8 luglio 2025

"Palla in curva" con il giornalista Ciro Corradini: "Il Brescia non è fallito per mancanza di fondi, ma per ripicca e vendetta nei confronti di una intera città. Nicola è un uomo di grandi valori"

La rubrica "Palla in Curva" torna in una versione estiva, che andrà a toccare innanzitutto le tematiche legate al 'mondo grigiorosso' e non solo.

La Cremonese ha già traslocato "nell'attico del calcio italiano", lasciandosi alle spalle la stagione che ha segnato il suo ritorno in Serie A. Un finale di stagione esaltante per i colori grigiorossi nella fase dei Playoff, ma anche avvilente, per la farsa andata in scena in occasione della finale Playout, innescata dalle vicissitudini extra-sportive del Brescia Calcio. Proprio queste ultime, hanno poi portato al blocco della finale 24 ore prima che andasse in scena la sfida di andata, con tutto ciò che ne è conseguito nella riscrittura della classifica e nell'epilogo finale.

Ne parlo con il collega e amico Ciro Corradini, giornalista cremonese che ha iniziato la sua carriera tra le radio libere di Cremona, per poi spostarsi a Brescia, dove da oltre 30 anni segue le vicissitudini della "Leonessa" , attraverso un percorso che si è dipanato tra radio con radiocronache, carta stampata e televisione, dove da circa 30 anni conduce la trasmissione "Zona Ciro".

Vorrei sottolineare che l'intervista, che di fatto prende spunto dal ‘dramma sportivo’ dei tifosi del Brescia Calcio che, a prescindere dalla rivalità campanilistica, meritano rispetto per la passione che tutte le tifoserie hanno per la loro squadra e i loro colori a maggior ragione in un calcio che, li vorrebbe per buona parte fuori dagli stadi, vuole puntare la lente su un meccanismo di giustizia sportiva che, parallelamente alla vicenda che ha visto protagonista il presidente Cellino, ancora una volta si è oggettivamente dimostrato sfasato per modi per tempi di intervento rispetto ad un campionato di fatto concluso, intersecando perfettamente delle situazioni, che successivamente sono andate a stravolgere la classifica finale, cambiando le sorti, nel bene e nel male, di quattro squadre, Brescia, Sampdoria, Salernitana e Frosinone.

D: Ciao Ciro, tu che sei una memoria storica di questa società e che hai vissuto e vivi le sue vicissitudini attraverso i suoi protagonisti, ti saresti mai aspettato questo epilogo sportivo?

R: ”Innanzitutto, credo che la vicenda Brescia dimostri ancora una volta la fragilità di un sistema che tutti criticano, ma che nessuno vuole cambiare. Il Brescia non è fallito per mancanza di fondi, ma semplicemente perché il suo ‘padre-padrone’ ha deciso, per ripicca e vendetta nei confronti di un'intera città, di non pagare! Il patrimonio personale di Cellino è superiore ai 100 milioni di euro, se si considera che qualche tempo fa la Guardia di Finanza gli mise sotto sequestro beni e titoli per circa 70 milioni di euro! La sua è stata una vendetta. Meglio sorvolare poi sulla giustizia sportiva. Il fatto che qualcuno abbia potuto beneficiare di questa vicenda, riuscendo a ribaltare dalla scrivania il giudizio del campo, anche grazie a tempistiche che definire sospette è un eufemismo, è un altro segnale sconfortante. Il Brescia, ricordo solo questo particolare, viene avvisato dalla Covisoc e dall'Agenzia delle Entrate che il pagamento di febbraio di INPS, stipendi e tasse varie non è andato a buon fine solo a maggio, quando cioè aveva già usato lo stesso sistema di pagamento anche ad aprile! Se fossero stati rispettati i tempi – 30 i giorni che servono ad avere risposte, non 90 – il Brescia sarebbe stato penalizzato nel campionato precedente e avrebbe evitato il secondo deferimento”.

D: Il Brescia di fatto non è ancora fallito, ma a tutt’oggi ha perso un titolo sportivo di 114 anni. Come sta vivendo la città questo fatto?

R: Come un dramma, ma anche come una liberazione. Il senso del pensare comune è: "Se questo ci toglie dai piedi Cellino, va bene anche così".

D: Al di là di quello che farà Cellino, che è ancora proprietario della società e punterà tutto sulla giustizia ordinaria con tempi non certo brevi, il Comune si è attivato per cercare di salvare il salvabile attraverso una 'fusione' con la Feralpisalò di Pasini, cosa che entusiasma poco le rispettive tifoserie. Il dato certo è che non c'è tempo da perdere per rifondare quello che sarà il 'nuovo Brescia'. Come pensi che si evolverà la situazione?

R: ”Ricordi quella canzone di De André che dice: "Per quanto voi vi sentiate assolti siete ugualmente coinvolti"? Qui le responsabilità sono di tutti: la stampa locale, politicamente corretta, che ha evitato di criticare Cellino per anni mettendo la polvere sotto il più classico dei tappeti; la politica che non ha mai allacciato rapporti con il Brescia fin dai tempi di Gino Corioni e che ora improvvisamente diventa protagonista; gli imprenditori che non hanno mai voluto avvicinarsi al Brescia; i tifosi che pure hanno responsabilità con comportamenti a volte sopra le righe. Tutti siamo coinvolti, tutti siamo colpevoli. Ora vediamo che cosa farà Pasini, grande amico di Arvedi e, come il cavaliere, grande imprenditore”.

D: In questa storia, si intrecciano, con una tempistica quasi perfetta, le vicende di più squadre, che poi vanno a ribaltare l’esito di un campionato. Una situazione che ha favorito alcune squadre e penalizzato altre, con scelte oggettivamente discutibili da parte del Palazzo. Non avrebbe avuto più senso giocare i playout per poi eventualmente ripescare la perdente?

R: ”Il buon senso nel calcio italiano purtroppo è raro come i denti in bocca a un vecchio”.

D: Il calcio italiano è malato, le serie minori vivono il peggior momento della loro storia, con squadre che falliscono già a metà campionato con tutto quello che ne concerne sulla correttezza. Nonostante questo, il Palazzo stringe le redini e mette i paraocchi. Fallimenti, licenziamenti, giovanili azzerate. Possibile che tutto debba girare attorno alla sola Serie A e alle squadre più rappresentative della Serie B?

R: ”Speravo che Marani, il presidente della Lega Pro ed ex collega, persona di grande intelligenza e sensibilità, potesse invertire la rotta, ma ho l'impressione che anche lui sia finito schiavo di un sistema che si autoreferenzia e che non riesce, per miopia conclamata, a generare quelle riforme che tutti dicono sarebbero indispensabili, ma che nessuno ha il coraggio di mettere in pratica”.

D: Torniamo alla città e ai tifosi, quelli bresciani, ma che potrebbero essere quelli di altre realtà. Tu hai messo in discussione la 'non' presa di posizione di un comune e di politici del territorio, ricordando che il calcio, volenti o nolenti, è una delle forme dove gli italiani si identificano sportivamente e socialmente. Quegli stessi politici che poi chiedono i voti ai cittadini. L’impressione è che il valore del tifoso, della sua passione, delle sue radici, abbia sempre meno peso.

R: ”Purtroppo è così. Il tifoso è ormai una sorta di orpello senza valore perché il principale reddito delle società calcistiche non viene più dagli incassi, ma dalle televisioni e dal marketing. Il tifoso da stadio non conta. Non conta la sua passione, non contano i sacrifici che fa, non contano e non hanno voce le sue rivendicazioni. La politica guarda al calcio come all'oppio dei Popoli, senza una vera strategia che non sia salire sul carro del vincitore. La situazione degli stadi italiani è vergognosa. In Inghilterra, Germania e Spagna hanno investito sulle infrastrutture. Da noi, a parte qualche eccezione, si litiga senza arrivare a soluzione”.

D: Veniamo alla Cremonese. Alla fine Stroppa, che tu conosci, si è preso la sua rivincita e ha dimostrato di essere un buon allenatore. Eppure non è stato confermato. Credi che in Serie A avrebbe potuto fare bene?

R: ”Credo che Giovanni, se supportato dalla società, avrebbe potuto far bene. Ha ottenuto un grande risultato nonostante abbia dovuto fare i conti con un ambiente – parlo di pubblico, ma anche di società e stampa – che l'ha messo in discussione a ogni sconfitta, se non addirittura a ogni pareggio. Se ne va da vincitore, come del resto ha fatto a Pisa Pippo Inzaghi, che ha preferito lasciare e accasarsi a Palermo”.

D: La scelta poi è ricaduta su Davide Nicola, cosa ne pensi e cosa credi debba servire alla Cremonese per fare un buon campionato di Serie A?

R: ”Conosco anche Nicola. È un ottimo allenatore che finalmente credo sia riuscito a scrollarsi di dosso l'etichetta di quello che arriva in corsa e salva la squadra. È un uomo di grandi valori, conosce la categoria e il significato della parola sacrificio. Può fare benissimo, ma – come dico sempre – ci vogliono i giocatori! Ancelotti, Conte o Mourinho non avrebbero vinto il campionato se avessero guidato l'Empoli o il Lecce. Avevo letto di un possibile ritorno di Giampaolo e sinceramente mi avrebbe fatto piacere. Marco è uno degli allenatori più preparati e capaci che ho conosciuto. A Lecce ha fatto un miracolo”.

D: Si parla molto di Vázquez e del suo possibile ritorno in grigiorosso in Serie A. Indubbiamente è stato decisivo con le sue giocate, Credi possa fare un campionato di Serie A a buoni livelli?

R: Quando decide di giocare è un fuoriclasse assoluto. Se è in giornata può fare la differenza, ma è ovvio che l'età comincia a incidere ed è altrettanto ovvio che quando non imbrocca la giornata rischi di giocare... in dieci! Stroppa ha creduto in lui nelle gare decisive. Alzi la mano chi al posto di Giovanni avrebbe fatto le stesse scelte, soprattutto nella gara di ritorno. Paradossalmente in Serie A può far meglio che in Serie B perché c'è meno aggressività e più tecnica. Ma puntare tutto esclusivamente su di lui sarebbe un gravissimo errore”.

D: In una delle tue trasmissioni, avevi affermato che il fatto di avere una proprietà legata al territorio può fare la differenza. Hai fatto l’esempio della Cremonese e del Cav. Arvedi, anche se è nel mondo del calcio da relativamente poco tempo.

R: ”Non ho il piacere di conoscere personalmente il Cav. Arvedi. Mi dicono sia soprattutto un grande appassionato di ciclismo e che il calcio non sia il suo sport preferito. Ma è un grande imprenditore che ha oltretutto dimostrato grande vicinanza alla città, aiutandola a migliorare. Ciò che deve fare, ed è questo che fa la differenza non solo nello sport, è sapersi circondare di persone qualificate e competenti. Saper scegliere collaboratori affidabili. Saper dare una struttura solida e chiara, dove i ruoli vengono rispettati e dove non ci sono intromissioni e invasioni di campo. Il problema è che tutti pensano di capire di calcio, tutti pensano di poter fare l'allenatore, tutti pensano di saper scegliere gli uomini adatti, ma non è così. Un grande imprenditore può non capire di calcio, ma capisce gli uomini e il loro valore. In questo, persone come Arvedi o Pasini possono fare la differenza”.

Per la cronaca, in questi giorni si parla proprio di Giuseppe Pasini presidente di Confindustria Lombardia e della FeralpiSalò che, grazie al sostegno di Comune, della multiutility A2A e di altri imprenditori bresciani, sarebbe pronto a ‘sacrificare’ il sodalizio salodiano, cambiandone la denominazione, per mantenere il Brescia nel calcio professionistico ripartendo dalla serie C. Il 15 luglio è il termine ultimo, da parte del nuovo sodalizio, per modificare i dati della domanda di iscrizione al campionato.

Sullo sfondo, per motivi diversi, resta il malumore tra i tifosi delle due squadre e l’ombra di Cellino, ancora proprietario del Brescia Calcio e del Centro Sportivo di Torbole, che potrebbe cercare in qualche modo di mettere il bastone tra le ruote al nuovo sodalizio.

Daniele Gazzaniga


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