Immersi nello Spirito per essere figli come Gesù
“L’Epifania tutte le feste porta via”. Si potrebbe fare un’indagine e probabilmente si conterebbero sulle dita di una mano le persone che non hanno mai sentito questo detto. Tuttavia oggi non è più così vero, poiché il Tempo di Natale non finisce con l’Epifania e benché quel giorno si possa considerare l’ultimo del periodo festivo vero e proprio (anche perché termine delle vacanze per molti), l’ultima festa del Natale è quella che si celebra nella domenica che segue immediatamente il 6 gennaio: il Battesimo di Gesù.
A turno, in questa domenica viene letta una delle tre narrazioni della scena evangelica secondo le versioni di Matteo, Marco e Luca. Nella presentazione del fatto i tre racconti sono estremamente simili, anche se ciascuno ha qualche specificità che lo distingue dagli altri. È a partire dalla versione di Luca che oggi riascoltiamo il racconto del battesimo e cerchiamo di cogliere qualche suggerimento per la vita personale di ciascuno.
La prima osservazione ci viene offerta è la differenza fra il battesimo di Giovanni ricevuto da Gesù e il Battesimo di Gesù ricevuto dai cristiani, benché si tratti sempre di acqua nella quale si viene battezzati (cioè immersi, perché questo è il significato del verbo greco “battezzare”). Mentre Gesù e i suoi contemporanei venivano immersi nell’acqua del Giordano, segno di conversione e di ritorno all’osservanza della Legge, come il popolo di Israele che scese in quel fiume per entrare nella Terra Promessa ai tempi di Giosuè (Gs 3), i cristiani che ricevono il Battesimo vengono immersi nel dono dello Spirito.
Con estrema coerenza Luca presenta all’inizio del suo racconto evangelico le parole di Giovanni sull’azione futura del Messia e all’inizio del suo secondo libro, gli Atti degli Apostoli, parla della realizzazione di queste parole nel giorno di Pentecoste in cui lo Spirito si manifesta come lingue di fuoco e immerge (battezza) i discepoli in Sé rendendoli così capaci di annunciare la morte e risurrezione di Gesù a tutti gli uomini, cominciando da Gerusalemme.
Celebrando la festa del battesimo di Gesù, ciascuno di noi è chiamato a ripensare al proprio Battesimo, per essere più consapevole che in quel gesto ricevuto una volta nella vita, è stato immerso nella vita di Dio, divenendone figlio mediante il dono dello Spirito Santo e come gli Apostoli a Pentecoste, è divenuto discepolo e annunciatore del Vangelo. Oltre e più che un’immersione di conversione, l’immersione con cui si diventa cristiani, parla della nuova dignità che all’essere umano viene donata e di cui in particolare san Paolo si fa sensibile portavoce, come mostrano molti passi delle sue Lettere, qui uno per tutti: “che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: ‘Abbà! Padre’. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Gal 4,6-7).
A partire dal Battesimo che si è ricevuto, possiamo ora soffermarci su tre atteggiamenti di Gesù che divengono per noi un esempio da imitare.
Il primo atteggiamento è la solidarietà di Gesù con tutto il popolo che si reca da Giovanni come ha fatto Lui. In questo aspetto possiamo vedere un riflesso del mistero dell’incarnazione che si celebra nel tempo di Natale, ma anche qualcosa in più. La solidarietà di Gesù è vicinanza e prossimità di Dio con tutti gli uomini, senza vergogna di stare con gli ultimi, con quelli che si riconoscono e sono peccatori (sappiamo che i capi del popolo non hanno accolto la predicazione di Giovanni). L’unione con la condizione divina che viene donata nel Battesimo e di cui il cristiano è consapevole, si unisce senza distinzione possibile, alla solidarietà con ogni uomo, nonostante egli possa essere ultimo e peccatore. In questo modo la festa di oggi diviene un richiamo ad unire in tensione sempre costruttiva i due aspetti che fanno del cristiano un salvato e un pellegrino. Salvato per grazia, il cristiano è sempre anche pellegrino sulla via dell’amore che giorno per giorno deve imparare da Gesù, per diventare solidale con gli ultimi, senza aver mai paura di stare dalla loro parte; ultimi che sono anche gli esclusi da qualche sistema (compreso quello religioso), aiutando ciascuno a sentirsi amato e a trovare la strada per rinnovare, quando necessario, il suo abbraccio con la Chiesa istituzione per la quale nessuno può mai essere un lontano.
Il secondo atteggiamento che ci viene offerto da Luca è la preghiera di Gesù. A differenza di Matteo e Marco nei cui racconti lo Spirito discende su Gesù nel momento del battesimo, nel testo che oggi si legge la discesa dello Spirito avviene dopo il battesimo, mentre Gesù si trova in preghiera. Nel suo racconto Luca insiste molto sulla realtà della preghiera come condizione di vita del cristiano e questa insistenza oggi parla a noi della dimensione trascendente della fede. Il cristiano tanto vive la solidarietà con gli ultimi, quanto vive la solidarietà con il Padre nella preghiera. Contro ogni tentazione di dissociare servizio e rapporto con Dio, Luca insiste nel dirci che le due realtà vanno sempre insieme e anche questo oggi interpella ciascuno, chiedendoci se la preghiera sia o meno realtà presente nella nostra vita.
Infine, l’ultima sottolineatura che cogliamo è la dimensione tragica e gloriosa che questo brano di Vangelo spalanca davanti a noi. I cieli aperti parlano della parola di Dio che finalmente di nuovo si manifesta nella storia del popolo, ma quando questa parola viene pronunciata rimanda indirettamente alla croce che aspetta Gesù. I titoli con cui il Padre parla del Figlio richiamano tre passi della Scrittura in cui si parla del Messia rifiutato dai grandi della terra (Sal 2), di Isacco che sta per essere immolato (Gen 22), del servo di Yhwh celebrato nel primo canto che il profeta gli riserva (Is 42), preludio degli altri tre in cui si parla della sofferenza e della morte di questo personaggio. Quest’ultima osservazione ci porta a ricordare che oggi ancora il cielo di Dio è aperto per noi; oggi ancora Egli ci parla e risponde ai nostri bisogni attraverso il Vangelo di Gesù; oggi ancora Egli è accanto a noi e ci invita a non aver paura di guardare al suo Figlio e alla sua storia, a non temere per la nostra vita la parola della croce, parola che è sempre di morte e di vita, parola di speranza, nonostante tutto.
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