2 settembre 2025

E' il cotto la pelle di Cremona. La identifica e i suoi abitanti ne diventarono maestri nella produzione

Il cotto costituisce il carattere identificativo della nostra città: Cremona. 

Chi avrà la bontà di leggere quanto segue constaterà che si tratta di conoscenze note a chiunque: scontate.  Ciò non significa che tali argomenti non siano stati e non siano oggetto di ricerca storica e scientifica. Il lettore potrà, se interessato, approfondirli affrontando egli stesso quegli studi che ne danno spiegazioni puntuali. Solo così sarà oltrepassabile la soglia di ciò che è risaputo e condiviso.

È opportuno comunque riportare generiche conoscenze utili per definire la postazione da cui osservare il rapporto fra Cremona e il cotto. Si vorrebbe individuare un potenziale spazio culturale entro cui aprire un dibattito sull’identità della nostra Città. L’intelligenza collettiva oltrepassa la soglia dell’individualismo. Essa si serve delle intuizioni di ogni singolo soggetto per poi confrontarle. Comparando memoria storica con progettualità si perviene ad una consapevolezza, che non è certamente esaustiva, ma comunque induce alla riflessione e sviluppa potenziali percorsi di ricerca. 

Qui si vuol tenere il percorso che accomuna tutti i cittadini: quelli che hanno l’orgoglio di chiamarsi cremonesi. Ciascuno di loro (di noi) vive esperienze proprie, ma nessuno può negare che il rosso del cotto domini e caratterizzi Cremona.

Il cotto: quanti oggetti sono stati realizzati e ancor oggi, se pur in numero minore, prendono forma nella terra cotta, ma fra questi l’oggetto più imponente è la città. 

La città è infatti un “oggetto manufatto” e lo è a doppio titolo. 

In essa si oggettivano le condizioni della vita sociale e civile. La città mostra i propri caratteri identitari in base a quelli presenti nella fisicità del luogo e nel costruito. Il rapporto fra sito e vita quotidiana è elemento fondante l’unicità della città. Nel tempo l’identità urbana è promotrice delle prospettive che animano la collettività, è habitat e, al contempo, è testimone di tale trasformazione. Sono gli edifici e la struttura urbana a testimoniarne la memoria: la storia. Il luogo dell’abitare è spazio “manufatto”, che, nel consentire al cittadino di attuare le proprie potenzialità, non può sottrarsi alla fisicità del sito in cui se ne è scelta la fondazione. 

Non solo ciascun territorio offre i materiali per la costruzione, ma impone le proprie caratteristiche morfologiche cui sottostà l’edificazione della città. Si pensi, ad esempio, all’ètimo di Cremona. Pur rimanendo incerto il toponimo della nostra Città sembra che questo faccia riferimento al termine di origine gallica o celtica carm o carra che significa “sasso” o “roccia”. L’assonanza con l’origine linguistica della città di Crema, che alluderebbe a “dosso” o “altura”, non sembra casuale e non sposta di molto il significato. 

Come ignorare, poi, i passi evangelici di Matteo e di Luca? Costruire la casa sulla roccia ne consente la sicurezza e la durabilità. I testi sacri riprendono una nota e consolidata tradizione che deriva dall’esperienza e per analogia ne fanno uso come esempio. 

Ma perché definire il sito, su cui sorge Cremona, “altura”? Probabilmente, il riferimento va alle acque che lo circondavano, acque che lasciavano sulle proprie rive un terreno argilloso che avrebbe consentito la costruzione dei materiali necessari per l’edificazione della Città. 

Se il nome di Cremona testimonia la sua fondazione, il cotto s’impone come materiale che la caratterizza. Il cotto è il segno potente che la contraddistingue e si manifesta in tutte le sue scelte costruttive; perlomeno sino alla prima metà del secolo scorso. A tale proposito basti citare Palazzo dell’arte di Carlo Cocchia (costruito tra il 1941 e 1947 con l’interruzione nel periodo bellico), oggi Museo del Violino, e la chiesa di San Ambrogio di Giovanni Muzio (costruita tra il 1935 e il 1961). 

Ma è opportuno partire ab ovo.

Come è noto il materiale, per la realizzazione di opere in cotto, si trova in natura. Sono i corsi d’acqua ad offrire in abbondanza: l’argilla.

Così, la definisce la geologia:

“L'argilla è una roccia sedimentaria clastica, costituita da granuli detritici, di dimensioni inferiori a 0,004 mm, accumulatisi per decantazione in acqua (depositi marini, fluviali, lacustri), per azione di ghiacciai (depositi morenici) o per azione dei venti (löss).

Non ci si stupisca quindi se, sulle rive del grande fiume -il Po, l’uomo - locale, ne abbia trovata in grande quantità. Questi ha avuto immediata confidenza con le qualità del terreno. Nel camminare sulla riva del fiume, fra le sue acque ed il greto, ha colto la duttilità e plasticità dell’argilla: l’impronta del suo piede rimaneva infatti impressa. Giocoforza ipotizzare che tale esperienza non si sia limitata all’osservazione. Talvolta, l’abitante-locale sarà anche scivolato e avrà potuto costatare come il terreno fosse duttile e quindi plasmabile. Probabilmente, egli cominciò a raccogliere l’argilla e a manipolarla. Si accorse ben presto di quanto fosse facile conferire ad essa forme diverse, forme di oggetti che rispondevano a necessità quotidiane. La sua attività, ogni giorno, si andava specializzando nel creare utensili. La malleabilità della creta si presentò, come la condizione ideale per la lavorabilità. 

“Ma pur amava la cerulea creta Brigo vasaio; e ben n’era in copia, duttile e molle al pollice qual olio” 

Il materiale era versatile. L’esperienza, di come al sole l’argilla si solidificasse, consentì di sottoporla a cottura. Così, la resistenza meccanica venne riconosciuta come una qualità di grandissima importanza. L’uomo locale passò dall’esecuzione di manufatti a quella di componenti utili alla realizzazione di spazi abitativi.  Non solo utensili potevano essere creati con l’argilla, ma i mattoni. La scoperta della modularità del mattone divenne fondamentale e s’iniziò, soprattutto lungo i corsi d’acqua, a costruire le fornaci. L’immaginazione venne supportata dalla perizia. I maestri fornaciai avevano concepito un manufatto dalle misure standardizzate. Tale intuizione rese il mattone estremamente adattabile per la costruzione di ogni forma di edifici. L’uomo locale era divenuto un abitante. Il più possente strumento per edificare era un “parallelepipedo”, un manufatto artigianale: un multiplo capace di dar forme diverse alle costruzioni. L’ambiente, intorno al novello abitante, andava trasformandosi e si configurava come luogo antropizzato. Dalla natura l’uomo aveva avuto in dono un materiale di cui egli faceva esperienza dando ad esso forma di manufatto.   

   Non si trattava però solo di una trasformazione del territorio, ma di un cambiamento radicale rispetto al lavoro. Questo originariamente esperito come fatica, si modificava in tecnica: in un saper-fare che comportava, oltre all’abilità, progettazione e gestione del tempo lavorativo. Gli stessi rapporti sociali si configuravano come interazione fra gli abitanti e andavano diversificandosi. Mentre il lavoro s’imponeva come conoscenza ed elaborazione di competenze, prendeva forma la città, come luogo in cui abitare. L’alleanza, fra natura ed intelletto umano, era, qui da noi, stabilita attraverso l’incontro fra l’esperienza del manipolare la creta (l’humus locale) e l’intuizione di gestire il bisogno esistenziale di avere un ricovero sicuro.

 L’immaginazione di chi scrive, pur servendosi di banali informazioni, ha certamente preso il sopravvento. Le conclusioni sono segno di un’ideologia ancora figlia di un Illuminismo che s’illude di stabilire la successione degli eventi e, con grande arroganza, impone una fabulazione: un racconto rassicurante. 

Forse è opportuno fare altro percorso e cercare d’argomentare la presenza di dati che non possono essere ridotti alla pura narrazione, ma s’impongono come fondamento dell’identità del rapporto fra il “cotto” e la Città.

Il cotto, che identifica Cremona, ne costituisce l’archetipo: l’anello di congiunzione fra la natura del luogo e la cultura espressione di civiltà.

La scoperta dell’uso dell’argilla consente il passaggio da uomo-locale ad abitante: civis

A testimoniare quanto detto è la stessa identità di Cremona. La Città nell’esibirsi e nel mostrare le sue caratteristiche, dagli edifici alla struttura urbana, testimonia la propria origine. Nei secoli, Cremona fa sempre menzione di tale rapporto. Il cotto è materiale che consente la progettualità. Il materiale possiede una propria identità. La memoria intrinseca che lo qualifica non è, come sostenevano taluni pensatori antichi, materia informe. L’argilla possiede caratteristiche proprie che, permettendone la cottura, si trasforma nel cotto. L’argilla non tradisce le aspettative dell’homo faber (uomo artefice). La memoria intrinseca al materiale, ossia le qualità che nel loro interagire lo identificano, suggerisce la tecnica. L’uomo la inventa per ottenere l’uso più consono alle proprie esigenze. Questi sente la necessità di realizzare le fornaci. Il territorio nei pressi dei fiumi si va caratterizzando per la presenza di costruzioni necessarie alla cottura dei laterizi. Mentre la città prende forma, questi siti industriali modificano il paesaggio originario. L’attività lavorativa lascia segno di sé e s’impone fra natura e sviluppo urbano.  La tecnica si caratterizza come “saper-fare” e trova il proprio sinonimo nella “poesia” che coniuga il fare al creare proprio dell’inventiva umana. 

Così, si delinea la funzione del cotto: costituisce l’archetipo identitario di Cremona. L’argilla unisce la natura del luogo con lo sviluppo della cultura urbana. Questo accade allorché l’humus  locale prende forma nel cotto: segno di una elaborazione tecnica.

La foto è di Antonio Leoni

 

Anna Maramotti Politi


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commenti


Alessandro Portesani

2 settembre 2025 11:28

Cara Anna, grazie per questo bellissimo ritratto di Cremona attraverso il cotto. È vero: è la pelle della nostra città, un segno che ci identifica e che ha formato generazioni di maestri artigiani.
Leggere le tue parole è un po’ come guardare Cremona con occhi nuovi: ci ricordano quanto sia prezioso custodire e valorizzare queste radici.