3 novembre 2023

4 novembre 2023. "Diàbolos" in greco antico significa "colui che divide". Chi divide è contro l'umano

Il 4 novembre sembra una data del destino, che associo al tragico presente in libere associazioni che qui trascrivo. Inizialmente attraverso metafore letterarie, poi in un’analisi etico-politica del presente. La parola greca “diábolos” rimanda ad un significato ricco di implicazioni anche per l’oggi. Diàbolos è sostanzialmente “colui che divide". Il premio Nobel per la letteratura nel 1961, il bosniaco Ivo Andric, con il suo romanzo Il ponte sulla Drina (1945), l’aveva capito bene, tant’è che vi inserì una fiaba, raccontata non a caso da un Iman, per illustrare proprio questo concetto. 

“Quando Allah il potente ebbe creato questo mondo, la terra era piana e liscia come una bellissima padella di smalto”. Il demonio per invidia decise di rovinare questa meraviglia e con le sue unghie tracciò crudeli solchi sulla sua superficie. “Così, come narra la storia, nacquero profondi fiumi e abissi che separano una regione dall'altra e dividono gli abitanti di una dalle altre, e disturbano coloro che viaggiano per la terra che Dio ha dato loro come giardino per il loro cibo ed il loro sostentamento”. Per rimediare a tale disastro mandò i suoi angeli che dispiegassero le loro grandi ali, in modo che diventassero ponti su cui le diverse genti potessero passare per incontrarsi, scambiarsi beni, parole e saluti. Conclude Andric: “Ovunque nel mondo, in qualsiasi posto il mio pensiero vada o si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell'uomo di collegare, pacificare e unire tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi”.

Scrisse il suo romanzo perché aveva visto il fuoco dell’odio che covava sotto la cenere della Jugoslavia, in particolare della Bosnia, dove gli odi e le vendette, nate nel Medio evo, erano ormai secolari e mai dimenticate. Da tale consapevolezza nacque una novella, Lettera 1920, scritta nel 1946. “Sì, perché la Bosnia è il paese della paura e dell'odio! Sì! Dell'odio, e la caratteristica fatale di quest'odio sta proprio nell'inconsapevolezza dell'uomo bosniaco di viverci dentro... ma il fatto resta: in Bosnia ed Erzegovina c'è molta più gente, rispetto ad altri paesi slavi del sud, che in questi momenti di odio inconscio, per ragioni differenti e motivazioni diverse, è pronta ad uccidere o a farsi uccidere!”. 

Purtroppo fu un ottimo profeta. Scomparso Tito, ecco ripartire odi, conflitti, vendette. Si ebbero i delitti contro l’umanità del conflitto degli anni ’90, con distruzioni e stupri di massa per umiliare e seminare odio, proprio là dove si erano sviluppati il dialogo e la convivenza. Le tensioni in Bosnia e Kosovo continuano e ad oggi i rischi di ripresa degli scontri interetnici rimangono assai alti. L’odio continua a scavare, le divisioni “diaboliche” alimentano costantemente rancori, paure, vendette, desiderio di andarsene da terre “maledette”. Risultato? I giovani partono, la natalità è ridotta al minimo. Le città in 50 anni saranno “città-fantasma”.

Il parallelismo con ciò che accade oggi in Israele e Palestina è palese: anche qui un odio infinito e azioni terroristiche che non hanno altro scopo che quello di scavare burroni, separare “popoli-fratelli”. Sì, popoli-fratelli, uniti dal progenitore comune Abramo, con un saluto che li affratella: Salàm, Shalom, la Pace sia con voi. Già Boccaccio, nel Decameron, il primo grande libro di narrativa della letteratura europea, aveva visto questa verità, illustrandola nella novella delle “tre anella”, dove un padre, avendo tre figli bravissimi e possedendo un anello preziosissimo, non sa a chi lasciarlo in eredità. Pensa allora di fare due copie perfette del suo bellissimo dono e le lascia ai tre figli, così che ognuno crede di essere l’unico a possedere la vera “fede”. Jan Assmann, grande studioso di religioni e di filosofie del ricordo, così commentò: “la verità della religione non si può dimostrare né storicamente né teologicamente ma solo nella pratica ovvero da un punto di vista performativo: attraverso i suoi effetti e non i suoi dogmi”. 

Purtroppo, guardando la storia, proprio attraverso la “messa in pratica” tale verità viene a crollare: quante sono state le guerre provocate in nome della fede cristiana e di quella musulmana convinte della propria assoluta verità? Infinite, e continuano. E gli Israeliani? In questi decenni non si sono forse messi sulla strada di condurre attacchi “costi quel che costi”? Quando poi qualche “uomo di buona volontà” vuole “costruire un ponte”, ecco che prevale la spinta delle divisioni più feroci. 

Si pensi al 4 novembre, che sembra diventare così una data del destino. Nel 1918 segnò per l’Italia la fine della Grande Guerra e la vittoria del nostro paese, celebrata anche nella convinzione che non ci sarebbero state più altre guerre. Ma le ragioni profonde dell’atroce contesa non vennero considerate, la pace senza “giustizia” era destinata inevitabilmente a fallire. Non si era capito quanto scritto dal nostro Giuseppe Cappi, futuro Presidente della Corte Costituzionale, nel 1919 nel primo anniversario del 4 novembre: “Quando una migliore giustizia… regnerà tra gli uomini e tra i popoli, quando non vi saranno più classi e nazioni che opprimeranno altre classi e altre nazioni, allora, e soltanto allora, i nostri morti avranno pace”. Non si capiva allora che quel conflitto era il primo atto di una guerra che finì nella primavera 1945 con il crollo dei regimi totalitari di Hitler e di Mussolini. 

Nel 1995 il 4 novembre, a Tel Aviv fu assassinato il Premier Israeliano Yitzhak Rabin, che dopo tante guerre tra Arabi e Israeliani (1948, 1967, 1973…) aveva firmato un importante accordo di pace con i movimenti e gli stati arabi, con la mediazione di Bill Clinton. In seguito alla firma di tali accordi Rabin ottenne insieme ad Arafāt e Simon Peres il premio Nobel per la pace del 1994. Ma il diavolo ci rimise la coda: dopo gli accordi del settembre 1995, Rabin cadde vittima di un attentato da parte di estremisti di destra israeliani. Ripresero gli attentati da una parte e dall’altra per perpetuare l’odio tra popoli che convivono su una stessa terra: ci fu il massacro di Hebron del 1994, quando un israeliano con un fucile d’assalto uccise 29 palestinesi musulmani in una moschea riuniti in preghiera; assistemmo agli attentati suicidi palestinesi rivendicati da Hamas tra il 1995 e il 1996. Debbo continuare? Ciò che è accaduto negli anni successivi è una lenta deriva da quel 4 novembre 1995.

Nasce spontanea a questo punto una domanda quasi brutale tanto è diretta: se il tuo vicino di casa è un assassino, è legittimo uccidere i suoi figli? L’idea di fondare stati sul sangue di vittime innocenti da quel momento non ha più abbandonato la terra di Palestina e di Israele. Il diavolo, prodotto dall’odio degli uomini, lavora bene. E oggi? Proprio quando si era alla vigilia di uno storico accordo tra Israele e l’Arabia Saudita, che poteva chiudere il cerchio dei cosiddetti “Accordi di Abramo”, abbiamo assistito impotenti ad un attacco dei “tagliagole di Hamas”, non contro obiettivi militari, ma teso unicamente a creare vittime innocenti, in modo da scatenare di nuovo odi e desideri di vendetta che covavano sotto la cenere. 

Ancora una volta Israele non si è tirata indietro, cadendo quasi per necessità nella trappola di creare martiri anche dall’altra parte. Ci si è scandalizzati per le parole del Segretario generale dell’ONU Guterrez quando affermava che gli attacchi israeliani nella striscia di Gaza sono contro il diritto internazionale, e si sono chieste le sue dimissioni, nascondendo volutamente le sue frasi rivolte al campo opposto: "Le lamentele del popolo palestinese non possono giustificare gli orribili attacchi di Hamas… Quegli orrendi attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese". Su questa strada ci si avvia inevitabilmente ad una guerra senza soluzioni che si protrarrà nel tempo. Fino a quando?

John Kennedy, quando fu presidente USA, in politica estera si atteneva ad un principio: lasciare sempre all’avversario sconfitto il modo di salvare la faccia. Così condusse la crisi dei missili sovietici Cuba nel 1992 e giunse con Kruscev ad una soluzione condivisa e onorevole. Anche in questa contesa infinita in Medio Oriente, occorre che entrambi i nemici abbiamo la possibilità di salvare la faccia. 

Per questo non ha senso, e penso sia “criminale” porsi come obiettivo l’eliminazione dello Stato di Israele negandogli il diritto di esistere. Stanno tornando le svastiche, i negozi degli ebrei vengono di nuovo marchiati con la stella di Davide. Ma anche scatenare una guerra per l’eliminazione totale di Hamas, col sacrificio inevitabile della popolazione della striscia di Gaza e degli ostaggi non è meno esecrabile. Come esecrabili sono le manifestazioni che invocano “crociate” contrapposte – contro l’Occidente o contro l’Islam – che segnano il ritorno ad uno spirito antisemita o antimusulmano, e negano ogni dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ci sono ancora, forze politiche, religiose, movimenti, che hanno bisogno di un “nemico” per esistere e per fare proseliti.

Cosa c’è nel futuro di Israele, di Gaza e della Cisgiordania? Quando si inizia una guerra di questa portata bisognerebbe saperlo. Questa è la domanda cruciale, sia per la componente musulmana sia per quella israeliana. I partiti dell’estrema destra israeliana, e anche lo stesso Likud, il partito di Netanyahu, non hanno mai abbandonato l’idea della “Terra Promessa”. E’ volontà di Dio ricostruire l’intero stato di Israele di Davide e Giacobbe? Anche attraverso conflitti armati o favorendo l’espansione dei coloni, e quindi prospettando sul lungo periodo la possibilità di allargarsi, in pace o in guerra non importa, verso Gaza, la Cisgiordania, parte del Libano e della Siria? Leggendo le notizie di oggi sui coloni israeliani, emergono frasi come: “Dio ci dice che dobbiamo stare qui”. Il “Dio è con noi” l’avevamo letto in un’altra lingua, non ricordate? Oppure: “Abbiamo mandato via tutti gli arabi. Ci espanderemo”. O ancora cartelli con scritto: “Vendetta!”. I cammini dell’odio continuano. Gli altri hanno dei diritti? Certo che no. Non a caso un quotidiano progressista di Tel Avis scrive: “I due punti più bassi del Pianeta sono in Israele: il Mar Morto e il comportamento di Benjamin Netanyahu. Uno è una meraviglia della natura, l'altro un errore politico”. 

Ho letto in questi giorni l’auspicio che ci sia tra i Palestinesi un “nuovo Mandela”, il genio della pacificazione tra comunità bianche e nere in Sud-Africa alla fine dell’apartheid, evitando vendette e ritorsioni tra comunità contrapposte. Personalmente ritengo che tale auspicio debba essere rivolto anche alle comunità israeliane. Non uno, ma due Mandela, che riaprano un dialogo, che non pretendano di umiliare o annientare “l’altro”. Le donne ebree, arabe e cristiane, con manifestazioni che si stanno diffondendo in tutto il mondo, hanno dato in questi giorni una risposta inequivocabile: “Fermatevi ora, non uccidete più i nostri figli”.

So che quanto dirò non rientra nei “codici diplomatici” consolidati, ma qualche suggerimento etico mi arriva nella mente, rifacendomi all’esempio di Mandela e della recente “Disciplina organica della giustizia riparativa” (D.LGS. 10/10/2022, n.150), nata proprio partendo dalle pratiche di giustizia sudafricane. Si tratta di un modello di giustizia non direttamente punitivo ma intrinsecamente relazionale, con il coinvolgimento delle parti nella soluzione del conflitto. Al centro si pone la questione del “riparare”, che non è semplicemente “risarcire”, in una visione aperta non solo e non tanto al passato o al presente, ma ad un futuro che deve riguardare il “benessere” – i diritti - sia dell’offeso che del soggetto che ha provocato l’offesa. Il punto più delicato riguarda la necessità di collocare al centro del processo di riparazione il percorso di assunzione di responsabilità di entrambi. Il modello presuppone la presenza di un mediatore equidistante, dotato di grande autorevolezza e riconosciuto da entrambe le parti. Sarà possibile? 

Concludo. L’essere umano è intrinsecamente relazionale. Prima della nascita il feto è in rapporto con il corpo della madre. Al momento della nascita e per molti anni vive e cresce perché qualcuno si è preso cura di lui, addirittura perché qualcuno ha avuto “pietà” di lui. La famiglia umana si fonda, permane e si sviluppa su questo legame caritatevole degli uni nei confronti degli altri indifesi. Spesso questo legame viene spezzato: è entrato in gioco il “diàbolos”, il demonio, colui che divide, rifiutando ciò che di umano lega gli esseri umani tra di loro: la relazione, il vincolo affettivo, il riconoscimento reciproco, la solidarietà, l’accoglienza, l’empatia come capacità di sentire gli stati d’animo degli altri. 

Se non si crede in queste cose ci si pone dalla parte del “diàbolos” e qualsiasi accordo di pace non diventa che una tregua per più o meno prossime crudeltà, feroci contese, guerre distruttive. E il 4 novembre 2023, che data storica diventerà?

 

 

Carmine Lazzarini


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