Un esame di coscienza per misurare la vita cristiana
Dopo che Gesù si è trovato ad un banchetto in casa di un fariseo, il racconto dell’Evangelista Luca continua presentandoci una serie di detti del Signore rivolti alla folla che lo segue. Possiamo raccogliere in unità quanto Gesù dice considerando come tema centrale delle sue parole l’essere discepoli: “non può essere mio discepolo chi…”. Questa espressione, ripetuta tre volte, ci mostra le condizioni per le quali si può stare nel numero dei discepoli senza illudere se stessi applicandoci un titolo che non ci spetta.
Tra le parole di Gesù che chiedono di non scegliere i primi posti e suggeriscono di invitare gli ultimi fra gli uomini, quelli che non hanno di che ricambiare quando si organizza un banchetto (testo letto domenica scorsa), e i detti che si leggono in questa domenica, si trova la parabola della grande cena alla quale i primi invitati rinunciano e che vede accolti proprio quegli ultimi che Gesù suggeriva di invitare quando si organizza un banchetto. Mi sembra significativo cogliere la stretta continuità tra la disponibilità di Dio che chiama tutti, senza eccezioni così come si manifesta nella parabola, quasi costringendo i nuovi invitati ad entrare, e il richiamo che segue immediatamente, volto a sottolineare la responsabilità dell’accoglienza di fronte all’invito di Dio.
Oggi il Vangelo ci ricorda che accanto alla sovrabbondante misericordia di Dio che è sempre vera e che Gesù è venuto ad annunciare, perché Dio non fa preferenze e alla sua mensa non ci sono esclusi, non può venire meno una risposta da parte nostra, risposta fatta di scelte radicali e fedeli. L’invito di Dio lo si può accogliere solo dando alla nostra vita la forma di Gesù, solo sforzandoci di entrare per la porta stretta (cfr. Lc 13,24), quella porta che ha la misura del Signore, quale riferimento per la vita di ciascuno di noi.
Pertanto non può essere discepolo di Gesù chi non mette al centro della propria vita il Signore, prima e oltre ogni riferimento e ogni amore umano. Suonano dure queste parole di Gesù, perché ci viene spontaneo chiederci come possa essere in concorrenza l’amore per Dio con l’amore per le persone della propria famiglia. Sono parole, queste, che quasi danno fastidio. Eppure è questo quello che il Signore ci chiede: che l’amore per Lui non sia in concorrenza con nessun altro amore; che l’amore per Lui non sia posto sullo stesso piano con l’amore per le persone, anche quelle a noi più care. Penso che questo sia possibile riconoscendo che l’amore per il Signore comprende l’amore per le persone, mentre l’amore per le persone rischia sempre di essere esclusivo, parziale. Questo vale anche per noi stessi. Se al centro della mia vita c’è l’amore per qualcuno (anche me stesso) lascio fuori tutti gli altri; se al centro c’è il Signore Gesù e il suo Vangelo, in questo amore, che sta oltre il primo posto, possono trovare spazio tantissime persone, senza gerarchie e senza primi e ultimi posti.
Non può essere discepolo di Gesù chi non prende la propria croce e non si incammina con Gesù sulla via della derisione, dell’umiliazione, del disonore che la croce porta con sé. Non si tratta solo di essere disposti a perdere la vita per morire in croce come Gesù, si tratta soprattutto e prima di tutto di essere disponibili ad accogliere la logica dell’ultimo posto che Gesù ha fatta sua abbracciando la croce e non considerando il suo essere Figlio di Dio come motivo di prevaricazione e di privilegio, come dice la Lettera ai Filippesi (cfr. Fil 2,6-8).
Infine non può essere discepolo di Gesù chi non fa i conti con la propria vita e dichiara la sua disponibilità piena alla povertà, fino a rinunciare a tutti i suoi beni per il Signore. Il tema della ricchezza e della povertà è centrale nel Vangelo secondo Luca: se si intraprende un’impresa, sia la costruzione di una torre o la partenza per una guerra, non si può essere sprovveduti, non lo si può fare senza calcolare costi o misurare le forze. Così non si può pensare di essere discepoli del Signore trattenendo presso di sé beni e ricchezze, senza liberarsi dei fardelli che rallentano il cammino di chi si pone dietro il Signore volendo essere suo discepolo. Solo un cristianesimo povero è autentico, ci dice Gesù. E con questa richiesta la comunità dei credenti deve confrontarsi e misurarsi sempre nel corso della sua storia, perché è estremamente facile cedere alla logica del possesso, dire che non c’è nulla di male e un po’ alla volta riempirsi di cose che prendono il sopravvento, così che senza accorgersene ci si preoccupa più di difendere queste che il Vangelo, vera ricchezza che il Signore ci ha lasciato.
Quanto oggi il Signore Gesù ci consegna è un piccolo esame per la nostra vita, per non illudere noi stessi dicendoci “siamo discepoli del Signore Gesù perché siamo stati Battezzati, perché andiamo a Messa alla domenica, perché facciamo un po’ di elemosina e qualche preghiera”. L’esame di Gesù è profondo, impegnativo, ma è anche il richiamo ad un cammino che continua tutta la vita. Come per ogni cosa, discepoli non ci si improvvisa, discepoli si diventa disponendosi ogni giorno di nuovo a fare nostra la vita di Gesù, misura e riferimento per ogni nostro gesto e pensiero.
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