29 giugno 2025

Saracinesche chiuse e insegne che si spengono, "verso l'infinito e oltre"

“Verso l'infinito e oltre” ripeteva a gran voce lustri fa mio nipote mentre mi sottoponeva alla, ennesima, martoriante ed umiliante, interrogazione sul film “Toy Story”. Buzz Lightyear, uno degli eroici protagonisti della pellicola, lanciava questa frase attraverso il tubo catodico per rimarcare il concetto di spingersi oltre le proprie possibilità, affrontando con coraggio una sorta di ignoto futuro che avrebbe fatto dimenticare il presente, o il passato, a seconda della persona alla quale era rivolta. Dirigersi verso l'infinito ha un sapore strano, già il presente è difficile da affrontare per cui lasciamo l'infinito ai grandi progetti raccontati nelle campagne elettorali e concentriamoci, per quanto possibile, sul presente, per il futuro vedremo come andrà il raccolto ammesso che vi sia un raccolto. Chiudono attività dal sapore storico, quelle attività con insegne che diventavano eccellenti e visibili punti di riferimento nella toponomastica cittadina oltre che negli acquisti, chiudono nel silenzio pressapochista di un sistema socio economico che, forse, non si rende esattamente conto di quali saranno le conseguenze sulla vita quotidiana.

Spariscono le insegne e spariscono le motivazioni, spariscono i perché e la voglia di investire e creare un valore aggiunto che non sia legato soltanto al commercio urbano, sparisce parte di una città e parte di quelle sensazioni papabili che senti quando intorno si vive con tranquillità. Problema grosso e problema che non si risolve solo nel piccolo paesotto dove viviamo, è la costante e sempre meno plausibile risposta, in una sorta di “vai avanti tu che poi ti raggiungiamo” lo sviluppo di questo fenomeno ricorda nitidamente l'adolescenza quando c'era un terzo, insopportabile e da allontanare, incomodo tra un ragazzo ed una ragazza.

La città perde pezzi e si spegne tra vittorie cantate e ponti abbandonati, si trasforma da un fulgido esempio di iperbolici progetti che perdono di vista quello che è il vero protagonista del presente e del futuro, il cittadino. Ma non ci si deve disperare, l'infinito è a portata di mano, lasciamo perdere il presente e quel piccolo, insignificante momento, che è il futuro, l'ottica vera si deve rivolgere ben oltre le esigenze di vita quotidiana che ognuno di noi deve attraversare, l'infinito è il punto di arrivo dei programmi elettorali, ma solo di quelli. Il percorso è affascinante e lastricato di belle intenzioni ma spesso accompagnato da pessimi risultati, che poi sono quelli che contano – continuano a ripetere – per cui ben venga la moderna visione di una città che più moderna non si può ma che lascia sul quel percorso pezzi di tutti i tipi. L'abitudine è una forma di tutela ma spesso è anche una pessima consigliera, ti fa rendere conto di come, quando una insegna sparisce, la stessa era parte di quel percorso quotidiano o meno che ti ha accompagnato, a volte, per decenni, anche se vendeva prodotti che non ti interessavano. Il problema è il rinnovo di quella insegna, un rinnovo quasi inesistente, per cui osservi le vetrine, ormai cosparse di ragnatele e polvere, che ammoniscono verso quell'infinito così vicino, secondo alcuni, da poter essere chiamato come il presente. In realtà il presente è feroce, spietato e determinato peggio di Marco Van Basten quando riceveva palla in area, dovevi solo sperare che sbagliasse di suo, ma accadeva rarissimamente. Al pari del giocatore olandese il presente, tra insegne che spariscono e nessuna voglia di investire, non ignora i cantieri e non può ignorare quello che sta accadendo intorno. Il vuoto richiama solo altro vuoto, richiama problemi e acuisce quella carenza di affetto che, mediamente, le persone provavano per luoghi che sembravano non dover chiudere mai, da tanto che inseriti nel tessuto urbano. Ragionamento stupido e romanticume da due soldi bucati il mio, il mercato è una cosa diversa – ripetono come un carillon stonato in molti – peccato che quel mercato dipenda anche da scelte e idee che vedono come l'obiettivo il mantenimento di un percorso, non l'abbandono dello stesso. Chiudono nomi e insegne e – dovrebbero – arrivarne altre, no, non è vero, chiudono e basta, immersi in un presente oleoso, cupo e pesante da affrontare, senza un futuro a cui guardare, ma con un infinito bellissimo, come viene ripetuto da molti. Dove sia quell'infinito non mi è chiaro, ma è stupidità mia il fatto di non capirlo. Mentre ci dirigiamo verso il radioso infinito dovremo fare i conti con intere aree ormai dimissionarie in materia commercio, con zone destinate a vivere di riflesso su progetti che spesso sono la ripetizione all'infinito di altri progetti già poco utili. “Verso l'infinito e oltre” è bellissimo come motto, ma il percorso parte dal presente.

Marco Bragazzi


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