Quel Ferragosto del '36 con le Olimpiadi di Hitler. Quando non strinse la mano ad Owens
La decisione dello svolgimento dei Giochi Olimpici a Berlino venne presa dal Comitato Olimpico Internazionale il 13 maggio 1931, allorché la Germania era ancora una repubblica democratica. In seguito, quando nel 1933 Adolf Hitler salì al potere, molte nazioni avanzarono la proposta di cambiare sede, ma il Cio rifiutò. Anche il Führer all'inizio si mostrò molto riluttante all'idea di dovere organizzare i Giochi; quando però Joseph Goebbels, ministro della propaganda, gli fece capire che tale occasione poteva rivelarsi un'efficace opera propagandistica per il regime nazista, Hitler cambiò idea.
Il governo tedesco non badò a spese e perciò vennero costruiti impianti e strutture enormi e all'avanguardia per l'epoca, che anche dal punto di vista estetico rappresentavano pienamente il gusto moderno del tempo. L'Olympiadstadion di Berlino, che poteva contenere più di 100.000 spettatori, venne realizzato in materiali pregiati, con una struttura dalle forme classiche di memoria greco-romana, e accanto fu eretto un enorme campo di parata dove potevano riunirsi circa 500.000 persone. La piscina fu ampliata e il villaggio olimpico maschile, che sarà successivamente utilizzato prima come ospedale e poi come campo di prigionia durante la seconda guerra mondiale, fu composto da tante pittoresche villette e altrettanti campi di allenamento. Le donne risiedevano invece vicino allo stadio, in un complesso detto Casa della Pace.
Ma i lavori si estero anche all’intera città: miliardi di marchi furono spesi per conferire alla capitale tedesca un aspetto imponente e magnificente. Palazzi e stadi furono restaurati e vennero messe in piedi scenografie che avrebbero dovuto celebrare a ogni passo la grandezza del regime e del popolo tedesco. L’enorme complesso sportivo e i palazzi e monumenti di Berlino vennero adornati con bandiere olimpiche e stendardi con la svastica. La maggior parte dei turisti rimase all’oscuro del fatto che il Regime Nazista avesse temporaneamente rimosso tutti cartelli o simboli antisemiti, né venne a sapere della grande retata di cittadini Rom effettuata a Berlino.
Il Führer sfruttò i Giochi per trasmettere l’immagine di Germania ricca, ordinata, efficiente, dotata di grandissime capacità organizzative e tecnologiche.
Fu pubblicato anche un bollettino quotidiano, l'Olympia Zeitung, stampato in 14 lingue con una tiratura di 300 000 copie. L'occasione olimpica venne inoltre celebrata dal film propagandistico Olympia della regista Leni Riefenstahl; così il cinema si configurò come uno dei più efficaci mezzi di comunicazione di massa di cui Hitler si servì.
Come si è detto, la manifestazione olimpica fu anche la prima a essere ripresa dall'occhio delle telecamere della televisione: il regime tedesco mise in onda il primo programma televisivo regolare al mondo per permettere ai possessori dell'apparecchio di seguire la visione in diretta dell'evento; vista la scarsità di televisori privati, il regime organizzò vari punti d'ascolto (le cosiddette "sale pubbliche televisive") in diverse zone di Berlino, affinché anche la gente comune potesse ammirare le imprese degli atleti.
La comunicazione olimpica assunse, insomma, un ruolo preponderante nell'intento di nazificazione del Cancelliere tedesco, tanto da trasformare i Giochi Olimpici in una potente arma di propaganda.
Tutto questo portò a un olimpiade organizzata perfettamente e, come mai prima, i Giochi coinvolsero il pubblico: furono venduti oltre quattro milioni di biglietti.
La solenne cerimonia di apertura delle Olimpiadi avvenne il 1º agosto, con un pubblico entusiasta di 120.000 persone che gridava a gran voce “Heil Hitler”; il punto culminante dei festeggiamenti fu durante l'ingresso nello stadio di un tedoforo che reggeva la fiaccola accesa a Olimpia, in Grecia, sito degli antichi Giochi, dopo un viaggio di 3.075 km per tutta l'Europa, a Berlino, grazie a staffette che avevano percorso circa 1 km a testa. Questa coreografia, che sarebbe divenuta tradizione a ogni successiva edizione delle Olimpiadi, nelle intenzioni del regime volle raffigurare il legame tra la Germania Nazista e l’antica Grecia, rappresentando così il mito della razza supportato dal Nazismo, secondo il quale la superiore civiltà tedesca costituiva l’erede di diritto della cultura “ariana” dell’antichità classica.
Come sappiamo, al centro della teoria di Hitler sta l'idea della razza. Tutta la storia dell’umanità, dice Hitler nel suo libro "Mein Kampf" (1925), è solo espressione dell'eterna lotta tra le razze, in cui il vincitore, cioè la razza più forte, ha il diritto di dominare. I tedeschi appartengono alla razza più forte, sana e pura, quella Ariana. L'unico scopo dello stato tedesco è mantenere sana e pura la razza ariana e creare le condizioni migliori per la lotta per la supremazia, cioè per la guerra. Il razzismo dei nazisti si incentrò sull’avversione degli Ebrei, classificati non come un gruppo religioso, ma come una vera e propria razza. E tutti sappiamo che l’antisemitismo sfociò in un genocidio di enormi proporzioni.
Quando Jesse Owens, un afroamericano, vinse quattro medaglie d’oro nell'atletica leggera (salto in lungo, 100, 200 metri e staffetta), Hitler durante la premiazione non gli strinse la mano, non essendo tedesco né di razza bianca.
Dobbiamo però segnalare che a quei tempi anche negli Stati Uniti c’era la segregazione razziale e ci sarebbe stata quasi per altri 30 anni. Lo stesso Jesse Owens, come tutti gli altri neri del suo tempo, non poteva sedere nella parte anteriore degli autobus, non poteva mangiare in ristoranti destinati ai bianchi o frequentare gli stessi bagni pubblici, non poteva sedere sulle stesse panchine, non poteva vivere dove voleva. E il presidente degli USA, Franklin Roosvelt, non lo invitò alla cerimonie di accoglienza degli atleti americani.
Ma grandi sono state le differenze tra le due concezioni e tra gli effetti che procurarono. Infatti, solo il razzismo dei nazisti portò all’orrore dei campi di sterminio e alla soppressione di milioni di persone. In ogni modo, indubbio è il fatto che lo sport, da sempre esprime i valori e la cultura delle società in cui viene praticato.
Il nazismo cercò di realizzare l’ideologia razzista in ben altri e più terrificanti modi: fece isolare in carceri o sterilizzare o sopprimere persone con malattie ereditarie permanenti (handicappati, malati mentali, ma anche gli omosessuali erano considerati ammalati permanenti). E vennero emarginati e perseguitati anche gli zingari). Dobbiamo purtroppo ricordare che anche lo stato fascista, nel 1938 emanò leggi antisemitiche, ma già da prima proibiva il matrimonio tra gli italiani e gli appartenenti ai popoli conquistati dalle guerre colonialistiche.
In Italia. L’utilizzo propagandistico dello sport fu perpetrato anche dal fascismo italiano, che diede enorme spazio all'agonismo e alla competizione, che diventa funzionale alla ricerca di consenso: campioni ed eroi devono essere mostrati in pubblico, propagandati all'estero, come simbolo di una nazione vigorosa, forte e degna di rispetto. Mussolini, che pure sportivo non è, comprende l'importanza del fenomeno per la grande capacità di mobilitazione di cui è capace.
La politica sportiva del regime si concretizza concentrando tutta l'attività agonistica nel CONI e nelle Federazioni sportive. Servono nuovi impianti sportivi: la costruzione di stadi a Bologna, Firenze, Roma Torino e quasi tutte le più grandi città italiane vengono dotate di impianti di notevole efficienza.
I campioni richiedono veri e propri santuari dove il pubblico, non necessariamente composto di praticamente lo sport, possa accorrere per vederne le imprese.
Il calcio conosce proprio sotto il fascismo la sua maggiore ascesa. Nel 1929 fu dato inizio a un campionato a girone unico.
La cosiddetta "sportivizzazione" della nazione porta nel giro di pochi anni a risultati davvero sorprendenti in diverse discipline. Il regime sfruttò al meglio tutte queste vittorie, sia per dimostrare come l'Italia sia arrivata velocemente a certi successi, sia per aumentare nelle masse l'orgoglio nazionalista. Mussolini dice:
"Le prodezze sportive accrescono il prestigio della nazione e abituano gli uomini alla lotta in campo aperto, attraverso la quale si misura non soltanto la prestanza fisica, ma il vigore morale dei popoli".
La ricorrenza delle Olimpiadi di Berlino ci permette di avere la conferma di quanto lo sport sia un fenomeno sociale, economico, psicologico, culturale, simbolico di straordinaria importanza. Anche nella contemporaneità lo sport è di per sé cultura, è un sistema con un proprio linguaggio, con i propri riti, le proprie regole, le ripetizioni e le smagliature, i comportamenti e i gesti più o meno inconsci. Ma nel contempo è un sistema culturale che rappresenta una chiara riproduzione e metafora della vita individuale e sociale, nei suoi vari aspetti e quindi anche nelle sue contraddizioni e nei suoi disvalori.
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