Quei compensi per le opere che Verdi voleva fermo posta a Cremona
“Caro editore se vuoi il contrattino caccia il soldino”. L'opera del Rigoletto valeva 14000 franchi al momento della sua composizione nel 1850 – una corretta conversione odierna risulta difficile ma è di circa 50000 euro - da liquidare con 700 napoleoni d'oro del valore di 20 franchi cadauno, parola di Giuseppe Verdi. Il napoleone d'oro o marengo secondo la tradizione di metà XIX secolo, dovevano essere versati fermo posta dall'editore a Cremona, un sostanzioso acconto di 300 appena terminata la “prima assoluta” presso il teatro La Fenice di Venezia, il resto, a colpi di 50 marenghi al mese, da depositare rigorosamente ogni primo del mese, sempre in fermo posta a Cremona.
Ovviamente il totale escludeva eventuale diritti successivi riguardanti lo spartito, anche se, dato che a Venezia erano commercianti da sempre, gli impresari de La Fenice avevano saputo infilare nel contrattino per la rappresentazione della “prima” un piccolo punto a loro favore, in pratica il testo dell'opera sarebbe rimasto a disposizione del teatro anche per le stagioni successive a quella della dell'esordio. Il contratto con cui le vicende del Duca di Mantova, del buffone di corte Rigoletto, di Gilda e Sparafucile diventano opera su un palco ad uso e consumo dei melomani veneziani segue le scelte fatte anche per lo Stiffelio, stesso concetto stesso motus operandi, quindi caro editore Ricordi, o cacci il grano o il Rigoletto te lo scordi, andando in rima teatrale.
Cremona era la base operativa di Giuseppe Verdi, qui il Maestro si presentava quasi più spesso che neanche a casa sua, qui aveva amici, amanti (si dice), colleghi, faceva ampio uso dell'ufficio postale per tutta la sua corrispondenza e della banca per incassare e portare a casa la pagnotta quotidiana. Giuseppe Verdi è figlio della campagna e sa bene che quella campagna premia il lavoro duro ma con patti chiari, van bene i sussurrati commenti di apprezzamento delle nobildonne davanti alla passione di Gilda, van bene le arie libertine del Duca di Mantova da canticchiare sulle gondole ma il Maestro, con i suoi spartiti, aveva la vista lunga e un limitato concetto di trattativa. Io sono Giuseppe Verdi, se vuoi le mie opere paghi quanto e come dico io, altrimenti trovati un altro che sia in grado di scrivere musica come faccio io. Detto così sembra quasi brutale ma in effetti il ragazzo di Busseto non amava discutere, stante alla sua corrispondenza, ciò che gli era dovuto. Nel 1856 ebbe a dire a Ricordi che, se l'editore non era convinto dei 30000 franchi per una sua opera, andavano bene anche 20000 ma, in quel caso, avrebbe dovuto riceverne altri 16000 entro maggio, l'affare era quello.
Il Verdi compositore dei compositori era anche un commerciante ed un imprenditore, sempre in movimento tra Busseto, Cremona, Verona, Venezia e Milano, di corsa con le carrozze trainate da cavalli per seguire le assegnazioni delle parti nelle sue opere o discutere compensi e diritti d'autori, quando i mezzi di trasporto erano più lenti gli alberghi delle città rappresentavano il momento di riposo per ogni commerciante.
Nella corrispondenza con Ricordi lo informa anche di alcune necessità personali, dopo un soggiorno a Parigi vorrebbe far tornare a Cremona anche alcuni mobili e i suoi libri, La Bibbia, La Divina Commedia, tutte le opere di Manzoni e L'Ossian dello scozzese James Macpherson, tradotto: caro editore organizza il trasporto di tutto, grazie mille.
Verdi è elegante nei modi, come di par suo, ma fermo nelle necessità come le moderne rockstar, i denari, prima di tutto, poi 20 franchi per un calesse cremonese, un abbonamento di 3 mesi alla Gazzetta di Milano, un barcaiolo per la Peppina (Giuseppina Strepponi) per farle attraversare il Po, ma anche un flacone di Belladonna, rimedio omeopatico per i colpi di freddo anche se, come ci tiene a ricordare, “non preoccupatevi non sto diventando omeopatico”, Il 1848 italiano è finito da poco, il Regno Lombardo Veneto dipendente dagli austriaci mette le cose in chiaro anche con le rockstar, perché capisce che solo reprimendo con ferocia i moti indipendentisti come con i Martiri di Belfiore quella parte dell'Italia non avrebbe creato dei grattacapi enormi nella gestione del potere politico.
La polizia segreta austriaca non fa sconti neanche alle rockstar, si presenta all'improvviso a Busseto o a Villanova d'Arda con tesserino e gendarmi, analizza e controlla ogni parte dei lavori di Verdi. Il canto e la musica vanno bene, ma ciò che austriaci cercano sono quei messaggi subliminali che potrebbero fomentare moti indipendentisti. Sei il musicista più seguito del XIX secolo caro Giuseppe, potrebbe essere che, tra il chiaro e lo scuro, tu voglia scagliarti contro il Governo usando il Rigoletto, il Trovatore o Simon Boccanegra. Verdi accusa, in maniera velata perché probabilmente anche la sua corrispondenza era passata al setaccio dalla Censura, le enormi perdite di tempo che la polizia gli impone. Oltre a quello per lui e il suo editore vige il divieto di stampa delle stesse a Milano, le barricate delle Cinque giornate del 1848 sono ancora troppo vive nella mente di Radetzky, così il Governo non vuole avere ulteriori problemi e costringe Verdi e il suo editore a far stampare le opere fuori dalla Lombardia. Da quella che è la corrispondenza personale del Maestro si scopre di come lui, legatissimo al suo lavoro, abbia bisogno di tempo per scrivere e non può perderne seguendo le vicende quotidiane che assillano i tempi odierni. Qualcuno circa 500 anni disse “Parigi val bene una messa”, visto il successo del Rigoletto ma non solo, va bene pensare anche che per l'editore quel sacrificio di 14000 franchi e del flacone di Belladonna abbiano dato ottimi frutti.
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commenti
Giovanni Iuri
19 luglio 2021 16:17
Molto interessante. Grazie