In un libro quando Salsomaggiore produceva e commercializzava il sale
È in libreria l’ultima “fatica” di Francesca Zancarini, studiosa della storia di Salsomaggiore Terme, pubblicata da Tipocrom di Parma (104 pagine, 20 €). Il titolo del volume è “Terra de salsis”, il che fa capire immediatamente che del sale di Salso si parla, ossia della sua produzione e commercializzazione in età preindustriale.
«Riconoscere il valore del nostro passato rende più chiara la visione del futuro». Scrive Zancarini in quarta di copertina ed è proprio un viaggio nella storia quello che ci fa attraversare oltre 2000 anni di vicende e personaggi legati al più prezioso dei tesori che permetteva, sino alla metà del 1800, di conservare i cibi deperibili, oltre ad aver segnato le produzioni più tipiche e famose del nostro territorio, come salumi e formaggi.
«La storia economica e sociale delle terre dell’Emila occidentale situate tra Parma e Piacenza – scrive l’autrice - è stata per secoli condizionata da un elemento di fondamentale importanza per l’economia non solo locale, ma di tutta l’Italia settentrionale: il controllo dei pozzi per la produzione di sale situati nel territorio di Salsomaggiore».
Così, dagli etruschi ai celti, dal dominio di Roma alla caduta dell’impero, alla costruzione di primi castelli, fino allo “Stato Pallavicino” che dà un’organizzazione alla produzione e al mercato del sale, per arrivare a Maria Luigia, al Regno d’Italia e alla cessazione della vendita del sale di Salso. Con una salinità 4 volte superiore a quella del Mar Mediterraneo e una concentrazione di iodio, bromo e zolfo molto elevata, il sale di Salso può essere utilizzato in quantità minore per conservare gli alimenti e questo potrebbe spiegare la tradizione del prosciutto dolce di Parma. Furono due le famiglia salsesi a gestire le saline: Dalla Negra e Macino, mentre proprio in città erano i pozzi e i vasi: l’attuale via Mazzini era fiancheggiata a sinistra dai pozzi e dai vasi dell’abbazia di Chiaravalle della Colomba e a destra dal pozzo più importante: il “Pozzo della ruota”. All’inizio dell’attuale via Romagnosi erano la fabbrica e i pozzi dei marchesi Sforza Fogliano di Pellegrino e poi quelli di Rocca Bianca e Bianca Farina dei signori di Roccabianca e Zibello. Quindi i pozzi di Brugnola di sotto e di Brugnola di sopra (Largo Roma, via Marzaroli e Largo Battisti; quindi Pozzo e vaso di Pozzolo della Noce a Contignaco. Con il ducato dei Farnese inizia la prima attività produttiva, trasformando il villaggio in una vera e propria fabbrica diffusa. Nel 1830, all’epoca di Maria Luigia erano attivi 50 pozzi e la produzione di sale raggiungeva le 1435 tonnellate all’anno.
Dal 1923 l’estrazione avveniva mediante il “gas-lift”, ovvero il gas spingeva in superficie l’acqua da cui si estraeva il “Sale superiore da tavola Niveo”. Con l’utilizzo dell’acqua madre per le cure termali, che ebbero un aumento esponenziale, il sale divenne prodotto residuale finché, nel 1964, ne cessò la commercializzazione. Insomma, nel libro di Francesca Zancarini trovate tutto, ma proprio tutto ciò che racconta la storia del composto chimico (tale è il cloruro di socio) che ha dato addirittura il nome alla città di Salsomaggiore, con moltissime tavole a colori e note rigorosissime: un racconto che mette insieme, è il caso di dirlo, due delle caratteristiche peculiari della nostra terra d’Emilia: saperi e sapori!
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commenti
Pagliari waifra
10 giugno 2022 12:51
Un libro che vale la pena averlo è leggerlo scritto da una persona innamorata della propria città che evidenza quanto ci sarebbe da scoprire e da conoscere a Salsomaggiore città termale importantissima purtroppo tanto bistrattata