22 giugno 2025

Eucaristia, un dono per lasciarsi compromettere con Dio

In questo anno, nella solennità del Corpo e Sangue di Gesù che si celebra la seconda domenica dopo Pentecoste, si legge il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci che si trova al capitolo 9 del Vangelo secondo Luca. Se solitamente un testo che viene proclamato chiede di essere accolto per il significato che ha all’interno del percorso del racconto evangelico in cui è contenuto, oggi ci è proposto di ascoltarlo rileggendolo come immagine della celebrazione dell’Eucaristia, oltre il senso letterale che ha questa pagina di Vangelo. 

Effettivamente l’Evangelista costruisce il racconto perché il lettore vi legga un richiamo alla cena del Signore che si celebra nelle comunità cristiane oggi come ieri. Due passaggi fanno percepire senza dubbi questo intento di Luca: le parole con cui descrive la benedizione e la distribuzione del pane; la precisazione del momento in cui il fatto avviene, al tramonto del sole, cioè lo stesso momento nel quale l’antica comunità cristiana celebrava il ricordo della Pasqua, poiché ci si radunava, secondo l’usanza ebraica, al tramonto del giorno che precede il giorno festivo da commemorare, quindi il sabato sera. 

Dal brano di vangelo possiamo allora cogliere qualche provocazione per vivere la festa del Corpo e Sangue del Signore che la Chiesa ci consegna e le conseguenze che da questa festa derivano per la nostra vita.

Un primo aspetto che mi piace sottolineare è come Luca ci dica che prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci Gesù “prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. Si potrebbe leggere in questo passaggio il richiamo ai due momenti imprescindibili che accompagnano la memoria della cena del Signore: l’ascolto della parola (di fatto ormai oggi parte integrante della celebrazione eucaristica) e la missione di vicinanza e prossimità verso chi è nel bisogno che segue la celebrazione.

Come ogni Sacramento anche l’Eucaristia ha il suo valore nel rito, ma come ogni Sacramento perché porti frutto nella vita chiede la conversione del cuore, cioè la disponibilità a lasciare che la propria vita sia plasmata da Dio. L’ascolto della Parola che precede ogni Sacramento ha proprio il senso di riaccendere in noi il desiderio della conversione, cioè di una più profonda unione con Dio, perché a preoccuparci sia prima di tutto e davanti a tutto il Regno che Gesù ci ha annunciato. La vita dei santi ci aiuta a vivere la conversione perché ci mostra come, nonostante un sincero e autentico rapporto con Dio, essi siano sempre stati in via di cambiamento, per essere ancora più uniti al Signore Dio. 

Dalla celebrazione dell’Eucaristia deriva poi il desiderio e l’impegno ad essere “per gli altri”, vicini alle loro necessità e ai loro bisogni. 

L’invio in missione che si coglie nell’azione di guarigione compiuta da Gesù risuona nell’invito a lasciarsi compromettere di fronte alle necessità degli uomini. Nel momento in cui Gesù termina di annunciare e guarire, Egli si trova davanti una folla che inizia ad aver fame, perché il giorno finisce ed è da molto tempo che queste persone sono lì con lui. Di fronte alla necessità della folla, chiaramente riconosciuta anche dai discepoli, Gesù invita questi ultimi a non pensare di congedare le persone presenti, perché ciascuno in autonomia trovi da solo il nutrimento necessario. Gesù invita i suoi discepoli ad essere loro stessi cibo per queste persone. 

Percependo le necessità del mondo, il cristiano è colui che si compromette: non demanda ad altri le soluzioni di cui c’è bisogno, ma egli stesso prova, anche se solo nel piccolo della propria esistenza e delle proprie forze, a fare qualcosa. Il cristiano non congeda perché le persone “si arrangino”, il cristiano è chiamato a provare e a provarci, affinché si raggiunga, o almeno si provi a raggiungere, lo scopo buono di cui c’è bisogno. Il cristiano non può tirarsi indietro, anche se i mezzi che ha a disposizione sono insufficienti e nettamente inferiori rispetto alle necessità: solo cinque pani e due pesci.

L’ultima riflessione che mi piace cogliere dalla lettura del brano di Vangelo di oggi è la capacità che le cose del mondo hanno di poter portare Dio. Come abbiamo detto, Luca descrive la benedizione sul pane e sui pesci nello stesso modo in cui nell’ultima cena ci parla della benedizione sul pane e sul vino. Nell’Eucaristia le cose del mondo divengono presenza di Dio. Sappiamo bene che l’Eucaristia si celebra solo con il pane e solo con il vino, per essere fedeli al mandato di Gesù. Tuttavia poter prendere delle realtà del mondo perché Dio le abiti con tutto se stesso nel suo Figlio, ci ricorda che il mondo è buono, perché abitato e abitabile da Dio. Consapevole di questo il cristiano sceglie, perché questo Dio gli ha insegnato, di abitare il mondo e di far emergere dalle cose tutto il bene che possono sprigionare. Siamo consapevoli che ci sono tante cose buone che vengono usate male, che c’è tanto bene nel mondo che viene pervertito, che c’è tanta bellezza che viene ridotta ad appagamento dei sensi e non perché sia miglioramento di vita. Dall’Eucaristia nasce la capacità di benedire il mondo affinché “sia bene” come voluto e pensato da Dio all’origine di tutto. Ricevendo il Pane benedetto dalla presenza del Signore risorto il cristiano accoglie la benedizione di Dio e può diventare benedizione per rendere grazie di tutto quello che esiste e così offrirlo a Dio, a partire dalla propria esistenza che diviene così “eucaristia vivente”. 

Francesco Cortellini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti