Solo il Signore può giudicare i cuori
La parabola del ricco e del povero Lazzaro è estremamente schematica e semplice, soprattutto per l’immagine dell’aldilà che ci presenta, descritto come una realtà opposta al modo in cui si è trascorsa la vita presente. Si potrebbe dedurre da questo racconto che è più fortunato Lazzaro del ricco, perché mentre questi sarà costretto a soffrire per l’eternità, Lazzaro ha vissuto nella sofferenza solo per il tempo della vita terrena.
Un'altra informazione si potrebbe raccogliere come “insegnamento” da questo racconto: dal momento che il ricco non sembra essere stata una persona ingiusta, oppressiva e malvagia e nemmeno del povero si elencano particolari qualità morali positive, si potrebbe interpretare la parabola come l’affermazione che i ricchi vanno all’inferno e i poveri vanno in paradiso. Si tratta di una lettura semplicistica, senza nessuna spiegazione. Tutto questo non mi convince molto, però, perché mi sembra dimenticare il contesto di questo racconto: Gesù si rivolge ai farisei.
Per i farisei la ricchezza era una benedizione di Dio, perché l’uomo fedele a Dio da Lui è benedetto anche attraverso la stabilità economica. Al contrario la povertà è segno di un abbandono da parte di Dio, addirittura segno di maledizione. Il Salmo 37 ci presenta una lunga contrapposizione tra il povero giusto e il malvagio che vive nell’abbondanza; secondo il Salmo, Dio interverrà nella loro vita per ristabilire la giustizia, ricordandosi del giusto povero e oppresso per non fargli mancare il necessario ed eliminando i malvagi, punendoli per le loro cattiverie. Il Salmo è pervaso da un senso di giustizia profondo, ma si tratta di una giustizia che si dovrebbe realizzare sulla terra.
Gesù contesta questa idea: vedere un ricco non significa vedere un uomo benedetto da Dio e nemmeno vedere un povero significa vedere un uomo di cui Dio si è dimenticato, anche se ormai entrambi sono alla fine della vita.
Quello che Gesù vuole dire attraverso questa parabola è molto probabilmente un richiamo a non semplificare troppo la nostra comprensione della vita, come forse facevano i farisei e come forse qualche volta facciamo anche noi.
Agli occhi dei farisei, secondo la loro lettura del mondo, tutto avrebbe dovuto essere chiaro fin dall’inizio del racconto: se il povero perdurava nella sua condizione fino alla fine della sua vita, circondato da animali impuri e coperto da piaghe che fanno pensare alla lebbra, questi non poteva che essere un uomo dimenticato da Dio. Al contrario il ricco, che ogni giorno si dava a lauti banchetti, vestendosi in modo sontuoso, senza alcun segno di cedimento nella sua condizione, non poteva essere che un uomo giusto, amato e protetto da Dio, e per questo ricco e umanamente appagato.
Gesù con la sua parabola rompe gli schemi: colloca il povero vicino ad Abramo, il padre di Israele, e mette il ricco tra i tormenti. Rivolgendosi ai farisei, Gesù li costringe a rivedere il loro modo di pensare, li invita a rifiutare qualsiasi facile semplificazione. Nessuno di noi può conoscere il pensiero di Dio, nessuno di noi può conoscere il cuore dell’uomo. Anche noi potremmo avere facili pregiudizi, pensando di sapere già chi andrà in paradiso e chi all’inferno, anche noi possiamo dividere il mondo tra buoni e cattivi. Ma quel che è vero è che noi non conosciamo l’esito della vita di nessuno, perché il cuore dell’uomo nella sua profondità ci è sempre nascosto (per questo penso che Gesù non ci dica se queste persone sono buone o cattive, facendocelo scoprire solo quando ci parla della loro morte). L’invito che ci viene da questo racconto parabolico è quello di non giudicare, di non lasciarci condizionare dalla situazione di vita in cui si trovano gli altri, semplificando la loro situazione dentro schemi fatti da noi. Quando irromperà il Regno di Dio, potremmo stupirci vedendo persone che non immaginiamo accanto a Gesù, il Signore della vita.
Dal racconto non possiamo poi semplificare definendo buono un uomo povero e cattivo un uomo ricco: di fronte alle ricchezze vale certamente quanto abbiamo ascoltato la scorsa domenica, lasciandoci anche oggi provocare dal richiamo alla condivisione, come unico modo giusto per gestire il denaro che si possiede. Di più non possiamo aggiungere. Forse ci sono poveri che sono cattivi, e ricchi che sono buoni. Comunque solo a Dio spetta il giudizio, non agli uomini.
Nel racconto c’è un aspetto particolare con il quale mi piace concludere: al ricco che chiede un miracolo potente, il ritorno in vita di Lazzaro, per rimettere sulla retta via i suoi fratelli, Abramo risponde che tutto ciò di cui c’è bisogno è già nella Legge di Mosè e nei Profeti. Non servono miracoli per comprendere il bene da fare. Ed effettivamente non sono i miracoli a convertirci. I miracoli ci stupiscono, ci affascinano, ma possiamo sempre non crederci.
Quello che dobbiamo fare, anche da credenti, non è cercare segni misteriosi e mistici; quello che dobbiamo fare, sempre, è darci il tempo per ascoltare Dio che ci parla attraverso la Scrittura. È nella preghiera, in dialogo con la Parola, che troveremo la via per lasciarci avvertire sul bene e sul male, come il ricco vorrebbe per i suoi fratelli. È bello ricordarci che Dio ci ha già dato tutto ciò di cui abbiamo bisogno per poter essere accolti nel seno di Abramo, per poter entrare nel Suo Regno. È triste renderci conto che forse anche noi mettiamo da parte Mosè e i Profeti perché ascoltarli ci sembra troppo impegnativo, e mentre cerchiamo i miracoli per essere sicuri che la nostra fede si rafforzi, non lasciamo che essa si edifichi su quella Parola di vita che davvero la può rendere forte e incrollabile.
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