Si può anche morire di benessere
L’uomo, per crescere, svilupparsi, trovare la propria identità non ha solo bisogno di pane, ma anche di carezze, di baci, di abbracci, di una voce che gli sussurri dolcemente “ti voglio bene”, di una mano che avvolga la sua… della promessa di essere condotto con amore nel cammino difficile seppur esaltante dell’esistenza. Tutto ciò permette alla persona – soprattutto negli anni della formazione - di affrontare la vita, il futuro, con sicurezza perché sa di essere accompagnato, perché sa che c’è qualcuno che lo può aiutare a discernere il bene e il male, e soprattutto c’è qualcuno che lo sostiene nella ricerca del significato, del senso del vivere.
È quello che cerca di far capire Gesù ai giudei, i quali, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, lo inseguono perché sperano di risolvere il problema dei pranzi e delle cene. Cristo non si arrabbia, anche se la folla vuole solo sfruttare i suoi “poteri”, ma cerca di aiutarla a capire che c’è un pane altrettanto più importante di quello terreno che acquieta i morsi di una fame ben peggiore di quella biologica: quella del cuore!
Perché si può morire restando vivi, perché si può morire anche con la pancia piena, con un conto in banca da sei zeri, con una macchina fuori serie che tutti invidiano, con un lavoro che permette di comandare decine di persone, con una famiglia serena e felice. Si può morire di benessere quando il benessere diventa l’unico orizzonte dell’esistenza, quando solo in esso si ripone le proprie sicurezze e i propri desideri più reconditi. Si può sentirsi sazi e al contempo disperati!
Non vi è mai capitato, anche quando tutto fila liscio, di sentire come un morso nello stomaco, come un senso di incompiutezza, di mancanza, di inquietudine? Ciò vuol dire che soddisfare i bisogni materiali non può bastare per essere felici! Siamo affamati di un cibo che ha il sapore dell’eternità. Un cibo che ci permette di relativizzare il mondo, con tutte le sue ansie, i suoi amori mercenari, le sue relazioni fittizie, la carriera costruita sulla schiena degli altri, la frenesia del fare (perché se non facciamo non siamo…), la corsa ai risultati, l’ambizione di essere sempre il primo, il più bello, il più interessante… il più cliccato. Un cibo che ti fa capire che sei prezioso, considerato e amato al di là dei podi conquistati, dei titoli acquisiti e della considerazione dei potenti!
Questo cibo che ti fa gustare il Cielo, che rivela la tua intima vocazione alle cose che non passano è soltanto Cristo! Solo Lui nutre la tua fame di infinito e ti permette di lasciare impronte di eternità nel presente della storia. È capitato a tanti Santi nel corso di questi 2000 anni di esperienza cristiana: uomini e donne che, disprezzando ciò che la logica del mondo esalta, hanno combattuto il Male che albergava in loro così da liberare la propria umanità indirizzandola verso l’amore. È un combattimento arduo: il peccato, infatti, non solo ci allontana da Dio e dai fratelli, ma anche da noi stessi, spegnendo le nostre energie positive, facendoci perdere fiducia nella nostra capacità di fare il bene, di improntare relazioni autentiche e gratuite, di perdonare sinceramente, di servire senza chiedere nulla in cambio, di riuscire a sconfiggere i vizi, le cattive inclinazioni… Eppure i Santi ci sono riusciti affidandosi non alle loro forze e capacità, ma soltanto a Cristo, alla sua Parola, al suo Spirito che scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato, sana ciò che sanguina… Si sono lasciati nutrire di Cielo!
Ha tremendamente ragione Papa Francesco quando mette in guardia la Chiesa dalla tentazione di trasformarsi, in maniera inconsapevole, ma reale in una ONG, in una multinazionale della carità. Ne “La grande bellezza” (2013), film grottesco ma tragicamente vero del regista Paolo Sorrentino, Il protagonista, Jep Gambardella, - l’ottimo Tony Servillo - tenta più volte di avvicinare il cardinale Bellucci – interpretato splendidamente da Roberto Herlitzka, scomparso qualche giorno - per un confronto spirituale, ma questi gli sfugge perché più portato alle ricette di cucina che spiega ai suoi interlocutori con grande afflato. E forse questa l’immagine che tanti laici hanno della Chiesa e dei suoi ministri? Una grande organizzazione che si impegna a fare del bene, a erogare servizi, a programmare attività pur belle e necessarie, ma sempre così mondane? Una Chiesa che nella foga di dare il pane materiale (attività ludiche, aggregative, sociali…) non ha più il tempo e la forza di indicare il senso del vivere all’uomo, di dare quel pane di vita che permette di non morire pur restando vivi? Una Chiesa così tanto affaccendata dalle cose del mondo da dimenticare quelle del Cielo?
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