24 agosto 2025

Convertirsi, un verbo che si coniuga solo al presente

Le parole di Gesù che ascoltiamo in questa domenica prendono avvio da una domanda che circolava fra gli esperti di dottrina del tempo:” quanti sono i salvati da Dio?”. A contatto con persone non appartenenti alla fede di Israele, con alcune delle quali i rapporti non erano nemmeno cattivi, ci si chiedeva se fra i giusti salvati ci sarebbero stati solo gli ebrei. Va ricordato che nella Bibbia ci sono due libri che in modo provocatorio parlano di salvezza per gli stranieri: il libro di Rut e il libro di Giona, senza dimenticare la figura di Giobbe, un giusto non ebreo di cui Dio stesso esalta la fede.

La domanda valeva anche all’interno dello stesso mondo ebraico: se per molti l’appartenenza al popolo dei Patriarchi era ritenuta sufficiente, altri sostenevano che la salvezza dipendesse dalle opere compiute.

La risposta di Gesù di fatto sostiene la lettura più esigente: non basta essere appartenenti alla religione di Abramo per essere salvi, è necessario che le opere testimonino in favore della propria fede. Gesù non si preoccupa di indicare quantità generiche (tanti, pochi, pochissimi) e pur riferendosi principalmente al contesto del tempo, quanto Egli dice è utile anche per noi, per i lettori del racconto di Luca, per coloro che portano su di sé il nome di Gesù e si dichiarano suoi discepoli. 

Innanzitutto Gesù dice che ci si salva combattendo e faticando per passare attraverso la porta stretta. Potremmo parafrasare dicendo che se tutte le strade portano a Roma, non tutte portano in Paradiso. Ci sono vie che sono apparentemente giuste, spaziose, comode, ma la loro destinazione non è quella che ci si aspettava. Ci sono porte giuste e porte sbagliate, e sceglierne una non è come sceglierne un’altra. La porta attraverso cui ci si deve sforzare di passare è quella di Gesù. Ancor di più: è Lui la forma stretta che il cristiano deve assumere per entrare nel Regno. Molti in questo anno santo avranno attraversato la Porta Santa di San Pietro o una delle altre quattro Basiliche papali. Queste porte sono grandi, spaziose, larghe. Attraversarle non è difficile, ma sono solo un segno. La vera porta da attraversare (ogni giorno) è il Vangelo, che chiede necessariamente una complessa dieta per poter essere “indossato a misura”: “molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”. Non è mai mancata e non mancherà mai la misericordia di Dio, ma non può mancare nemmeno l’impegno umano che dà spazio alla misericordia, così che il cuore possa lasciarsi trasformare. Se Dio fa sicuramente la propria parte, anche l’uomo è chiamato a fare la sua, sforzandosi di prendere la misura di Dio per la sua vita.

La porta oltre che stretta è anche a rischio di chiusura. Non è sempre aperta, perché Dio bussa al cuore dell’uomo, senza stancarsi, ma ricordandoci che c’è un momento in cui il tempo finisce e sarà troppo tardi. Gesù qui parla con il linguaggio profetico della minaccia: un invito pressante alla conversione. Non si può trarre da queste parole una contrapposizione tra misericordia e giustizia. Dio è giusto perché misericordioso, e viceversa. Eppure la misericordia di Dio non può diventare una scusa per rimandare all’infinito la scelta del cambiamento di vita. Convertirsi è un verbo che si può coniugare solo al presente, chi lo pone al futuro misconosce il Vangelo.  

Di fronte alla porta chiusa non ci sono diritti di cui chiedere il riconoscimento o referenze da presentare. La familiarità con il Signore alla Mensa eucaristica, l’ascolto della sua parola, l’essere stati in sua compagnia magari anche con lunghe e ricercate preghiere, non sono giustificazioni sufficienti quando la porta sarà chiusa. Dicevano i profeti che non si poteva essere autenticamente ebrei se ad essere circoncisa era solo la carne e non il cuore, così Gesù dice che non si può essere autenticamente cristiani se il Battesimo è stato solo un rito e non un’immersione che segna tutta la vita (parole, opere, scelte, pensieri, preghiere).

Infine le parole di Gesù ci rivelano che la salvezza non può essere prevista, calcolata, misurata, prestabilita, etichettata attraverso categorie umane e modi terreni di pensare. Anche noi dobbiamo riconoscere che a mensa con i Patriarchi e i Santi ci potranno essere molti di cui non sospettiamo minimante la fede e l’adesione al Vangelo, mentre ci potremmo stupire di non vedere chi diamo per scontato che abbia già un posto prenotato. Fra i “presunti garantiti” le parole del Vangelo ci ricordano di includere anche noi stessi: “vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori”. Nessuno può essere certo della propria salvezza, ciascuno con timore e tremore la implora come dono, cercando di corrispondervi al meglio che può, senza smettere mai di provarci, invocando sempre Dio affinché ci rialzi nelle nostre cadute.

“Ma…. Quindi saranno pochi o tanti quelli che si salvano?” 

Non è questa la domanda giusta da porre, perché i conti, in materia di fede, di salvezza e di giudizio, li lasciamo a Dio che in questi argomenti si rivela sempre geloso dei suoi criteri. La domanda giusta da fare a noi stessi è invece un’altra: “io, sono sicuro che le mie scelte e opere mi pongono dalla parte giusta?”.  

Francesco Cortellini


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