Il grattacielo: ascesa e caduta della Babele moderna?
“Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra (…). Ma il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. (Genesi, 11, 4-9)
Questa è la ben poco edificante, oltre che piuttosto breve, storia del primo grattacielo mai narrato dagli uomini. Per la verità, come eminentemente ci spiega il Cardinale Ravasi, “Il senso è, però, limpido: la diversità è necessaria. In realtà la torre di Babele è il simbolo di un'unità obbligata e artificiosa, una globalizzazione forzata. L'autentica diversità è, invece, ben altro: è la ricchezza dei colori dell'arcobaleno”. Più che una breve esegesi biblica, un vero capolavoro di diplomazia vaticana che salva il buon Dio ma anche la cultura LGBT. Sta di fatto che fin dagli albori della civiltà “il grattacielo” ha coinciso con il potere, e mai come oggi ci accorgiamo che è proprio uno dei simboli assoluti della globalizzazione, ovviamente all’americana: in tutto il mondo ogni nazione, anche la più moribonda, si è fatta i suoi grattacieli che sono e restano il più americano di tutti i simboli.
La torre di Babele pare fosse in realtà una delle grandi ziqquràt di Babilonia, quelle piramidi a giganteschi gradoni quadrati che in Egitto sorsero prima delle magnifiche piramidi triangolari, ma che testimoniano oltre ogni dubbio che da quando esiste la cosiddetta civiltà l’uomo ha sempre sentito il bisogno di salire verso i cieli o quantomeno da staccarsi da terra. Da sempre, l’uomo vive un desiderio misto di avvicinamento a Dio e di dominio sulla terra. E in effetti, chi nella storia, ieri come oggi, più in alto può abitare, più è considerato in società. Ricordo che il compianto don Marco Lunghi amava raccontarci a modo suo la comune etimologia dell’aggettivo “assiderato” e del sostantivo “considerazione” in senso di ruolo sociale: i grandi sacerdoti-astronomi del passato che passavano le notti a studiare gli astri in cima alle torri erano estremamente cum-siderati in società (con le stelle letteralmente) ma spesso a causa dell’escursione termica e dell’età finivano morti di freddo (a-siderati, letteralmente senza le stelle).
Per la verità, lo stesso Leonardo da Vinci quando immaginò nella Milano sforzesca la sua città ideale, la immaginò che si sviluppava in altezza, e senza troppo ecumenismo, i ricchi abitavano i piani alti lontani da rumori e sporcizie, mentre i poveri stavano a quelli bassi nel caos dei commerci e degli scarichi dei piani di sopra…direi che il genio toscano in un certo senso ci abbia visto lontano anche in urbanistica…
Alle piramidi di varia foggia seguono le mirabili cattedrali gotiche, capolavori assoluti dell’arte religiosa che esprimono una incontenibile necessità dell’uomo di avvicinarsi quanto più possibile a Dio, lanciando dei veri e propri “ponti” di marmo e pietre meravigliosamente decorate.
E che dire della Tour Eiffel? Nella Parigi della Belle Epòque, la più bella e famosa città del mondo che si preparava ad ospitare l’esposizione universale del primo anno del ‘900 si scelse, non a caso, di salire in altezza: 300 metri di ferro e bulloni, una cosa mia vista nella storia dell’umanità che ancora oggi è simbolo universale di Parigi. L’altezza, prima di tutto.
Più le società diventano ricche e potenti, più tentano di salire. Motivi religiosi spesso, ma anche politici: lo sguardo dall’alto è da sempre ritenuto sinonimo di controllo e conoscenza.
E arriviamo così ai grattacieli, i simboli assoluti del ‘900 e degli anni 2000, la cifra architettonica della nostra contemporaneità, l’unica cosa che lasceremo di noi ai posteri… non a caso in tutti i film apocalittici se ne vedono gli scheletri tra mare e sabbia, la fine della torre di Babele non cessa di abitare i nostri presagi.
I gratta-cieli sono oggettivamente una “americanata”: il nome orrendo viene letteralmente dall’inglese “sky-scraper” (cielo-grattare) e infatti sono totalmente made in USA. Il primo grattacielo della storia pare fu l'Home Insurance Building di Chicago, realizzato nel 1885 da tale William Le Baron Jenney: solo 10 piani, ma per la prima volta si usava l’acciaio nelle strutture per evitare gli incendi. Da allora in poi, la marcia dei grattacieli in acciaio e vetro è stata inarrestabile, fino agli incredibili 1.000 metri del più alto mai realizzato, la Jeddah Tower in Arabia Saudita: più si diventa ricchi, più si vuole salire in alto, anche in mezzo al deserto. Ironia delle lingue, in inglese “crap” significa fare la cacca, e in effetti l’impressione che certi skys-crapers siano delle vere cagate ci viene abbastanza naturale…
In Italia ne abbiamo pochi, anzi pochissimi: non li abbiamo mai amati e ancora non li amiamo. Milano è l’unica a fare eccezione, ne ha una lunga tradizione: dai primissimi in Italia, la Torre Rasini del duo Lancia-Ponti e la Torre Snia di Alessandro Rimini negli anni del Fascio che sognava l’Impero, ai capolavori del boom come il Pirellone di Giò Ponti o la Torre Martini di Mattioni, fino alle avveniristiche strutture anni 2000 delle archistars internazionali come la Hadid, Libeskind, Pelli etc…
Qualche giorno fa mi sono preso la briga di leggere i quasi 300 commenti Facebook ad un articolo di Wired.it sui più alti del pianeta, ebbene il 90% degli utenti italiani demoliva i grattacieli sia per l’eccessiva altezza da terra che snatura il panorama che si gode dal di dentro, sia perché li ritiene degli alveari alienanti in cui la vita sociale è resa impossibile. Per quasi tutti, molto meglio un casolare in Toscana, che peraltro costa meno di un appartamento in un grattacielo: il Bosco Verticale di Boeri costa circa 15.000 euro al metro quadro, il che significa che per un trilocale di 100 metri dovete sborsare almeno 1 milione e mezzo di euro e circa 1.500 euro al mese di spese condominiali… Se invece lo volete in affitto, preparatevi a tirare fuori almeno 7.000 euro al mese (si, avete capito bene), altro che un casolare in Toscana!
Vero è che Milano negli ultimi anni ha realizzato grattacieli avveniristici e di archistars internazionali, e in quanto tali destinati a persone assolutamente abbienti o a grandi ricchissime società, ma resta il fatto che essi si sono rivelati praticamente inaccessibili e sono mezzi vuoti. E se pensiamo che secondo gli urbanisti le città del futuro saranno fatte di altissime torri con verde pensile immerse in giganteschi parchi, la prospettiva è interessante ma non certo rassicurante: risparmio di suolo e abbondanza di verde, ma saremo tutti abbastanza ricchi? Se l’alternativa sono gli alveari zozzi e claustrofobici di Shanghai, beh speriamo proprio di sì…
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commenti
michele de crecchio
25 agosto 2022 23:44
Passano gli anni, io divento sempre più vecchio e critico. L'unico "grattacielo" che continuo ad ammirare è il milanese mitico "pirellone" di Nervi, Ponti e Rosselli, mentre neppure il restauro in corso della culturalmente ben più pretenziosa la "torre Velasca", riesce a farmela piacere. Cinicamente devo anche confessare che quando i terroristi arabi riuscirono a demolire i due orrendi e banali grattacieli costruiti per ospitare il Centro Mondiale del Commercio, mi illusi che alla scelta
sadica dei due edifici gemelli destinati alla distruzione avesse contribuito anche un residuo di sensibilità estetica. Erano infatti, se li ricordo bene, caratterizzati da una bruttura e da una banalità decisamente sconcertanti.