La carità, il collirio per guarire i nostri occhi
“Chi ha poca carità vede pochi poveri; chi ha molta carità vede molti poveri; chi non ha nessuna carità non vede nessuno”. Queste parole scritte da don Primo Mazzolari in La via crucis del povero, mi sembrano il più pertinente commento al testo evangelico di questa domenica estiva.
Al dottore della Legge che lo interroga per sapere cosa “fare” per ereditare la vita eterna, Gesù risponde chiedendogli di imparare a “guardare” il mondo con gli occhi del samaritano presentato nella parabola che il Maestro racconta. È dallo sguardo che nasce il gesto e la decisione di compierlo. Là dove il sacerdote e il levita “vedono” ma passano oltre, il samaritano, da tutti noi definito buono in virtù del suo comportamento, “vide e ne ebbe compassione”. A differenza dei due passanti che lo hanno preceduto, il suo vedere si è compiuto con gli occhi della carità, non è stato quello semplicemente vissuto con gli occhi del corpo.
Quante situazioni i nostri occhi vedono senza che il cuore ne sia toccato. C’è un vedere diverso, che spinge all’azione, che porta a comprometterci, a metterci in gioco in favore e in aiuto dell’altro. Chi è innamorato sente il bisogno che vive la persona amata, lo percepisce a partire da un semplice sguardo fugace. Chi non ama non si accorge, non riconosce, non percepisce. Vede, ma passa oltre, perché non capisce e non può fare altro. È probabile che il dottore della Legge abbia interrogato Gesù per ricevere una ricetta, una risposta puntuale e precisa. Forse si aspettava l’invito ad applicare bene una norma desunta dalla Legge, come già egli stesso aveva detto a Gesù combinando i passi provenienti da due diversi libri del Pentateuco.
Interrogato una seconda volta da quest’uomo, Gesù risponde con l’invito alla pratica di uno stile di vita, poiché la Legge, anche quella espressa in nome di Dio, rischia sempre di essere limitata e limitante. L’amore, come stile di vita, è inclusivo, senza limiti, è la pienezza della Legge.
Ogni volta che rileggo questa parabola che racconta di Gesù, non riesco a non giustificare il sacerdote e il levita che scendendo per la stessa strada percorsa dall’anonimo malcapitato, si attengono alle prescrizioni della Legge ed evitano di toccare un quasi cadavere per non contaminarsi e poter celebrare il culto. Rispettosi fino al legalismo, non possono toccare l’uomo, con il suo sangue, la sua carne e le sue miserie. Per disporsi a toccare l’essere umano nella sua realtà ci vuole una legge nuova, che viene dallo Spirito, che compiendo l’Antica, la apre alle vie della Nuova Alleanza. Lo sappiamo, ma non possiamo negare che il sacerdote e il levita ci assomigliano assai maggiormente di quanto vorremmo. Essi rappresentano il porto sicuro delle nostre usanze, delle nostre abitudini, delle nostre visioni del mondo, in cui ci illudiamo di vedere e invece siamo ciechi, come tante figure bibliche di cui si denuncia la scarsità di fede rivestita di religiosità.
Così può capitare che a darci lezioni di Vangelo sia un eretico come il samaritano. Colui che non sa distinguere la mano destra dalla sinistra, confuso dalle sue idee bislacche su tempio, messia e lettura della Scrittura, viene ad insegnare la via evangelica del vivere a coloro che sono esperti di religione.
E qui si colloca il problema di questo testo. Non siamo chiamati ad essere esperti di religione, ma di fede. Non dobbiamo limitarci a conoscere a memoria la dottrina, come fosse una lezione da studiare. Siamo invece chiamati a lasciar sedere in cattedra la carità che della dottrina e della morale si nutre, affinché ci istruisca, ci insegni, ci illumini su quale sia il giusto comportamento, affinché apra i nostri occhi al mistero di Dio, che solo attraverso la carità si può intravedere. Nelle sue omelie sulla Prima Lettera di Giovanni, Agostino diceva “ama e fa ciò che vuoi”. Se la cultura contemporanea ci spinge a considerare l’aspetto della volontà come centro di questa frase, è invece straordinario riconoscere che protagonista della frase è l’amore in quanto dono che viene dal cielo. Poiché incompatibile con il peccato, l’amore che da Dio ci raggiunge è l’autentico motore dell’agire buono, della vera libertà, della spinta a fare la cosa giusta come è accaduto al Samaritano.
Istruiti da questa bella pagina di Luca, non possiamo fare altro che chiedere al Signore che nel Vangelo ci ha parlato, di insegnarci ad amare, poiché solo l’amore è il collirio necessario per guarire i nostri occhi dall’egoismo che sempre ci tenta; dal rischio di cercare pagliuzze negli occhi degli altri, ignorando le travi che sono nei nostri; dall’incapacità di riconoscere nell’uomo che è nella prova, chiunque esso sia e qualsiasi possa essere il suo bisogno, un fratello che chiede il nostro piccolo aiuto per continuare il suo cammino sulle strade della vita.
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