L’integrazione dei musulmani in Occidente: solo un meritevole auspicio
Nel corso dell’ultimo decennio, le tensioni tra norme islamiche e norme europee, sono diventate frequenti in tutto il continente. Per citarne soltanto alcune da una lista lunga e in continua crescita, queste controversie riguardano il velo integrale indossato negli spazi pubblici; gli accomodamenti nelle piscine e nei centri sportivi; i crocifissi nelle aule scolastiche, la preghiera durante la ricreazione nelle scuole e l’educazione sessuale in classe ecc.. Tuttavia, nel confronto con le componenti meno intransigenti, si coglie talvolta la condivisione della necessità che i musulmani d’Italia e d’Europa debbano integrarsi con la comunità che li ospita. Chi afferma questo però, dimentica che l’unica prospettiva condivisibile da parte dell’Islam è quella che propone la convivenza della Ummah (comunità dei musulmani), in quanto tale, con la comunità del popolo che ti ospita, nella chiusura più totale, però, verso la condivisione di rapporti interpersonali di carattere religioso, culturale, politico e, soprattutto, familiare.
Sono molte le cose che si potrebbero dire anche a suffragio della prospettiva che distingue i musulmani in Europa tra gruppi mainstream e gruppi radicali. Tra i radicali si trovano gli islamisti (i Fratelli musulmani e i movimenti ideologicamente affini), i salafiti (cioè i musulmani che aderiscono agli insegnamenti dell’apparato religioso saudita), i membri di Hizb al-Tahrir e altri. I leader religiosi affiliati a questi gruppi divergono fortemente su alcune questioni, ma condividono anche loro un senso di suprematismo islamico, l’idea cioè che la legge islamica si applica a tutti gli aspetti della vita. Si tratta di visioni che non producono di certo integrazione. Oltre a questo, l’esteso catalogo dei diritti occidentali contrasta con i rigidi dettami in cui l’islam rinchiude i propri credenti. La Shari’a si fonda su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra la comunità dei musulmani (Umma) in quanto tale e le singole sue componenti. Ognuna di queste disuguaglianze è, per tutti gli ordinamenti democratici, intollerabile.
La mentalità dominante – oggi - è che si dovrebbero moltiplicare gli sforzi per incoraggiare le persone provenienti dall’immigrazione a integrarsi. Tuttavia, se si va oltre le pur meritevoli dichiarazioni di auspicio, si coglie che l’idea d’integrazione cui si guarda è impropria. Il problema dell'integrazione dei musulmani nella società occidentale è un problema di volontà: gli islamici rifiutano di integrarsi. Benché nei paesi islamici le minoranze religiose vengano protette (in quanto dhimmi, “popoli del patto”), una tendenza analoga non è mai avvenuta storicamente: ovunque emigrino le comunità musulmane mirano a imporre la propria fede. Un processo favorito dalla tolleranza religiosa e dal pluralismo democratico dei paesi occidentali, che i musulmani vedono come occasione per la da'wa, missione di ecumenica islamizzazione, e non come tutela dei diritti delle minoranze. Tutela che viene sfruttata strumentalmente per creare veri e propri “ghetti volontari”, società parallele nei quali i caratteri identitari finiscono per essere estremizzati e amplificati, in conseguenza allo sradicamento dalle strutture sociali tradizionali, favorendo una opposizione frontale con la società ospite (dinamica che in sociologia viene definita “integrazione esternalizzata”).
Oggi, dopo il fallimento dell’idea di multiculturalismo, si dovrebbe avere il coraggio di ammettere che parlare di integrazione tra mondo musulmano e occidentale è improprio. Al massimo, si può parlare e auspicare in una pacifica convivenza tra popoli di religioni diverse senza dimenticare, però, che anche se la libertà di religione è protetta dalle leggi democratiche dell’Occidente, la pratica religiosa non deve dispensare dal rispetto delle leggi.
Sociologa e scrittrice
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