8 settembre 2023

La struttura dell'ospedale non è obsoleta. Andrebbe riqualificato

Cui prodest? La realizzazione del nuovo ospedale a che giova alla Città e a chi giova? Molte voci si sono alzate non solo per esprimere un parere negativo, ma soprattutto per argomentare tali posizioni. I giudizi dei cittadini sono sorretti da serie motivazioni e vengono evidenziati con puntualità. Dall’altra parte, quella politica, non vi è un puntuale riscontro dialettico: pretestuose spiegazioni non rispondono ai tanti quesiti posti dalla cittadinanza. 

Assumere una caparbia, quanto altera posizione di potere, è segno evidente che la democrazia, cioè la partecipazione civile, sta fallendo, anzi è già fallita. 

Non ripercorro gli argomenti addotti contro il nuovo progetto, ma osservo che l’intrinseca coerenza dei temi analizzati, se all’inizio ha sorretto la posizione di un piccolo manipolo di cremonesi, in breve tempo si è ampliata. Da ogni parte sono insorti degli oppositori alla distruzione dell’ospedale. Oggi ci si chiede che ne è della salute pubblica, che ne è del polo più importante che da sempre ne è presidio in Città? 

Il nosocomio di Cremona, a motivo dei lasciti ricevuti, era divenuto uno delle strutture ospedaliere più importanti d’Italia. Ma se si fa della dietrologia non si può non ricordare che la presenza d’insigni medici ne aveva aumentato la fama. Anche nei momenti più bui, nonostante i tempi non sempre siano stati favorevoli, il prestigio dell’istituzione era comunque alto. 

Oggi che ci vantiamo di un’attenzione ai temi sociali, di cui la salute è aspetto primario, le istituzioni sono sorde alle plurime voci che si alzano per contrastare la demolizione dell’ospedale. Gli amministratori locali e non solo quelli sappiano che il reparto di “otorino” funziona molto bene. Forse una visita, un controllo sarebbe opportuno? Purtroppo, non c’è peggior sordo di chi non voglia sentire e, in questo caso, a nulla valgono le competenze di medici professionalmente preparati. 

Così, sembra che il nostro ancor “giovane” ospedale, non ha ancora settant’anni!, debba essere sostituito da una struttura insufficiente alle esigenze della sanità pubblica. Ciò è detto anche semplicemente facendo una proporzione rispetto al numero degli abitanti.  Inoltre, il “nuovo ospedalino” dovrebbe rispondere alle esigenza che anche potrebbero insorgere in un prossimo futuro. Historia docet. Non si ricorda quanto accaduto nell’epoca della pandemia? Forse che aver superato quell’atroce periodo ci mette al riparo da futuri eventi calamitosi? La salute è un diritto sancito dalla Costituzione, ma chi ne è a presidio? 

Non vorrei essere una novella Cassandra, ma mi sembra che la posizione assunta dagli amministratori sia alquanto superficiale. La struttura architettonica attuale del nostro ospedale consente una flessibilità sia ai fini delle funzioni d’uso, sia ai fini degli interventi di manutenzione e d’adeguamento. 

La sua forma non è obsoleta: ciascun padiglione, se pur collegato con gli altri, ha una propria autonomia. Il che consente scelte polifunzionali qualora si rendessero necessarie. 

Inoltre, la struttura, non necessariamente comporta interventi che coinvolgano l’intero complesso. L’importante è avere un progetto di riqualificazione adeguato e un cronoprogramma realmente attuabile. 

Si tratta di porre mente a scelte oculate che tengano conto di cosa sia la medicina oggi e come essa debba essere gestita per soddisfare al meglio le esigenze dei pazienti che vogliono una cosa sola: la salute. La popolazione non aspira ad altro. 

Inoltre, si ricordi che non sono eventuali lussuosi marmi a rendere efficiente una struttura ospedaliera, ma la presenza di medici e di personale infermieristico di grande qualità. Gli operatori sanitari vanno messi nella condizioni di poter bene operare, di continuare la loro ricerca, di non essere sottoposti ad orari e a condizioni stressanti, di dedicarsi allo studio puntuale di ciascun paziente. La responsabilità dei medici è grande e, se giustamente l’ammalato non deve mai essere ritenuto un “numero”, un mero utente di un servizio, neppure l’attività del personale medico e sanitario deve essere ridotta ad un lavoro privo di dignità. La medicina è ars e come tale va rispettata. 

Sono figlia di un medico e mi ricordo quando il mio papà mi raccontava che da bambino piccolo, circa un secolo fa, vedeva portare all’ “ospedale maggiore” i malati che venivano dalla campagna su carri agricoli. Quell’immagine lo ha indotto a scegliere la professione medica. Quelle immagini io credevo appartenessero ad un tempo remoto, ma non si sono forse ripresentate nel periodo del covid? Certamente non si è trattato di spingere carri, ma la situazione era forse ancor peggiore.  

Se la responsabilità della cura è da attribuirsi alla classe medica e al personale, quale grande responsabilità è da attribuirsi alla macchina dell’amministrazione e ai meccanismi della politica disattenti alle voci che da ogni parte chiedono di non proseguire nel loro proposito di abbattere l’ospedale e di realizzarne uno di piccole ed insufficienti dimensioni? Forse si deve concludere che la democrazia è termine cui i politici fanno sempre riferimento, ma poi lo disattendono nel suo contenuto?                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

Anna Lucia Maramotti Politi


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Pierpa

9 settembre 2023 11:47

Perfetta disamina. Aggiungerei che "democrazia" è il paravento di oligarchia, cosa che si manifesta esplicitamente quando il direttore presenta il piano agli "stakeholders" (mai parlare italiano, altrimenti tutti capirebbero), dimenticando che i veri portatori di interessi sono i cittadini