27 marzo 2021

Il primo torrone con albume è nato nell'Andalusia araba

Una cosa è il croccante, altra cosa è invece il torrone con dentro l’albume, dicono. Anche ammettendo che il primo l’abbiano portato in Italia gli arabi, il secondo, pur derivando dal primo, sarebbe senza dubbio di invenzione cremonese, dicono. Ne siamo davvero sicuri?

Se è vero che i prototipi del torrone come la halva o la cubbaita (giunti in Italia nel Medioevo dall’Oriente e contenuti nelle enciclopedie dei medici arabi Ibn Butlan e Ibn Jazla) sono tutti composti soltanto da miele, zucchero e semi oleaginosi (mandorle, pistacchi o noci), notizie sconvolgenti si rinvengono nel periodo della dominazione araba della Spagna. E non riguardano il leggendario turùn (sulla cui inconsistenza storica abbiamo già scritto).

Ci riferiamo invece ad un anonimo manoscritto magrebino di epoca medievale (il Kitab al-tabij fi-l-Magrib wa-l-Andalus fí asr al-Muwahhidin), stranamente poco o per nulla considerato dagli studiosi italiani, del quale esistono due sole traduzioni in lingue moderne: quella di Ambrosio Huici Miranda (Traducción española de un manuscrito anónimo del siglo XIII sobre la cocina hispano-maghrebi) e quella di Charles Perry (The Anonymous Andalusian Cookbook). Il manoscritto, prodotto nella Spagna del XIII secolo, riporta circa cinquecento ricette arabe di epoca almohade diffuse in area iberica prima della Reconquista cristiana, inclusa quella di un dolce secco definito in arabo Mu’aqqad, del quale riportiamo la ricetta integrale nella traduzione del Perry: «Mu’aqqad con il miele: metti una porzione di miele di favo a fuoco moderato finché non si scioglie, quindi filtralo e rimettilo al fuoco (rimuovendo la schiuma). Quindi sbatti [a neve] gli albumi di venticinque uova se il miele è filtrato e trenta se non lo è, quindi gettali nel miele. Mescola il ​​composto con una frusta da pasticceria fino a farlo sbiancare ed addensare [sul fuoco]. Infine aggiungi una rati [libbra] di mandorle pelate e, una volta rappreso, servilo, a Dio piacendo»Put a portion of comb honey on a moderate fire until it dissolves, then strain it and return it to the fire [removing the scum]. Then beat [stiff] the whites of twenty-five eggs, if comb honey, and thirty if not, and throw them into the honey. Beat the mixture with a confectionery whip until it whitens and thickens [over the fire]. Then throw in a rati [1 raf/=468g/1 lb] of peeled almonds and serve it, God willing»). Il valore di questo manoscritto è inestimabile ai fini della storia del torrone: è il primo testimone medievale che si conosca a menzionare la variante del torrone contenente, assieme al miele ad alle mandorle, anche la chiara d’uovo.

E' da questa variante che derivano i torroni storici di Castuera, Jijona ed Alicante. Ed è assai probabile che questo dolce fosse il chiacchierato turùn. Non si trovava nel trattato di Abenguefith e non doveva chiamarsi turùn (termine che non compare in nessun manoscritto arabo medievale di area iberica), ma, appunto, Mu’aqqad: il nome turùn, più che all’arabo, è avvicinabile ai volgari romanzi, dal momento che può essere messo in connessione con il verbo latino torrere («disseccare, cuocere, tostare»), e con il suo derivato spagnolo turràr; e proprio da turràr, secondo il Tesoro della lingua castigliana composto nel 1611 da Sebastián de Covarrubias, deriverebbero le parole turròn e torrone. Il termine turùn, se mai esistette, potrebbe essere stato il primitivo nome con cui il dolce arabo padre del torrone iniziò ad essere indicato nei volgari delle popolazioni iberiche tra XII e XIII secolo (oppure, assai meno verosimilmente, gli arabi di Spagna si servirono, arabizzandolo, di un termine del volgare iberico per indicare il proprio dolce mandorlato).

Spostandoci ora all’ombra del Torrazzo, si può ben constatare come la variante araba con albume contenuta nel manoscritto magrebino, presenti una costituzione sorprendentemente identica a quella del torrone che sarebbe stato “inventato” due secoli dopo a Cremona, per la tavola del banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Secondo la nota leggenda (risalente probabilmente non all’Umanesimo bensì all'inizio del secolo scorso), il torrone sarebbe nato grazie all’estro di uno chef de cuisine che il 25 ottobre 1441 ideò per l'occasione un dolce a base di miele, albume d'uovo e mandorle che riproduceva il Torrazzo (mentre la presenza del torrone cremonese nei documenti non risale a prima del ‘500). Si riteneva che in realtà già dal Medioevo in città circolasse un tipo di torrone (portato da Federico II e dalle traduzioni dall’arabo) la cui ricetta non prevedeva l’utilizzo dell’albume (quindi più simile a un croccante) e che perciò a Cremona fosse spettata la palma di aver aggiunto la chiara d’uovo, dando avvio così alla storia del celebre turòon. Ma la verità sconvolgente del “manoscritto magrebino” retrodata l’invenzione della variante con albume di almeno tre secoli, collocando anche l’origine di questa variante in ambito islamico. Per capire come tale variante sia giunta a Cremona (dato che non si trova in nessuna delle traduzioni dall’arabo prodotte alla corte di Federico II, né in quella di Giambonino da Cremona) occorrerà considerare gli intensissimi commerci (tra XII e XIV secolo la potenza economica di Cremona era all’apice e qui giungevano merci da tutto il Mediterraneo), unitamente ai frequenti rapporti intrattenuti con la Spagna durante il Basso Medioevo. Fra XIII e XIV secolo la variante con l’albume deve aver preso piede in città con diffusione sempre maggiore, sostenuta verosimilmente dall’antica consuetudine delle spezierie cittadine di radunare a fine giornata gli albumi, avanzati dalla mescita del tuorlo d’uovo all’ostrica, i quali venivano poi uniti al miele di erbe mediche ed alle mandorle tostate (inizialmente il torrone in città venne prodotto proprio nelle spezierie, oltre che nelle case).

E’ definitivamente assodato quindi che il torrone cremonese non fu inventato a Cremona, in occasione del matrimonio quattrocentesco. Piuttosto (ammesso che la leggenda abbia un fondo di verità) in quell’occasione esso deve aver rappresentato, agli occhi dei gastronomi cremonesi, il dolce con la costituzione più idonea per la creazione di una torre che non rischiasse di crollare addosso agli sposi (del resto chi costruirebbe una torre di pan di spagna o di frolla?). Non vi sono documenti sulla leggenda cremonese, ma sappiamo che nell'anno 1529 fu effettivamente servito ad un banchetto un dolce a forma di torre (lo riporta Cristoforo di Messisbugo, cuoco, scrittore della Casa de Este e organizzatore di sontuosi banchetti). E non è da escludere che la trouvaille gastronomica cremonese, se esistita, abbia voluto condensare nel medesimo nome un duplice riferimento: alla forma della “Grande Torre” che ha reso Cremona famosa nel mondo, ma anche l’etimologia (torrere) del dolce secco dalla variante araba di Spagna.

Michele Scolari


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