Ripensare alla Ceramica Frazzi, modello per il passato e, forse, per il presente
E' di pochi giorni fa la notizia dei quindici milioni di euro in arrivo dallo Stato a Cremona per il progetto di rigenerazione del comparto del quartiere Po (qui l'articolo). Il progetto, elaborato dalla giunta, prevede la sistemazione del Lungo Po Europa per proseguire con la ricostruzione della scuola materna “Martiri della Libertà” di via dei Classici e la sistemazione di tutta l'area verde quindi con il rilancio e il recupero dell'area Frazzi. Forse non tutti ricordano cosa ha rappresentato per Cremona l'area Frazzi e l'interessante storia che essa racconta. La ricordiamo allora in questo articolo.
Oggi si parla ben poco della ex Ceramica Frazzi. Negli anni passati, l’unico motivo di interesse è stato il “che fare” dei suoi resti, che proponeva i fondamentali problemi che le città storiche incontrano nel ripensare il precedente spazio edificato. Oggi è rimasta in piedi quasi solo la sua altissima ciminiera a piena vista, che comunque evoca l’assunzione da parte della ceramica, nel secolo passato, del ruolo di un nuovo simbolo della città. E il primo forno Hoffmann, di fine 800, fa da fondale al cinema Arena, che, anche se il suo destino è molto incerto, ha incontrato il favore dei cremonesi. Ma la ciminiera è un corpo a sé stante, perché non collegata ad un impianto significavo, cioè a un intero forno. Sarebbe stato invece opportuno salvare il forno più vecchio, allora tutto intero, tra l’altro posto a piano terra perciò trasformabile agevolmente in un laboratorio didattico, in un ristornate o altro ancora. Al suo posto fu fatto il supermercato Coop e il suo parcheggio, tra l’altro eliminando la villa padronale, il suo giardino e stravolgendo la configurazione materiale ed estetica di questo luogo e del relativo tratto di Morbasco e dei suoi originali ponti.
Il mio interesse per questo tema dal casuale incontro, in casa di amici cremonesi, con Giulio Grimozzi, presidente del Laboratorio del Cotto per il quale ha realizzato svariate iniziative culturali e didattiche nonché effettuato studi per convegni e scritto pubblicazioni di vario tipo, raccogliendo anche testimonianze di prima mano sulla vita della fornace. Inoltre, è, un valido esperto delle pratiche di lavorazione dell’argilla nonché studioso dell’utilizzo dell’argilla cotta in edifici e monumenti cittadini e di grandi manufatti in edifici cittadini.
Una fonte inesauribile di memorie, analisi e valutazioni è poi Giuseppe Ghizzoni, testimone diretto della vita della fornace negli anni del suo maggior sviluppo e dotato di conoscenze e competenze tecniche e gestionali che lo mettono in grado di tematizzare i fondamentali aspetti della vita della Frazzi. Anche quelli che sono a monte del suo successo come impresa, a partire dal facile approvvigionamento di un’argilla di ottima varietà e qualità. Giuseppe, tra l’altro, conosce benissimo il Po d’allora, essendo stato da giovane pescatore professionista, prima di diventare un imprenditore e un dirigente d’imprese. Una sezione del Museo Cambonino, da lui dotata, riguarda proprio la pesa sul fiume Po. Oltre a saper descrivere la è pure in grado di documentare l’evoluzione del percorso del fiume e quello della rete viaria che ad esso si riferiva. Ricordo anche che in Consiglio Comunale si oppose decisamente al progetto di radicale alterazione della struttura e dll’identità di questo pezzo di Ceramica.
Ma un altro merito va riconosciuto ad entrambi: aver di aver salvato e poi studiato, nell’ambito delle attività del Laboratorio del Cotto, testimonianze preziose, destinate alla “distruzione” insieme agli edifici della fornace: manuali tecnici riferiti ai grandi forni e alle modalità di produzione dei laterizi, progetti industriali e commerciali, transizioni commerciali, fatture, materiali di propaganda, foto e stampe, laterizi a grandezza reale o sotto forma di “modelli” in miniatura, spesso corredati dai loro cliché costituiti da materiali diversi (alcuni, perché fatti con il durissimo legno sudamericano del guaiaco, o albero santo o benedetto, incisi a bolino come i metalli più resistenti), documentazioni sullo scavo, preparazione, “stagionatura” e poi miscela delle argille, stampi per la cottura dei laterizi, documenti sull’organizzazione del lavoro e sui rapporti con gli operai, con le varie tipologie di sussidi, premi e sanzioni.
Molto interessanti i progetti e i reperti relativi ai processi tecnologici più innovativi sperimentati dalla Frazzi relativamente a un nuovo “connubio” tra metallo (ferro) e laterizi, realizzando manufatti di uguale resistenza del tradizionale cemento armato ma con un peso assai minore e dotati di miglior duttilità. Il nuovo metodo ha permesso alla Frazzi di realizzare archi di forza, lunghezza e altezza impossibili da ottenere con le precedenti lavorazioni. Ancora oggi, grandi strutture edificate (stalle, fabbriche, edifici pubblici, ospedali…) sono “sorrette” da questi archi.
La fornace Frazzi ha prodotto per oltre un secolo materiali laterizi destinati ad un mercato che travalicava i confini della città e del territorio cremonese. A differenza delle fornaci pre-industriali che esaurivano il proprio bacino di utenza nelle immediate pertinenze dei luoghi di lavorazione e produzione, gli edifici che hanno utilizzato i suoi laterizi sono sparsi in tutta Italia (e non solo!), a partire da edifici simbolo della ricostruzione del Dopoguerra, come la Stazione Termini a Roma.
Innumerevoli, poi, i riconoscimenti pubblici, nazionali e internazionali, sulla produzione della Frazzi, che qui è impossibile riprodurre.
Alcuni cenni alla sua storia
Fin dall’antichità, il territorio cremonese è stato al centro di una fervente attività laterizia. In via Platina, per esempio, sono state rilevate fornaci di età romana. Nei secoli della piena Modernità, si trasferisce all’industria dei laterizi una conoscenza secolare di lavorazione e produzione dell’argilla cotta (Approfonditi sono gli studi dell’architetto Angelo Landi sulla tradizione del cotto cremonese), che ben si concretizza nei principali monumenti cittadini e nella città intera: le murature in laterizi cotti, i tetti rossi, i fregi modanati, sculture, vasi in terracotta, gli ammattonati nelle vie e cortili, le targhe ed epigrafi sono testimonianza concreta di un saper fare legato specificamente a Cremona. Possiamo anche evocare la tradizionale relazione dei cremonesi con la terra, la loro sapienza nel lavorarla, curarla, farla fruttificare. Inoltre, bisogna osservare che il terreno argilloso era poco produttivo e difficile da trattare, per cui l’estrazione dell’argilla non contrastava con gli interessi dell’agricoltura. Del resto, l’intero sistema industriale cremonese era strettamente legato alla manipolazione dei prodotti legati alla vocazione agricola del territorio: filande e mulini, dolciumi, mostarde, salumi…
Le fornaci della nostra città poterono giovarsi di grandi e assai pregiate vene d’argilla, il vero tesoro della golena del fiume, di una grande varietà di limi che, per il fatto di essere collocati in prossimità degli stabilimenti, consentivano la riduzione dell’onere del trasporto della materia prima, la possibilità di escavazione in periodi molto più prolungati rispetto a quelli di altre fornaci, e per la grande varietà nella qualità delle terre, che permettevano di ottenere una gamma assai estesa di colorazioni.
La fabbrica sostituisce ed implementa un sistema di piccole fornaci di laterizi preesistenti in questa area, la cui conoscenza secolare di lavorazione dell’argilla cotta che ben si concretizza nei principali monumenti cittadini e nella città intera: le murature in laterizi cotti, i tetti rossi, i fregi modanati, sculture, vasi in terracotta, gli ammattonati nelle vie e cortili, le targhe ed epigrafi sono testimonianza concreta di un saper fare legato specificamente a Cremona.
Fino agli ultimi decenni dell’800 la Frazzi non si distingueva molto dagli altri opifici per la lavorazione dell’argilla, di modesta dimensione (la stessa Frazzi, nel 1888 occupata solo 95 operai), che producevano manufatti per mezzo di lavorazioni a fuoco intermittente e fiamma diretta, consistevano in una camera di combustione posta nella sezione inferiore e nella superiore per la cottura, entrambe separate da un piano forato. Questi impianti per la ceramica sono in genere piccoli, ma si moltiplicano: sempre nel 1888, sono attivi quaranta impianti nella provincia (1.232 operai).
Ma dagli ultimi decenni dell’800 le cose cominciano a cambiare, sia nella scala delle costruzioni sia nella loro funzionalizzazione al progresso tecnologico. Ciò è dovuto essenzialmente all’introduzione del forno Hoffmann, che nei decenni indusse una completa trasformazione tecnologica, organizzativa ed edilizia degli impianti, pur confermando molti aspetti dell’attività tradizionale. Si tratta di un forno a lavorazione continua, in cui il riscaldamento dei laterizi ancora crudi o solo parzialmente cotti viene prodotto dal calore originato dalla cottura già effettuata. (Nota. (Nei testi citati nella bibliografia, a partire dal saggio di Cornelia Selvafolta, ci sono varie descrizioni, anche molto “tecniche, del fono Hoffmann.)
Un altro aspetto positivo va focalizzato: non solo il forno tedesco si inserisce nel tessuto produttivo cremonese senza dare luogo a fratture rispetto alla cultura eminentemente agricola locale, ma anche richiamando una configurazione architettonica in cui il perimetro dei porticati che circonda il forno segna una significativa continuità con le strutture ad archi della cascina cremonese.
Dopo quello di fine Ottocento, un altro forno Hoffmann fu realizzato nel 1900 (quello che fa da quinta all’arena cinematografica), un terzo nel 1908, di cui non rimane traccia. Da allora, il forno divenne il fulcro del nucleo originario dello stabilimento Frazzi, circondato da una serie di tettoie e capannoni per la stagionatura dell’argilla, la lavorazione dei mattoni crudi e lo stoccaggio del prodotto finito, a cui si aggiunse la palazzina della direzione, su piazza Cadorna e collegata sul retro alla fornace. Lo sviluppo orizzontale verso il Po avvenne a tappe ravvicinate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: accompagna l’istallazione di altri forni la costruzione di altri capannoni, inglobando un tratto del canale Morbasco che prima lambiva gli edifici della fornace. Privo di importanza per la lavorazione industriale, il piccolo colatore venne utilizzato come percorso stradale, seguendone le rive per raggiungere i giacimenti di argilla, situati a pochi chilometri della città in corrispondenza della confluenza del Morbasco nel Po; il trasporto a traino animale fu agevolato nel nuovo secolo con l’installazione di una ferrovia Decauville, in grado di soddisfare le esigenze della crescente produzione.
Dai racconti anche in video di Giuseppe Ghizzoni e Giulio Grimozzi, emergono interessanti descrizioni di prima mano di quella che era la vita nel quartiere dagli anni ’40 al 1966 quando il lavoro della fornace si intrecciava con le giornate dei residenti: un via vai continuo di treni che attraversando via del Sale facevano la spola tra la fabbrica e le sponde di Po, percorrendo grosso modo via Boscone, per reperire il materiale. Tutto finì appunto nel 1966, causa esaurimento delle cave, difficoltà industriali causate dal cattivo funzionamento di un nuovo grande forno basato su una diversa tecnologia che non attecchì e l’avvento di nuovi materiali. (Cfr. anche Mario Silla, Un intero quartiere lavorava alla Frazzi, “Mondo padano" 1984)
Riprendendo il discorso sugli effetti dell’introduzione del forno Hoffmann, constatiamo che esso produsse un cambiamento radicale nella configurazione della fornace. “Vi è una totale dipendenza del disegno dal ciclo di lavorazione che trasforma la fornace Hoffmann in una sorta di edificio-macchina, in uno schema produttivo più che in un tipo edilizio dove, se le mansioni fondamentali degli addetti non variavano di molto rispetto a quelle tradizionali, assumeva però particolare risalto una figura principale di operatore: la “mitica” figura del fuochista, di colui cui spettava di controllare e alimentare il processo di cottura. Viene adottato il principio della moderna grande fabbrica di controllo generale “che sembrava riflettersi anche nella specifica architettura dei nuovi formi dove il sistema di camere comunicanti disposte ad anello attorno ad un nucleo centrale, possono anche richiamare gli schemi panottici tipici degli edifici in cui produzione e controllo facevano parte di uno stesso disegno progettuale.” (Ornella Selvafolta, Architettura e industria nel cremonese, Archivio di Stato, Provincia di Cremona, Politecnico di Milano, Ottocento cremonese, III, Temi di architettura e urbanistica, Turris, Cremona,1993, p. 67)
I numerosi e importanti motivi di interesse offerti dallo studio della Frazzi
Oltre a essere stata per decenni una grande industria manifatturiera di rilievo europeo e aver realizzato processi produttivi e tecnologici innovativi, la Frazzi presenta anche altre significative peculiarità: la sua collocazione vicino al Po e ai tratti da cui scavare l’argilla, ma contemporaneamente a poche centinaia di metri da piazza del Duomo; la sua capacità di configurare, pur restando sotto molti aspetti perfettamente integrata nel centro storico di Cremona, uno spazio urbano tale da riassumere nella sua specificità i tipici caratteri della città-fabbrica della modernità. Seguendo le dinamiche di questo tipo di città, la fabbrica, la Frazzi ha progettato e costruito con cura gli spazi deputati alla produzione, alla riproduzione della forza lavoro e alla riproposizione delle gerarchie sociali (la bella villa padronale, con il suo e il suo canale d’acqua), concepisce una ben precisa idea di come realizzare l’interazione fra funzioni, individui, gruppi, classi, culture.
Lo spazio impedisce di sviluppare il tema delle innovazioni tecnologiche, gestionali e di promozione commerciale attivate in tanti decenni dalla Frazzi (fin quasi alla fine della sua storia). Per decenni i suoi laterizi arrivavano a un mercato mondiale, a partire dalla Germania, come attestano i cataloghi in più lingue e la notorietà acquisita in diverse esposizioni internazionali e i riconoscimenti, sia nel campo commerciale sia in quello della letteratura scientifica.
Sarebbe molto proficuo analizzare la documentazione, per altro raccolta e “inventariata”, oggi presente negli archivi della CGIL di Cremona.
Come mai è costretta a cessare la sua attività?
“L’esaurirsi delle cave d’argilla, una cattiva organizzazione degli approvvigionamenti da luoghi più lontani ed una complessiva diseconomia di gestione determinarono a partire dagli anni cinquanta e sessanta del nostro secolo, una serie di crisi in seguito a cui la fornace venne definitivamente chiusa.” (C. Selvafolta, p. 69)
È pura utopia ipotizzare che la sua eredità sociale e culturale possa essere d’insegnamento alle generazioni di oggi e del futuro?
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
Comune e Provincia di Cremona, Camera di commercio, Storia di Cremona. L’Ottocento, a cura di Maria Luisa Betri, Cremona, Bolis, 2005.
Comune e Provincia di Cremona, Camera di commercio Storia di Cremona, Il Novecento, a cura di Elisa Signori, Bolis, 2014
Saggio di Elisa Signori, Una metamorfosi inavvertita. L’economia cremonese nel lungo secolo breve Cremona e il suo territorio. Cariplo, 1998
Una trasformazione incompiuta (1945-62), G. Rumi, G. Mezzanotti, A. Cova
A cura di Giorgio Rumi, Gianni Mezzanotte e Alberto Cova.
* Temi di architettura e urbanistica, Cremona 1995, Cornelia Selvafolta, Architettura e industria nel Cremonese, pp. 65 sgg, e L Roncai, Produzione e uso dei materiali edilizi, pp. 79-105
* Uso e fortuna delle malte d’argilla nel Settentrione: prime ricerche a Cremona, “Te-Ma”, n. 1, pp. 44-53
* Mario Silla, Un intero quartiere lavorava alla Frazzi, “Mondo padano" 1984 …
*L. Bellingeri, Le fornaci Frazzi, in “Cremona. Rassegna della Camera di commercio, industria…”, 24 (1994), 2-3, pp. 21-26
*Fabrizio Loffi, Frazzi, una fornace che fece la storia, Mondo padano, 13 dicembre 2010
* Giovanni Gentilini, Giulio Grimozzi: La storia della Ceramica Frazzi raccontata da un testimone, “Cremona Produce”, ottobre-dicembre 1983, n. 4
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commenti
Michele de Crecchio
25 luglio 2021 17:16
Le ciminiere ancora conservate della vecchia e gloriosa Fornace Frazzi sono due.
La più vetusta sorge tra il Morbasco e il piazzale Cadorna, poco dietro l'originale palazzina degli uffici (che reca in alto le immagini delle medaglie ricevute dalla ditta in varie esposizioni internazionali). Tale palazzina è stata recentemente ridipinta di un inopportuno colore nero, subito dopo che il Comune l'ha alienata, costringendo la farmacia, che vi aveva trovato una comoda sede dotata di parcheggi, a trasferirsi nella trafficata via del Giordano.
La seconda, alta ben 51 metri, sorge al di là del Morbasco. Secondo la tradizione popolare, fu costruita da operai austriaci poco prima che scoppiasse la "grande guerra" del 15-18. Se ancora oggi è in piedi, il merito è del compianto ingegner Amilcare Seghizzi che ne seguì per anni le criticità statiche e ne diresse le opere di consolidamento strutturale appena in tempo per evitare il suo rovinoso collasso.
Daniro
27 luglio 2021 07:59
Se della gloriosa Ditta, legata al territorio come poche altre, é rimasta una tangibile testimonianza, lo si deve alle oculate scelte urbanistiche che ne guidarono la trasformazione. L'"archeologia industriale", oltre ai criteri di recupero paesaggistici e ambientali per la presenza del Morbasco e la vicinanza con la golena storica del Po, fu uno degli elementi guida per la costruzione del piano di recupero comunale. Mancò per vari motivi la fase che doveva recuperare il forno Hofmann come museo del laterizio e anche il dimezzamento del forno più antico verso piazza Cadorna non fu una buona idea. Molti allora proponevano un recupero integrale per trasformarlo in un esercizio pubblico. Peccato non averli ascoltati.