Vecchia osteria e moderno McDonald’s: due modi differenti di concepire il tempo, le relazioni, la preparazione e il consumo del cibo
Avendo ritrovato nei documenti archiviati nel mio computer il mio contributo a una tesina scolastica riguardante la capacità del McDonald’s di instaurare nel mondo un nuovo modo di concepire, produrre, far consumare e rappresentare simbolicamente il cibo, mi è venuta voglia di mettere a confronto questa realtà con quella della vecchia osteria. La prima difficoltà di parlarne riguarda il fatto che non è agevole distinguerla da luoghi analoghi – bettola, taverna, locanda, caffè, cantina, trattoria, ristorante, bistrot, birreria …– perché, pur denotando differenze nella tipologia e qualità dei prodotti, del servizio e dell’ambiente, sotto molti aspetti le loro peculiarità si sovrappongono e si confondono. Un solo esempio, tratto dalla mia storia personale: il locale dei miei genitori a Isola Dovarese, nel quale ho vissuto fino alla pubertà, si chiamava Trattoria del ponte e pertanto adempiva alla funzione propria della “trattoria”, quella di preparare e far consumare dei pasti e delle cene in loco. Ma non era questa la sua funzione principale, che era quella propria dell’osteria tradizionale, intesa nella sua definizione più consolidata di “locale pubblico, solitamente di tono modesto e popolare, in cui si va per vino ed eventualmente mangiare qualcosa e che solo in certi casi per consumare pasti più o meno completi.” Ed è a questa definizione che mi riferirò, pur sapendo che oggi sono chiamati “osteria” anche locali di grande prestigio.
Al di là delle differenze in fatto di denominazione e di qualità e quantità dei servizi offerti, l’osteria ha una lunga storia, come evidenzia la letteratura, a partire da quella latina. Ne parla anche il Vangelo di San Luca, in cui un samaritano soccorse un uomo aggredito dai briganti, lo fasciò e lo portò in una locanda. Nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Renzo Tramaglino passa varie vicissitudini in alcune osterie, luoghi di passaggio e di inganno nonché importanti snodi narrativi delle vicende del romanzo. Nel capolavoro manzoniano gli osti sono presentati come personaggi ambigui che badano solo al proprio tornaconto.
Celebre è poi l’Osteria del Gambero Rosso in Pinocchio di Carlo Collodi.
Tralasciando molti altri riferimenti alla letteratura (ma anche alle opere pittoriche), propongo ora alcuni spunti sull’osteria della seconda metà del Novecento. Tipico luogo di ritrovo popolare soprattutto per le persone di sesso maschile, per vari decenni è stata un importante centro di consumo e di incontro interpersonale che, accanto alla piazza e alla chiesa, ha favorito la creazione e lo scambio delle idee, in ultima analisi la formazione di quella che oggi chiameremmo “opinione pubblica.”
Nelle osterie, che erano frequentate nel tempo post-lavorativo ma anche, nei luoghi ad alta concentrazione occupazionale, nell’ora dei pasti, da muratori, manovali, operai, commessi, ai quali si preparava qualcosa da mangiare. In genere i piatti, sempre poveri, variavano con il variare delle stagioni. In estate erano 'coònse, (vari tipi di insalata condita con uova, tonno, formaggi…), affidate alla fantasia e alla disponibilità momentanee della casa, oppure “tajeer" colmi di fette di salame e uova sode. E in ogni stagione e ora del giorno, non mancava mai il formaggio, dal cacio piccante alla "tara", che in genere era un prodotto alterato, da accompagnare con il bianchino. E poi, trippa, nervèt (cartilagini bovine lessate e condite), spezzatino, polpette, frittata, intingolo di fegatini, cuoricini, magoncini, ventrigli di gallina. Molto diffuso, soprattutto in certi luoghi vicini a fiumi, il pesce (sempre di fiume, tranne il merluzzo, il baccalà). Il pesce di acqua dolce, messo a macerare per due giorni in un infuso condito con olio, sale, aceto, aglio, diventava il gradito pès in ajòon…
Il vino – di origine locale o mantovana – era servito sfuso, in contenitori-misura di vetro (un quarto, un quinto, un mezzo di litro); raramente si ordinava “vino di bottiglia”, di marche nazionali. Di solito, si trattava di vino nero; quello bianco serviva soprattutto come aperitivo, in calici. Anche se quel vino non aveva molti gradi alcoolici, procurava molte ubriacature e non pochi alcoolizzati. Le donne, fino a qualche decennio fa, prediligevano il vino marsala.
Occorre far notare che, contrariamente a quello che veniva mostrato in molte opere della letteratura e del cinema, nelle nostre osterie del secolo scorso rarissime erano le prostitute.
La varietà degli alimenti, nel complesso limitata, dipendeva comunque dalle stagioni ma soprattutto dalla capacità dei padroni del locale, l’usteér, ovviamente, l’usteèra.
Anche la qualità e la salubrità dei prodotti dipendeva molto dalla personalità dei proprietari, che in genere, però, fruivano di aiutanti a pagamento (sguattere, donne di pulizia, uomini di fatica, ecc.) In ogni modo, non c’erano molte garanzie sulla pulizia e salubrità degli ambienti, e neppure sul livello della oro rumorosità, in genere molto elevata, in genere coincidenza i canti a squarciagola intonati da gruppi di clienti, oppure con le partite con le carte e, in certi casi, con le contese durante il gioco della morra, mòra, un gioco antichissimo fatto con le mani e con la voce, che era sempre di tono altissimo, perfino violento, dal ritmo incalzante che richiedeva grande concentrazione e densità emotiva. Faceva spesso nascere discussioni e liti e fin dal Medioevo era vietato in molti luoghi e anche oggi fa parte dell’elenco dei giochi proibiti in locali pubblici.
Così, anche oggi, quando si entra in una stanza e le persone all'interno sono chiassose e hanno comportamenti poco consoni per il posto in cui si trovano (ad esempio un'aula scolastica), si può esclamare "Oh, ma dove siamo, all'osteria?" per richiamare l'attenzione e nello stesso tempo correggere il comportamento scorretto.
L’atmosfera che regnava in questi locali, soprattutto nelle ore in cui si radunavano i clienti abituali, richiama quella delle piccole comunità, con alto livello di confidenze, pettegolezzi, racconti e sfoghi relativi anche alla vita famigliare propria e degli altri. Erano comunità articolate in sottogruppi, la composizione dei quali dipendeva anche dalla disponibilità del tempo libero dei suoi componenti. Per esempio, gli anziani erano più presenti di quelli che lavoravano (ma consumavano poco, per via della scarsità del reddito pensionistico). Proprio la presenza degli anziani –che però fino a pochi decenni fa erano chiamati “vecchi” – mi ha fatto conoscere tante informazioni sulla Grande Guerra, argomento da loro preferito perché evocatore di un’esperienza altamente drammatica, dolorosa.
Ma anche il clima psicologico e l’atteggiamento verso il prossimo nonché la propensione a esprimere le proprie problematiche personali dipendeva anche dalla composizione del gruppo, dai suoi legami interpersonali, dai suoi rapporti di amicizia e di confidenza. In queste dinamiche, un rilevante ruolo era svolto dalla personalità dei proprietari, per forza di cose sempre presenti in ogni sottogruppo. Per cui potevano favorire od ostacolare la formulazione di giudizi troppo grossolani e “cattivi”. Ma forse questa mia idea sulla importanza dei proprietari dell’osteria nell’influenzare i clienti del nel giudicare le persone è influenzata dal comportamento dei miei genitori, sempre dispensatori di benevolenza e di solidarietà verso gli altri.
La nascita del McDonald’s è recentissima. L’intuizione e le concezioni progettuali dei fratelli Dick e Mac McDonald – di origine irlandese e di umile condizione sociale – già a metà del secolo scorso, specie dopo che il marchio fu acquistato da un altro soggetto commerciale, ebbero così successo che la loro catena di ristoranti si diffuse in tutti gli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Gli innumerevoli McDonlad’s sono gestiti direttamente dalla Corporation che ne possiede il marchio o dati in gestione in franchesing.
Le peculiarità del McDonald’s si possono individuare in termini di velocità, efficienza, calcolabilità, sicurezza, controllo; esse ci permettono di percepire immediatamente la differenza con quelle dell’osteria tradizionale. Cominciamo ad analizzarle.
Il McDonald’s persegue in primo luogo la realizzazione di un metodo ottimale per soddisfare rapidamente l’appetito dei clienti: così, il sistema della fila per essere serviti, della limitata possibilità di scelta, incentivano a consumare in fretta. In secondo luogo, un elevato livello di efficienza è permesso dal fatto che ogni operazione è specificata e misurata nei minimi dettagli. In terzo luogo, il metodo McDonald permette di calcolare non solo i tempi ma anche le misure, il peso e il costo di tutti i prodotti. A questo proposito, si deve notare che il pregio di un prodotto in certo senso tende a identificarsi con la quantità: più i prodotti sono grandi e meglio è.
Un’ulteriore peculiarità dei McDonald’s è data dal fatto che il cliente è sicuro di ricevere in ogni posto e in ogni periodo un prodotto uguale per peso, gusto, forma. Le uniche variabili riguardano l’adeguamento alla cultura locale: in Israele rispettano le regole dell’alimentazione koshere; in India, niente carne di manzo; in Arabia Saudita, cinque pause al giorno per le preghiere… In ogni modo, specie dal punto di vista visivo, la configurazione dei piatti è simile ovunque e ovunque il cliente è ricevuto dai dipendenti nel medesimo modo.
I principi della velocità del servizio, dell’uguaglianza ovunque dei prodotti, della pulizia, già da prima facevano parte della logica dei fast food diffusi in USA, come per esempio quella sperimentata nei vagoni ristorante dei treni, ma nuovo c’è l’assunzione della rigida parcellizzazione dei compiti dei dipendenti, mutuata dal modello tayloristico: ristoranti come una sorta di catena di montaggio.
In questi ultimi decenni, la novità più significativa è l’uso del computer per regolare automaticamente la temperatura e la durata della cottura dei cibi.
L’offerta dei cibi è semplice e tutto sommato limitata; il segreto sta nell’innovativa di presentazione così come ne fatto che ovunque i cibi offerti hanno le stesse caratteristiche. Ciò dipende dal fatto che ogni ristorante McDonald’s usa le stesse componenti materiali. Le patatine fritte vengono da un prodotto congelato, di alta qualità, che permette un prodotto standard (cosa non possibile ricorrendo, nei vari posti e nei vari periodi dell’anno, a patate fresche).
Il pane non è vero pane, non è croccante e soprattutto è privo di gusto e di odore. E la carne bovina, è un prodotto congelato, con percentuale di grassi perfettamente pianificata per evitare un eccessivo restringimento durante la cottura perché deve essere leggermente più grande del panino... La macinatura lo priva del colore, del suo sugo, della solita consistenza: diventa così una materia morbida e informa, senza sangue. E dal peso perfettamente calcolabile.
McDonald’s non è che il caso estremo di un processo di standardizzazione e impoverimento dei prodotti alimentare; nel mondo lavora con trecento grandi produttori-fornitori, perfettamente adeguatisi ai suoi metodi. I cibi, preparati da poche cucine centrali e congelati, vengono poi smistati ai vari ristoranti, dopo essere approntati per avere misure e qualità standard (le fette di uovo identiche vengono dall’assemblaggio di tante uova…; idem le crocchette di pollo. Il peso dei prodotti è sempre lo stesso, nel tempo e nei vari posti.)
Ma il motivo principale del successo è la possibilità di mangiare a qualsiasi ora qualsiasi cosa, da soli o in compagnia. Inoltre, oltre alla garanzia di pulizia e di poco costo, McDonald’s garantisce anche la possibilità di fare un pranzo senza bevande alcooliche, definito ben strutturato ed equilibrato dal punto di vista dietetico. Ciò vale soprattutto per l’Happy Meal, un cestino apparentemente riservato ai bambini per l’aspetto ludico della sua confezione e il pupazzo o il libro in regalo, ma in realtà teso a rassicurare i genitori sulla valenza dietetica di ciò che mangiano i loro figli.
L’immaginario di McDonald’s è rivolto soprattutto alle famiglie. Ma soprattutto è rivolto ai bambini, che hanno anche il potere di trascinare con loro l’intera famiglia al ristorante. Regalini e giocattoli ai bambini è un modo ottimale per farli diventare dei supporters leali e fedeli nel tempo.
Altro motivo di successo: offrire contemporaneamente una vasta gamma di sapori che convergono in un unico sapore soft, cioè leggero perché dolce e salato allo stesso tempo, che in quanto tale facilmente consumabile da parte di fruitori di diverse culture. Il vero segreto delle celebri patatine sta nella compresenza di zucchero e sale nel condimento, con il quale si ottiene un prodotto standard neutro… Ci si ritrova sia il sale sia lo zucchero, ma non il sapore di patata.
Ma il più importante motivo del successo sta nell’offrire un cibo altamente spettacolare, utilizzando profumo, colore, forma, ecc. Del resto, oggi come in passato, il cibo si connota più per la sua natura simbolica, qui esaltata dal fatto che al McDonald’si può mangiare seduti o in piedi, seguendo un qualsiasi ordine dei cibi, portando direttamente l’hamburger alla bocca con le mani. Anche per questo, McDonald’s diventa un simbolo della libertà e della modernità.
Eppure, il servizio comporta anche delle scomodità: la coda in piedi, il dover cercare un posto con il vassoio in mano, sedie scomode, tavoli spesso fissati al pavimento, rumori di sottofondo, assenza di intimità, luci bianche e molto forti, freddezza dell’ambiente, il personale che toglie subito i vassoi e che pulisce tra le gambe dei clienti, scomodità di doversi servire da soli di tovaglioli e cannucce.
L’ambiente “fa vedere tutto” …, anche se in realtà si può osservare solo le teste dei dipendenti che preparano i piatti, non le mani, non i prodotti in fase di preparazione.
In realtà, McDonald’s propone pochi cibi e sempre uguali, disponibili ovunque e in ogni stagione. Tende così a negare il tempo sociale e naturale. Può farlo perché offre alimenti “morti”, dai quali la natura è stata praticamente eliminata.
Non sono mancate, nel mondo come in Italia, critiche e denunce sul modo di agire di McDonald’s, sia sul trattamento ai dipendenti sia sulla qualità e igiene dei suoi cibi
E non mancano le accuse dei dietologi: troppo sale, zucchero e grassi, che accrescono i pericoli di obesità, carie; poche sono le vitamine e i minerali; e l’olio utilizzato per friggere le patatine, quando viene portato all’alta temperatura necessaria, subisce un processo chimico nocivo, specie per il colesterolo.
McDonald reagisce con sue documentazioni, oltre che con varie campagne ambientaliste, solidaristiche e umanitarie. E il suo successo planetario, che pure dà qualche senso di difficoltà, pare essere sostanzialmente confermato.
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commenti
claudio
16 novembre 2022 17:08
Profonda e piacevole analisi, interessante dal punto di vista sociologico e storico che mi ha fatto tornare indietro di oltre sessanta anni quando i miei genitori gestivano proprio un'osteria in un rione di povera gente in città. Grazie