Le Regionali fanno ardere ambizioni ma non scaldano il cuore dei lombardi
Mancano circa quaranta giorni alle elezioni regionali, ma l’appuntamento non scalda il cuore dei cittadini. Nulla di preciso e di documentato. Niente sondaggi o analisi sociologiche. Solo una sensazione. Solo dettagli, discorsi, talk show, giudizi, battute. Solo chiacchiere, ciacole in piazza, al bar, alle riunioni conviviali, mondane, religiose di fine-inizio anno. Solo reazioni all’annuncio delle indiscrezioni e alla circolazione dei primi nomi di concorrenti allo scranno milanese. Solo riflessioni in libertà di un cittadino.
La conquista della Lombardia agita partiti, ingegneri e architetti delle liste, potenziali candidati. Ma infiamma anche questuanti in cerca di un quarto d’ora di visibilità, di un posto al sole, di un ascensore sociale, categoria numerosa e indisponente.
Non manca l’interesse del minuscolo drappello sostenitore di una politica finalizzata al bene comune. Ridotto ai minimi termini, sarebbe sbagliato inserire costoro tra le specie in via d’estinzione, pronti per essere conservati in una riserva protetta. Poco organizzata, ma non ancora esercito di Franceschiello, troppo intransigente e manichea per aggregare, incompatibile nel mondo della realpolitik, della scienza e della tecnologia, cameo nel panorama della politica, questa truppa di temerari testimonia l’esistenza dell’utopia. Non è poco. Ma con una manciata di voti e con leaderini egotici, velleitari, fighetti e cool, fotografati in sella a una Triumph Bonneville, più James Dean che Che Guevara o Greta Thunberg, duraturi quanto lo spazio di un sogno, la loro testimonianza incide sulla realtà come il due di bastoni quando la briscola è spade. Ogni tanto i diversi incassano dichiarazioni di stima, qualche volta di ammirazione, che in politica valgono un complimento per la vittoria in una partita a Scarabeo, gioco basato sulle parole, prateria nella quale cavalcano gli utopisti. «Potrebbe andar peggio! Potrebbe… piovere!» (Frankestein junior) e con il caso Soumahoro è successo. Una tempesta.
Nei cittadini prevale lo scettiscismo, il disincanto. Il tanto non cambia niente, sono tutti uguali, viaggiano con il vento in poppa. Lo scollamento tra la politica e gli elettori non è di oggi e il qualunquismo, diretta conseguenza dello iato, non è una novità e in passato il Fronte dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini è il partito che lo ha rappresentato.
La stessa maggioranza silenziosa post sessantottina può essere intesa un rigetto dell’overdose di politica e ideologia, ma non marchiata dal qualunquismo.
Anche la Lega di Umberto Bossi, che con connotazioni populiste gridava Roma ladrona, e il partito-azienda di Forza Italia di Silvio Berlusconi traggono origine dall’insofferenza verso la politica. Stesso discorso per i Cinque Stelle, nati come movimento anti sistema, sono diventati partito.
La consultazione regionale di febbraio si colloca in questo contesto incistato e immutabile. I politici perseverano con l’andazzo e con il modus operandi che hanno causato l’astensionismo record nella tornata elettorale del settembre scorso.
Accordi ambigui e già sottoscritti tra partiti, composizione delle liste impostata con il bilancino del farmacista e in via di ultimazione, fluidità segno distintivo di questi tempi, caduta dell’ideologie e letargo degli ideali, alimentano il sentimento di estraneità e di distacco tra cittadini e politica. Sconcertano l’elettore.
Letizia Moratti si contrappone al presidente della Regione Attilio Fontana, che l’aveva nominata sua vicepresidente. Sarà sostenuta dal terzo polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda al cui richiamo sono accorsi alcuni trombati alle politiche di settembre, qualche deluso delle amministrative di giugno. Immancabili gli ubiquitari cacciatori di occasioni, con il miraggio di una sedia subito o in prospettiva, ma non tutti hanno trovato lo spazio sperato.
Situazione euforica per Fratelli d’Italia. Per formare la lista regionale ha l’imbarazzo della scelta. Ingolfato di richieste d’iscrizioni e di trasferimenti da altre squadre, il partito ha posto un freno all’imbarco sul carro vincente e segato le ali a qualche Icaro con la smania di volare in alto, ma con fretta eccessiva.
Il senatore e commissario provinciale ad interim, Renato Ancorotti è intervenuto in modo deciso e inequivocabile per spiegare che c’è il tempo della semina e quello del raccolto e non si possono forzare i ritmi della natura. Il messaggio è stato recapitato ad Alessandro Zagni, già capogruppo della Lega in Comune a Cremona. Poche settimane dopo il trionfo di Giorgia Meloni, più veloce di Marcel Jacobs, insieme ad altri due consiglieri del Carroccio, era passato armi e bagagli a Fratelli d’Italia.
«Ci si può candidare – ha spiegato Ancorotti – dopo almeno sei mesi di iscrizione. È vero ci sono state delle deroghe, ma non possiamo derogare per tutti, altrimenti le regole cessano di esistere. (…) La voglia di candidarsi di Zagni ci sta, ma la sua richiesta è stata sia prematura che tardiva». (La Provincia, 5 gennaio)
Pd e Cinque Stelle per calcolo cinico, affrettato e approssimativo, hanno celebrato in Lombardia un matrimonio di convenienza che già appare una sòla. Nella nostra provincia ha raggiunto le sembianze di un disastro, peggiore dell’accordo tra Pd e Calenda per le elezioni politiche di settembre. Accordo stracciato pochi giorni dopo l’annuncio urbi et orbi. Nel nostro territorio l’alleanza è maldigerita dal Pd e giudicata troppo frettolosa dal Vittore Soldo, segretario provinciale. Luciano Pizzetti, ex parlamentare Pd ed ex viceministro, ha risposto «presente» al partito. Ma non è un carabiniere e non usa obbedire tacendo e il centralismo democratico è fuori moda. Senza molti ghirigori ha bollato per inopportune queste nozze spurie. Lui, ha precisato, non le avrebbe avallate. I Cinque stelle cremonesi sono andati oltre. La maggioranza dei militanti, contraria all’intesa, non ha partecipato alla formazione della squadra. Scelta netta e coraggiosa, ma penalizzante per la nostra provincia. Due i motivi. Il primo, non si ripresenterà il consigliere regionale uscente Marco Degli Angeli battagliero oppositore all’accordo con il Pd e accanito difensore del territorio cremonese a Milano. Il secondo, la lista avrà un solo candidato locale, Angelo Angiolini, medico di Casalmaggiore.
L’accaduto non è una sorpresa. Solo i Churchill di casa nostra, azzeccagarbugli in overdose di se stessi (Woody Allen), credono nella possibilità di conciliare l’opposizione dei Cinque stelle all’autostrada Cremona-Mantova con il nulla osta, anche se non esplicito, del Pd alla costruzione dell’infrastruttura. Non migliore la posizione sull’operazione A2a, giudicata negativa dai pentastellati, positiva dai piddini. E si potrebbe continuare sull’inceneritore e altro ancora. I boccaloni con il paraocchi non colgono l’impossibilità per i Cinque stelle cremaschi di dimenticare il trattamento alzo zero a loro riservato da Jacopo Bassi capogruppo Pd in consiglio comunale a Crema nella precedente legislatura, che non ha mai risparmiato bordate tremende al consigliere pentastellato Manuel Draghetti. Scazzi al calor bianco, tra Batman e Joker.
Per il Pd si ripresenta il consigliere regionale uscente Matteo Piloni, onesto travet che ha svolto il proprio compito, attento ai problemi della provincia.
Forza Italia e Lega non appassionano. Scialbe, spente non provocano brividi. Gli azzurri non hanno ancora comunicato i propri candidati, elenco atteso per i prossimi giorni. Il Carroccio, che da anni ha rimesso nel fodero la spada di Alberto da Giussano, ha perso il consigliere regionale uscente Federico Lena. Ha lasciato Matteo Salvini per seguire il padre fondatore Bossi. Non è un addio che ha provocato pianti e rimpianti. Tra i candidati cremonesi della Lega, Filippo Bongiovanni, sindaco di Casalmaggiore è dato per certo.
Fra alcuni giorni verranno presentate le liste ufficiali. Gli elettori continueranno ad essere scoglionati e a recriminare contro partiti e politica. Il 12 e il 13 febbraio probabilmente l’astensionismo non invertirà rotta, anche se il risultato avrà ripercussioni dirette sul nostro territorio. Cremona si confermerà Cenerentola in Regione, si piangerà addosso e con il cappello in mano invocherà la benevolenza di qualche eletto di buon cuore, che in politica è un ossimoro.
Durante la rivoluzione francese le tricoteuses lavoravano a maglia mentre assistevano alle esecuzioni sotto il palco della ghigliottina. Anche i politici e i partiti di casa nostra stanno sotto il palco del patibolo a begare e farsi pippe. A fare flanella. A stringere accordi contro natura. A controllare il colore delle palline sul pallottoliere. Ad aspettare la provincia salire sul palco per l’esecuzione. Ma i cittadini tacciono. Questo il problema. Il dramma.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Giuseppe Zagheni
8 gennaio 2023 08:03
Personalmente ritengo che ci siano possibilità vere per l'alleanza PD M5S ,che vengono dalla base dei due schieramenti che vogliono le stesse cose.Il problema sono I dirigenti o gli eletti nel casoM5S ,ma se mettiamo degli elettori dei due si vede subito che c'è un ' intesa su molte istanze. Non socome andrà a finire ma sarebbe utile per tutti che le diverse anime delle sx progressista si unissero per porre fine allo scempio perpetrato in Lombardia.
Gaetano Lo Presti
8 gennaio 2023 08:28
L’articolo merita di essere letto e ripostato tenendo presente che all’analisi deve seguire una decisione. Quello che genera rassegnazione all’elettore è il già scritto, il non riuscire a cambiare. Ma stavolta la possibilità di riscrivere il già scritto c’è, anche in prospettiva nazionale
Manuel
8 gennaio 2023 11:07
Lo stile di Antonio Grassi lo conosciamo: ironico, colto, suadente, pungente ed altri aggettivi si potrebbero aggiungere, ma ha la funzione (o il desiderio) di risultare diretto, non ondivago e, come si usa dire oggi “politicamente scorretto” (che poi verrebbe da tradurre “corretto”).
Anche in questo caso mi trovo d’accordo con lui e, cioè, siamo di fronte ad un matrimonio forzato (PD-5S), ma a differenza di quel che succede in molte culture ancora oggi, la sposa (chi dei due?) potrebbe rivendicare presto le proprie autonomia, dignità.
Detto ciò, non escludo che l’iniziativa azzardata possa preludere e precedere posizionamenti, linee programmatiche ed attività politica che riporti, ricollochi il progressismo/ambientalismo nella posizione autorevole che dovrebbe occupare.
Del resto le sabbie mobili in cui si è cacciato il PD, lasciano poco tempo alla meditazione, all’attesa.
Sulla CR-MN d’asfalto invece, ho una sensazione diversa dal sindaco. Majorino, se “inopinatamente” vincesse, non avrebbe difficoltà alcuna a cestinare l’opera: 1) perché già sa che i bonacciniani fanno campagna per Moratti; 2) perché, conoscendo la minutezza dei politici italiani, non riesce difficile immaginare come tutte le 12 province lombarde beneficino dei suggerimenti dei Pizzetti, Malvezzi, Salini locali e di conseguenza il “povero” Fontana chissà quanti nuovi ospedali, autostrade, ponti, etc., sarà stato costretto a promettere.