28 settembre 2025

Giuseppe Verdi e il suo territorio sono di tutti, nessuno escluso

Alcuni giorno or sono, più precisamente il 25 settembre, con una particolare cerimonia, svoltasi a Piacenza, è stato presentato al pubblico in anteprima nazionale, alla presenza del regista Riccardo Marchesini, il docufilm dal titolo “Le stanze di Verdi” a cura di Pupi Avati.

Il ritrovato interesse per la figura di Giuseppe Verdi nasce non dalla necessità di approfondire aspetti ancora poco conosciuti della sua carriera artistica, piuttosto è un'occasione per farci scrutare, grazie agli occhi del protagonista del film, impersonato da dall'attore Giulio Scarpati, le origini familiari del Maestro e il suo lascito non solo culturale ma soprattuto patrimoniale. Un itinerario geografico che porterà il protagonista a viaggiare da Piacenza alle Roncole, da Busseto a Milano, per poi tornare a Villanova d'Arda e a Sant'Agata, accompagnato dal suo Virigilio, l’avvocato Marco Corradi coprotagonista del docufilm.

Differenti letture possono essere fatte del docufilm “Le stanze di Verdi” e questo dipenderà dal punto di vista dello spettatore, intendo che dipenderà dalla cultura dell'individuo che osserva, dalle sue origini geografiche. Il patos che sente il protagonista, scoprendo luoghi e persone a lui totalmente sconosciuti, la distanza emotiva che riesce a tenere da quello che viene a scoprire durante il suo percorso geografico, è soprattuto stupore per le tante novità riguardanti le attività “collaterali” di Giuseppe Verdi, di imprenditore e benefattore. Potremmo affermare che quanto vediamo nel film è come una geostoria verdiana, osserviamo infatti l'evoluzione di un territorio in rapporto alle sostanze che Giuseppe Verdi vi ha lasciato, luoghi ove ha vissuto. Le immagini, preziose e seducenti, che defilano, e seguono il percorso dell'automobile che permette di accompagnare il protagonista nell'itinerario deciso dal suo “Virgilio”, sono come istanti di una carta geografica mentale che si trasforma in un territorio, si passa dalla rappresentazione di quello che noi credevamo di sapere, alla realtà odierna dei luoghi verdiani. Come dicevo la lettura e l'interpretazione del film dipenderà dalla sensibilità e dal territorio di provenienza dello spettatore, ci sono immagini e storie raccontate che parleranno molto di più a chi tradizionalmente è legato per storia familiare alle terre piacentine, parmensi e cremonesi, e questo potrà innescare critiche, rivalità, antagonismo campanilistico. Perché scrivo questo? Per ricordare che il docufilm è liberamente ispirato dal libro di Marco Corradi “Verdi non è di Parma” del 2023, che riprende e amplia le ricerche storiche archivistiche realizzate dalla studiosa statunitense Mary Jane Phillips-Matz, pubblicate nel libro “Verdi. Il grande gentleman del Piacentino”, edito nel 2001.

Il protagonista per fortuna è come un antropologo che mantiene una corretta distanza con le cose osservate, ci permette di osservare e ascoltare i racconti delle persone che incontra nel suo itinerario verdiano, ognuna intimamente legata al territorio nel quale visse Giuseppe Verdi, pertanto sul piano comunicativo fortemente condizionate da questo, dalla prossimità con quei luoghi. Anche il film è stato possibile solo grazie a sponsor locali (piacentini) che sembrano gareggiare sul piano comunicativo, quasi fosse un certame, con altrettante realtà parmigiane. Se sapremo uscire e superare questa prossimità che noi abbiamo con quei territori, saremo in grado di ritrovare l'armonia giusta affinché i differenti protagonisti, che oggi cercano di trovare una soluzione all'abbandono nel quale si trova il patrimonio verdiano (la Casa di Sant'Agata, l'Ospedale di San Giuliano piacentino e via dicendo), possano agire nell'interesse collettivo e non solo di una parte. Giuseppe Verdi e il suo territorio sono di tutti, nessuno escluso. La semiologia, la scienza che studia i segni, afferma che la distanza relazionale tra le persone è correlata dalla distanza fisica, e che l'oscurità tende a far accorciare le distanze tra le persone; credo allora che la sala oscura del cinema potrebbe essere il luogo giusto per ritrovare quell'armonia che ci manca. Il docufilm è il riflesso di quello che noi siamo, il racconto sembra invitarci ad essere come il protagonista del film, con quel candore infantile con il quale scopre i luoghi verdiani, e sembra invitarci ad una catarsi per liberarci dalle situazioni conflittuali che spesso governano i sentimenti e i pensieri di chi dovrebbe occuparsi della salvaguardia delle “stanze di Verdi”.

Enrico Maria Ferrari


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