Per impedire disordini, egli era accorso assieme con due colleghi alla casa di un agricoltore, assediata da una turba di scioperanti che chiedevano al loro datore di lavoro il pagamento del “caropane”, ma subito dovette vedersela lui con qualche decina di dimostranti: chi lo sospingeva, chi gli impediva il passo, chi lo pressava da un lato e chi dall'altro, qualcuno gli urlava in faccia, un altro dietro le orecchie, un vecchio gli mostrava un randello in segno di minaccia, il Barbis non poteva badare a tutto. Il figlio dell'Evelina, Orfeo, era alle spalle del carabiniere e capitò casualmente a portata di mano di un bastone; avvertì tutto in un baleno: si sentì stuzzicato, provocato, trascinato, avrebbe voluto, non doveva, ma poteva, insomma in quella frazione di secondo vibrò la bastonata sulla schiena del Barbis e se la svignò. Quando il carabiniere, barcollando, cadde a terra, sulla scena ci fu un momento di smarrimento e gli altri due militari riuscirono momentaneamente a tener testa alla situazione. 

Ben presto arrivarono rinforzi di polizia dal capoluogo, il paese venne bloccato e iniziarono le ricerche dei colpevoli. Quattro carabinieri ebbero l'impressione che un'abitazione fosse il nascondiglio  e vi entrarono; quando la perquisizione arrivò alla soffitta, il peso dei militi la fece crollare parzialmente e un altro carabiniere subì lievi ferite; intanto un “gruppo di dimostranti, temendo di essere arrestati, penetravano a forza nei locali della Cooperativa e si rivolgevano alla sorella del banconiere, Ines Capelli, fu Antonio, di anni 24, domandandole di accompagnarli in solaio per sfuggire ad un eventuale arresto.......Il movimento non era sfuggito ai carabinieri, che fecero irruzione nella Cooperativa e si avviarono verso la soffitta. Ad un certo momento uno di essi si vide accerchiato, impugnava la rivoltella e lasciò partire un colpo” che raggiunse la sorella del banconiere, ferendola all'addome. Il giorno dopo nel paese  furono proibiti dalle autorità, per tutto un mese, assembramenti e cortei. Fino a poco tempo prima più di un poveretto si era imbattuto sulla traiettoria di una bastonata o di un calcio nel sedere elargiti da un agrario un po' superbo e tronfio e non era mai successo niente, quel giorno una sola bastonata scappata ad un poveretto riuscì a portare in galera ben  sessantaquattro sventurati. Già nell'estate di quell'anno infatti ci fu il processo e nell'estate dell'anno successivo i sessantaquattro ritenuti responsabili, perché più agguerriti nella richiesta del caropane e nella difesa dei loro diritti, erano già condannati a qualche anno di reclusione ciascuno. Nelle loro condizioni, se non ci fosse stata la solidarietà dei compagni, un padre in prigione lasciava la propria famiglia completamente senza mezzi per sopravvivere. 

Erano gli ultimi anni comunque che il mondo si mostrava pulito. Non esistendo ancora la plastica di largo consumo ed essendo il commercio limitato alle necessità più impellenti, praticamente tutti i rifiuti risultavano riciclati: la carta serviva per accendere il fuoco in stufe e camini e anche per funzioni igieniche; i barattoli di lamiera erano utilizzati per tappare damigiane e per le attività orticole, i contenitori in vetro per conservare alimenti; gli avanzi di cucina erano destinati agli animali da cortile, ai polli e ai maiali. La gran parte del cibo consumato in paese era, come si direbbe ora, tutto a chilometro zero, derivava infatti quasi sempre da risorse locali: pane, latte, carne, polenta,  pesce  d’acqua dolce, rane, frutta e ortaggi; nelle ortaglie d'estate abbondavano tanti tipi di verdura e di legumi, d'inverno non si trovava più nulla, tranne che qualche cavolo-verza e un po' di spinaci. Le massaie che ne avevano la possibilità quindi d’estate si ingegnavano a preparare conserve da riporre in dispensa per la brutta stagione, il risultato non sempre era eccellente, però con il pomodoro, che allora era ancora intensamente saporito, la conserva riusciva quasi sempre ottima. La mamma di Egidio non aveva l'orto e acquistava il suo necessario soprattutto da una contadina, la Nina, la quale le riservava prezzi veramente vantaggiosi; per ricambiare il favore, d'estate Egidio era mandato dalla madre a casa di Nina ad aiutare nelle operazioni che si conducevano per fare la conserva di pomodoro. Il suo compito era quello di spingere la piccola manovella della pressetta a vite che strizzava i pomodori cotti per estrarne la polpa rosso fuoco. Lui personalmente aveva anche altri interessi, perché poteva usufruire delle susine che occhieggiavano dagli alberi dietro al fienile. Si lavorava a cielo aperto nel vasto cortile: sorretta da un treppiede sopra il fuoco qua c’era la grande pentola per la cottura e per la sterilizzazione, là, appoggiata su uno sgabello, la bacinella per la raccolta, non si usavano vasetti in vetro per contenere il prodotto da conservare, ma bottiglie  recuperate. Con un grembiulone sbiadito e un fazzoletto grigio in testa Nina sovrintendeva a tutti i lavori. Sommessamente pigolava  la tacchina; i polli vagabondavano liberi in cortile: di razza indefinita, avevano piumaggi disparati, rossiccio, bianco, chiazzato, biondo, nero e punteggiato; non uno uguale all'altro. Per becchettare qualche cascame rosso, una buccia o un semino di pomodoro, si avvicinavano guardinghi agli operatori indaffarati, si fermavano a un passo di distanza, un balzo, una beccata fulminea e si allontanavano di poco, pronti a ritentare un'altra volta. Un asino imbrigliato davanti alla sua stalla era tormentato da un tarlo, una grossa larva, che rodeva all’interno di uno zoccolo sul quale l'asino zoppicava, esso veniva curato con il verderame per le viti da un povero bergamino inebetito dalla miseria.  

Portare la barba lunga era segno di miseria e sciatteria oppure di esibizionismo stravagante e quindi tutti gli uomini si radevano. Non c'erano rasoi elettrici e la barba si curava spesso nelle botteghe dei barbieri che in seguito si sarebbero chiamati “parrucchieri”. In tutte ci sapeva di cipria un po' dozzinale, si parlava soprattutto di sport e il rasoio veniva affilato strofinandolo sopra una cinghia di cuoio. Quando Egidio andava a farsi tagliare i capelli, il barbiere gli faceva un sacco di domande. Ticchettavano le forbici tra i capelli e il barbiere-parrucchiere gli chiedeva:” Che scuola fai?” ( In quale classe sei). “In seconda classe” (elementare) rispondeva. “Hai un maestro o una maestra?” “Una maestra, la maestra Rachele”. Tutti le conoscevano per nome le maestre della scuola locale: abitavano  in paese, erano già anziane, educate inconsapevolmente ai valori del Risorgimento italiano, di cui anche i loro genitori avevano avvertito l'esile eco proveniente da città lontane. “E’ buona?” Continuava il barbiere. “Si, ma si arrabbia e a volte ci sgrida; io sto attento, perché ho paura che distribuisca qualche scappellotto.” “ Mi ricorda la mia, la maestra Primina; quella sì che era buonissima; ci sopportava anche se eravamo somari e pasticcioni. Fatto, 120 Franchi (Lire)! Adesso devo andare a fare la barba al babbo di Celso che è morto ieri”.

Si capiva che nel suo insieme la popolazione di Gussola era abbastanza dinamica, anche perché di fianco alla scuola funzionava una pesa pubblica per carri. Era uno strumento che facilitava il commercio e stimolava l'economia. Il comune l'aveva data in gestione all'oste chiamato Ciociu; sua moglie, la Ciocia, gestiva un'osteria che si apriva sulla via principale. Il fatto era capitato proprio lì. 

Attraverso il fumo acre di tabacco plebeo tremolava una luce giallognola e fioca sopra i tavoli spogli, assediati dai giocatori di carte e dai bevitori di vino Fortana. Commentando il gioco, si parlava ad alta voce. Nella piccola osteria del paese l'aria era greve e c'era affollamento, perché fuori un temporale di fine estate imperversava con raffiche di pioggia, vento e tuoni furibondi. Ormai era sera e all'improvviso con un urlo minaccioso: “Ohi!”, si palesò un ladro entrato dalla porta posteriore: egli si celava avvolto in un tabarro scuro con un cappellaccio calcato sulla fronte. La sorpresa lasciò attoniti i presenti, il ladro non parlava, ma agiva velocemente. Fuori pioveva a dirotto, ma i più arzilli notarono che quel maledetto era completamente asciutto; rubò tutti i soldi alla Ciocia  e scomparve, uscendo dalla porta che dava nel buio profondo del cortile posteriore. Il  paese, indignato, si interrogò ancora molte volte e a lungo, cercando di capire chi fosse stato il manigoldo, ma non si riuscì mai a scoprirlo. (6-continua)

 

Giorgio Peri


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commenti


Fausto Grossi

27 dicembre 2023 17:18

Sono del 02/05/1948 Gussolese e abito a isola di Gran Canaria. Questi racconti mi ricordano la mia infanzia mio padre. Giacumen(Giacomo Vittorio) mia madre Sandra Tolomei

Giorgio aschieri

28 dicembre 2023 06:12

Io sono Giorgio, figlio di Angelo Aschieri di Borgolieto nato il 19 giugno del 1935. Lo hai conosciuto?

Giorgio Peri

30 dicembre 2023 13:16

Ciao, Aschieri di Borgolieto è un nome che ricordo certamente, però non collego il nome con un volto, perché sono molti anni che sono assente dal mio paese.

Michele de Crecchio

28 dicembre 2023 21:49

Bravissimo Giorgio, detto giustamente "il Gusòla" nella nostra classe di liceali ai quali i privilegi familiari non consentivano ancora a tutti di avvertire le profonde ingiustizie delle differenze di classe.

Sara

29 dicembre 2023 08:22

Sembra di ascoltare il commento di mio padre Attilio. Suo padre Giovanni Ramella, assieme allo zio Antonio e allo zio Mario avevano aperto il primo forno del paese. Sembravano ricchi rispetto a buona
parte della popolazione ma era una vita di grande sacrifici

Peri Giorgio

30 dicembre 2023 13:19

Era da loro che andavo con "la sporta" a prendere il pane quando avevo circa sei anni.

Iles

29 dicembre 2023 15:53

Bellissimo…dove si trova la continuazione 6 indicata a fine articolo?
Iles da PIADENA