Chi sono io per voi?
In questo anno la solennità dei santi Pietro e Paolo ricorre di domenica e per questo motivo il brano di Vangelo che si legge il 29 giugno è il testo tratto dal capitolo 16 del Vangelo secondo Matteo in cui viene narrata la “consegna delle chiavi” a Pietro.
Questo testo è ricco di allusioni all’Antico Testamento, è un manifesto dell’identità di Gesù ed è un punto centrale dell’itinerario dei discepoli che inizia con la loro vocazione e si concluderà con il loro invio in missione, passando attraverso la prova della morte e della risurrezione del Maestro.
La lettura che condivido attraverso queste righe è molto libera e vorrebbe tenere unite le figure così diverse di Pietro e di Paolo, la cui memoria in questo giorno ci parla di Gesù e della sua Chiesa che trova una particolare rappresentazione nella vita e nella morte di questi due uomini.
La celebrazione dei due Apostoli ci parla innanzitutto di Gesù e della testimonianza di Lui che essi hanno incarnato con la loro esistenza. Matteo ci racconta di Gesù che rivolge ai discepoli una domanda in merito alla sua identità; Pietro risponde con una professione di fede limpida e cristallina: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. In queste parole vediamo espressa la testimonianza dei due apostoli, la loro fede vissuta fino alla morte: Pietro in croce, Paolo decapitato. Questa medesima domanda oggi ci investe e ci interpella affinché anche ciascuno di noi possa chiedersi “chi è Gesù per me?”. Ad un tale interrogativo non si può rispondere solo con le parole della dottrina; non è sufficiente nemmeno la bella professione di fede su Gesù che ci consegna il credo del Concilio di Nicea che viene proclamato nella celebrazione. La risposta vera che ci è richiesta, oltre che le parole giuste, riguarda cosa significhi “per me” dire che Gesù “è il Cristo”, cosa sia disposto a vivere io per testimoniare che Egli è “il Figlio del Dio vivente”.
Non è una domanda per le labbra quella che Gesù rivolge ai suoi discepoli, riguarda maggiormente il cuore, le mani, la vita di coloro che Egli un tempo aveva accanto a sé, oggi ciascuno di coloro che leggono il Vangelo. Posti di fronte alle possibili risposte umane che vedono in Gesù un grande uomo, un rivoluzionario, un maestro di vita, una guida morale, un ispiratore carismatico, Pietro e Paolo ci ricordano che la loro è stata una risposta di fede, che li ha guidati ad affermare, anche di fronte alla morte, che Gesù è Dio divenuto uomo, è l’uomo in cui si manifesta la pienezza della comunione con Dio. Pietro il pescatore di Galilea e Paolo il maestro e dottore ci ricordano che prima delle parole, solo l’affidamento di sé stessi al Vangelo è la risposta ancora oggi e sempre valida per dire chi è Gesù.
Nel dialogo di Gesù con Pietro incuriosisce l’autorità di legare e sciogliere, di vincolare e svincolare che viene affidata all’Apostolo. Di fronte alla complessità della vita e della storia, Matteo ci dice che Gesù ci affida a qualcuno che ci possa aiutare a capire, a non disperderci, a non fare della nostra percezione la misura del mondo e dell’adesione al Signore. Pietro scioglie e lega perché nella Chiesa tiene il compito di essere garanzia di unità, perché tiene il posto del “capofamiglia”, di colui che guida la piccola o grande comunità familiare affinché sia sempre “una”, garantendo che le differenze non diventino divisione. Pietro condivide la sua autorità con gli altri apostoli, ma allo stesso tempo tiene un posto particolare. La storia ci ha consegnato la complessità di questo ruolo, talvolta causa di divisioni e dissapori tra cristiani. Forse non siamo ancora giunti alla piena comprensione del modo in cui deve essere vissuto il compito che ha il papa, che tiene il posto di Pietro. I cristiani pregano per lui anche per questo motivo, perché nella forza dello Spirito possa comprendere cosa significhi vivere la delicata e importante missione di essere custode della casa di Dio che è la Chiesa, perché non si divida e di fronte alle divisioni ritrovi le vie dell’unità.
Mi piace infine sostare sulla promessa di Gesù: le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa. Di fronte alla sete di pienezza che è nel cuore dell’uomo, di fronte alla sua sete di vita, di fronte alla sua sete di autenticità, la Chiesa tiene il posto di un porto sicuro in cui rifugiarsi contro il male, è la custode di un insegnamento con cui, quantomeno, confrontarsi. Insegnando il Vangelo, la Chiesa, comunità di coloro che credono, fondata sulla pietra che è Gesù, non annulla il libero arbitrio dell’uomo e la possibilità di disperdere la parte del patrimonio che Dio ha affidato a ciascuno, come ci racconta il capitolo 15 del Vangelo secondo Luca nella parabola del padre misericordioso. Come madre e maestra la Chiesa è richiamo per fare il bene, ostello per trovare riparo, aiuto per rialzarsi dalle cadute. Qualsiasi possa essere il male che affligge la vita di un essere umano, nella Chiesa, di cui Pietro e Paolo sono colonne fondate sulla Pietra che è Gesù, vi è la forza per sconfiggere ciò che affligge, per ripartire, per trovare il perdono. “Forte come la morte è l’amore”, dice il Cantico dei Cantici (8,6). Più forte della morte è l’amore di Dio, perché questo amore vince la morte, perdona il peccato, cancella e dimentica la colpa. Un amore che insieme con la fede in Gesù, la Chiesa protegge, difende e annuncia, nonostante le contraddizioni degli uomini, le fragilità dei credenti, le cadute e i peccati di chi prova ad essere discepolo o dice di esserlo senza provarci. E questa forza affidata da Dio alla Chiesa, affascina, attira, si manifesta nelle vite peccatrici e redente di Pietro e Paolo, le cui storie ci dicono che sempre Dio abita nella comunità dei credenti, per ridonare ad ogni discepolo e alla comunità tutta, la giovinezza dello Spirito, con la cui forza è possibile affrontare le vicissitudini della vita con lo sguardo rivolto al Signore risorto.
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