Salvaguardiamo Cremona, quel museo aperto che si vede dal Torrazzo
Cremona ha un’identità; salvaguardiamola. Lungi dall’essere passatisti non va dimenticato che la memoria è fondamentale per un rapporto consapevole con il presente e con il futuro. Più volte ho fatto riferimento al tema dell’identità, ma credo sia opportuno puntualizzare. Come tutte le allusioni, se non vengono analizzate e supportate da esemplificazioni, rimangono sterili parole. Per altro oggi giorno c’è un gran vociare in cui i termini del discorso, lasciati nel vago, finiscono per creare solo confusione.
Va doverosamente premesso che citare solo taluni caratteri distintivi non comporta conoscere la rete di relazione che intercorre tra di essi. Altrettanto, si è consapevoli che elencarne solo alcuni comporta trascurarne altri non certo di minore importanza o entità. Ciò premesso, è opportuno soffermarci su taluni caratteri che indicativamente caratterizzano la Città. Sin da ora ci si scusa per quanto non viene menzionato. Non sempre infatti certi spazi sono visibili a tutti. Pertanto, ancor prima di elencare taluni aspetti caratterizzanti è opportuno affrontare il tema della città museo che testimonia la propria identità.
Purtroppo, siamo ancora troppo vincolati ad un’idea di museo come luogo di raccolta di beni preziosi. Non è così. Per museo va inteso qualsiasi ambiente, non necessariamente chiuso, che raccoglie beni che testimoniano la storia, la cultura, l’habitat. È anche da definirsi museo qualsiasi paesaggio antropizzato o no che, mentre qualifica un luogo per i suoi caratteri distintivi, lo declina con la complessità dell’ambiente. Dalla salubrità dei luoghi alla storia, sedimentatasi nel tempo, tutto concorre a mantenerne la sua specificità.
Qui si rende necessario un chiarimento. Troppe volte è accaduto che qualcuno esprimesse un’osservazione non certo da sottovalutare. Si è sostenuto che, se nel passato si è intervenuti modificando l’ambiente e più specificamente realizzando nuovi edifici o modificando la viabilità urbana ed extraurbana, anche l’uomo contemporaneo “può lasciare il proprio segno”. Oggi però si deve fare i conti con la sostenibilità, si deve tenere in doverosa considerazione che nell’attuale situazione, in cui la globalizzazione comporta la perdita dell’identità di una comunità, è necessario avere cura del patrimonio che la testimonia. Si dimentica che, in vista di un immediato interesse non funzionale alla realizzazione di migliori condizioni per la comunità, si progetta d’intervenire “in vista di…” . Oggi più che mai il valore di un uomo si manifesta attraverso l’attenzione all’altro uomo. L’ecologia integrale è tale perché il referente è l’essere umano, animale sociale che fa cultura. Il prevalere degli interessi di qualcuno è in netta opposizione al bene comune. Già nel XIX secolo J. Ruskin osservava che “la terra l’abbiamo ricevuta in consegna, non è un nostro possesso”. Oggi più che mai questo aforisma suona come monito profetico: proprio oggi che il tempo sta per scadere. Possiamo ritenere l’ecologia integrale l’attuale umanesimo contestualizzato nella presente situazione in cui si constata la distruzione dell’ambiente.
Riprendendo il riferimento al museo tradizionale, la cui precipua finalità è quella di custodire beni che altrimenti andrebbero perduti, si deve osservare come il museo sia di per sé un valore quando ospita opere che per vari motivi sono ormai decontestualizzate e hanno perso quell’aura che consentiva di fruirle.
Nel museo la conoscenza di un bene potenzialmente può seguire un approccio didattico, colto, persino erudito, ma ben altra cosa è la fruizione. La perdita dell’aura è una menomazione del bene. L’allestimento può essere realizzato con arte, ma questa non sopperisce a quanto è andato distrutto.
Tale lunga premessa vuol essere funzionale al metodo di ricerca di quei caratteri che individuano la nostra Città.
Quando si domina Cremona dall’alto, necessariamente sfuggono alla nostra visione i caratteri propri di ciò che sta in basso, cioè l’ambiente che siamo soliti osservare seguendo i nostri passi. Vale la reciproca, come è ovvio. La complessità di una città non è mai colta nella sua interezza. Ci appaiono solo squarci entro coni ottici che rivelano porzioni di un costruito che si affaccia sulle pubbliche vie e sulle piazze.
C’è in Cremona una costruzione che idealmente, e non solo, consente percettivamente di coglierne l’unità. Si tratta del nostro Torrazzo: un legame profondo fra cielo e terra, il simbolo stesso della Città. Oggetto di studi approfonditi e di interventi di restauro è attualmente sede di un prestigioso museo dedicato alla misurazione del “tempo”. Si sa di far torto a molti che si sono occupati della torre, ma corre l’obbligo almeno di citare gli studi di F. Loffi e G. Ghidotti, le analisi di A. Bonazzi e del Politecnico di Milano, gli interventi di restauro di M. T. Saracino, di L. Roncai e di E. Bondioni.
Ma è dal percorso seguito da Antonio Leoni che è possibile cogliere come il torrazzo consenta la conoscenza più appropriata della Città. Il Torrazzo, dominando Cremona, crea le condizioni di quel museo aperto cui si è fatto sopra cenno. Salendo, l’orizzonte si allarga e la Città appare in tutta la sua concreta identità. Il volume, Una torre in Cremona, indubbiamente opera di un grande artista della fotografia, definisce il percorso in cui Cremona mostra e rivela se stessa. Non mi dilungo sull’arte di Leoni: critici internazionali di grandissimo rilievo hanno constatato ed evidenziato il valore del suo operato; io semplicemente sottolineo come il suo percorso di per sé costituisca un approccio alla leggibilità della Città. Così, dall’alto si scopre la Cremona dai tetti rossi, dai palazzi signorili e dalle sue chiese. Si scopre sia un abitato che mantiene vivo un armonico sviluppo nel tempo sia il suo rapporto con il territorio.
La presenza del cotto non è solo una constatazione dell’uso di un materiale che l’ambiente ci ha regalato (l’argilla), ma obbliga a constatare come il suo colore dominante, se pur molto discreto, abbia consentito a generazioni di architetti d’esprimere le proprie potenzialità e al contempo di configurare urbanisticamente la nostra Città. Dalle molteplici chiese ai palazzi, dai monasteri all’affaccio sulle vie e sulle strade di edifici differenti, la sedimentazione del tempo ha consentito di tracciare percorsi che manifestano un’aura resa armoniosa dalla patina del tempo. Marcapiani, facciate di palazzi, aperture verso strada, segno di una dignitosissima edilizia, si armonizzano con i tracciati viari e con le piazze.
Lo stesso acciottolato è divenuto un segno che conferisce valore alle strade. Crea la percezione dello spazio e lo caratterizza come nastro viario solitamente più scuro per chi lo sta percorrendo e più chiaro verso la fine del cono ottico. Così, gli edifici nel loro sviluppo prospettico si affacciano armoniosamente. Purtroppo l’aura, l’atmosfera dei luoghi, è stata violata da un asfalto che separa i fronti degli edifici dalle vie: il bitume ne deturpa l’andamento. L’acciottolato aveva conferito dignità alle nostre vie sottraendole al disagio della terra battuta. I sassi, uno accanto all’altro, hanno costituito un unicum, un tessuto non uniforme per chi lo percorre, ma che diventa tale nella prospettiva della via, prospettiva che si congiunge al cielo.
Tralasciando la pavimentazione che ha comportato competenze e abilità manuali, gli altri riferimenti architettonici (l’uso del cotto, i palazzi, le chiese, l’edilizia, ecc. ) sono opere di artisti. Architetti e/o maestranze di grandissimo rilievo si sono cimentati nel dare a Cremona l’attuale identità. Ciascuno ha espresso la propria personalità. Nessun architetto ha ripetuto stilemi di altri, al massimo si è confrontato.
Ha conferito al proprio operato un singolare valore storico-artistico. Cremona era una città ricca: era la seconda città del Ducato. Ciò comporta che architetti di grande rilevanza, ma anche pittori, scultori, ebanisti, liutai, abbiano dato il meglio di sé nella nostra Città. Parlare di stilemi è perdere di vista la ricchezza estetica. Risulta così riduttivo parlare di arte locale. È possibile solo far riferimento a “poetiche” che identificano l’operato di ciascun artista. Inoltre, non si può parlare di arte locale, in quanto la cultura europea è rimasta affascinata dalla nostra Città.
Nello stesso periodo del liberty, uno degli ultimi stili che Cremona può annoverare come proprio, operano architetti che sanno fare scelte che mai si riducono a riproporre forme perché semplicemente ritenute in voga. La grande differenza con i tempi precedenti riguarda l’uso del verde privato. Un tempo i parchi erano nascosti al passante, col liberty i giardini, più precisamente i cortili/giardino, costituiscono il punto di passaggio fra la vita pubblica, quella della strada, e quella privata. Si tratta di un delicato passaggio che una diversa sensibilità sociale ha posto in essere.
Non si può certo dimenticare il verde pubblico. Cremona sapeva far buon uso del verde. Un tempo, aimè lontano, sia il verde pubblico sia quello presente nei parchi privati e nei giardini delle case era curato: era “manotenuto”. Oggi, sotto lo sguardo di tutti i cittadini, non è solo la mancanza di cura, ma la distruzione in nome di una pretestuosa sicurezza. La sicurezza delle piante va contemperata ai benefici che esse apportano all’aria. Perché deve essere completamente disatteso un tale fondamentale valore? Prevenire, con quel che segue …, è un dovere civico. Non si vuole certo riaprire una ferita recente perché questa ancora sanguina. Non si adduca la scusa della mancanza di fondi per la manutenzione: quanti soldi vengono sperperati!. Ci si affidi però a chi realmente ha competenze in materia e non è attento solo all’aspetto di un’invocata sicurezza che contrasta palesemente col ben-essere del cittadino. Correttamente, chi è stato interpellato su un aspetto di propria competenza ha risposto a quanto gli è stato richiesto. Il problema, come già sopra è stato detto, è un altro: è necessario rivolgersi a chi ha competenze specifiche nel campo.
Ma al di là delle osservazioni che spontaneamente s’infiltrano mentre si tenta d’individuare i caratteri qualificanti Cremona, un tema non può essere trascurato. Si tratta della presenza del Po. Sarebbe più corretto dire che la presenza di Cremona dipende dal Po. Il fiume costituisce l’ambiente che ha consentito il sorgere della Città. Fondamentale allo suo sviluppo urbano, il Po scorre tangenzialmente alla Città. Il grande fiume è per Cremona una ricchezza che va salvaguardata nel suo andamento naturale, nella presenza delle sue acque, della sua vegetazione e della sua fauna: nel suo eco-sistema. Il Po rifiuta quelle violazioni che talvolta si configurano come furti, talvolta come profanazioni. Il Po è il nostro habitat, costituisce il nostro ambiente naturale. La sua complessa natura è il nostro carattere distintivo: è la nostra memoria. La stessa architettura e la configurazione urbana sono debitrici.
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commenti
François
16 dicembre 2021 14:08
intervento chiarissimo ed esemplare che cozza contro l'insipienza e l'ignoranza di chi ha amministrato la città negli ultimi trent'anni.
Martelli
18 dicembre 2021 22:40
Bellissimo articolo.