Restituiamo a Dio un po’ di quello che ci ha donato!
La fede nasce da un cuore grato, sempre pronto a stupirsi per quanto Dio compie per e con l’uomo. Senza questa capacità di incantarsi di fronte al mistero della vita è impossibile credere, è difficile amare! A volte mi domando se sono riconoscente al Padre per quanto mi ha dato, per le gioie con le quali ha riempito tutte le stagioni della mia esistenza così come per i momenti di buio e di difficoltà. Col senno di poi ho compreso quanto anche questi momenti siano stati salutari per la mia anima: mi hanno fatto crescere, maturare, mi hanno affinato nella sensibilità, nella compassione per l’altro, nell’attenzione anche ai piccoli gesti. È indubbio che la sofferenza umanizza: solo da cuori inquieti e sofferenti nascono i grandi capolavori dell’arte, della letteratura, della spiritualità.
La riconoscenza!
A volte siamo così distratti, così immersi nella frenesia del vivere da dare tutto per scontato. Lo facciamo con le persone che abbiamo più vicino, ma lo facciamo anche con Dio. Non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati ad essere in salute, ad avere un lavoro che ci sostiene, una famiglia che, tra alti e bassi, rimane rifugio e consolazione, una società – pur con tante pecche e tensioni – progredita e in pace. Non proviamo la paura di trovarci qualcuno in casa che ci sgozza i figli – come è accaduto qualche giorno fa agli israeliani – o di perdere la vita a causa delle bombe e dei missili o della mancanza di acqua e di energia – come sta accadendo ai palestinesi nella striscia di Gaza -.
Inoltre diamo per scontato di avere una fede che ci sorregge nelle situazioni più ardue e che ci offre un senso da dare al nostro gioire, al nostro soffrire, al nostro amare. In passato, mattino e sera, si recitava il “Ti adoro mio Dio” e nell’incipit si pregava: “Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato…”.
E così capita anche con chi vogliamo bene! Quante volte ci siamo soffermati a guardare negli occhi, per qualche minuto, senza dire niente, chi ci ama, chi ci fa del bene? Guardare negli occhi per dire “io ci sono”, “so’ quanto stai facendo per me”, “per me tu sei prezioso”, per riconoscere che l’altro è più importante del tempo, più urgente delle nostre scadenze, più rilevante dei nostri impegni!
La preghiera è in ultima analisi una forma di riconoscenza. È un fermarsi, interrompere il proprio lavoro, reprimere le proprie preoccupazioni e le proprie ansie da prestazione, per guardare negli occhi Dio, per entrare in intimità profonda con Lui, per nutrirci del suo amore, della sua misericordia, per godere della sua presenza, per fare memoria della sua cura. Pregare è anzitutto prendere atto che tutto viene da Lui e che senza di Lui non c’è vita, non c’è speranza, non c’è futuro. Pregare è lasciarsi cullare dalle sue braccia, accarezza dalle sue mani, inebriare dalla sua voce.
È suggestivo quello che Gesù risponde a farisei ed erodiani – nemici acerrimi che si alleano per fare il male! – quando gli chiedono della liceità del tributo a Cesare, l’imperatore che si è fatto dio. Loro parlano di pagamento e lui invita alla “restituzione”. Loro mercificano tutto – anche il rapporto con Dio – e Gesù li riporta sul piano della riconoscenza, della partecipazione. Ciò che è di Cesare va restituito a Cesare, ma ciò che è di Dio va restituito a Dio.
A Cesare va il tributo che serve a garantire quei servizi essenziali necessari per una sana e ordinata convivenza, ma a Dio va il cuore dell’uomo, pronto ad essere plasmato dalla sua parola, dalla sua volontà. A Cesare occorre rendere la propria disponibilità a servire il bene comune, con onestà e abnegazione, ma a Dio è necessario rendere un amore che non ammette riserve, proprio come è il suo amore.
Gesù, insomma, sprona i suoi discepoli ad offrire ai governanti tutta la collaborazione e l’aiuto necessari per edificare una società più giusta, fraterna, solidale, prospera, ma dall’altra parte mette in guardia dall’idolatrare lo stato o la politica: essi non salvano l’uomo, anzi, possono schiavizzarlo e sfruttarlo! C’è un limite oltre il quale Cesare non può andare: non può forzare o violentare la coscienza della persona. L’uomo, infatti, è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e in ultima istanza deve rendere conto a Dio! Tra l’altro neanche Dio costringe la coscienza, essa rimane inviolabile! La coscienza deve essere libera, anche di sbagliare perché senza libertà non c’è dignità, responsabilità, partecipazione (direbbe Gaber) e soprattutto non c’è spazio per l’amore.
A Dio va restituito il primato che gli spetta, l’amore con il quale ci ha investiti senza nessun merito, l’obbedienza di un cuore docile e sempre in ascolto.
Potremo restituire a Dio tutto il meglio che ci ha donato, ma non potremo mai eguagliare quanto ci offre ogni istante della nostra esistenza. Siamo e saremo sempre in debito.
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