21 settembre 2025

Un esempio che ci sta un po’ stretto

“Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,8). È forse questa la frase che più ci sconvolge ascoltando la parabola che oggi viene proclamata. Ci scandalizza pensare che Gesù possa ricorrere all’immagine di una persona disonesta per offrirci un insegnamento, ci colpisce ancora di più che l’atteggiamento di quest’uomo trovi lode ai suoi occhi, offrendosi per noi come un esempio da imitare. 

Nella parabola non ci viene detto in cosa consista la disonestà dell’amministratore e nemmeno se ci sia davvero. Secondo alcuni la disonestà di quest’uomo non starebbe nel ridurre la quota dei debitori verso il suo padrone, poiché con questo comportamento egli semplicemente rinuncerebbe all’interesse legittimo sui debiti che in qualche modo gli spetta come profitto per il suo lavoro. Quel che sappiamo è che l’amministratore viene accusato e come accade sempre per i piccoli di fronte ai potenti, non c’è possibilità di difesa. Magari non è uno stinco di santo, magari non è cattivo come il suo padrone lo giudica. Però ormai per lui non c’è più niente da fare, sa che deve trovare una soluzione per poter andare avanti, perché presso quel padrone non potrà più fare l’amministratore. E la soluzione la trova, correndo ora il rischio di una perdita. 

Molto bello è nel testo il racconto del dialogo fra sé e sé compiuto dall’amministratore che cerca come affrontare quel che sta vivendo. Ci porta ai flussi di coscienza che si muovono nelle nostre teste quando i pensieri si rincorrono e si scontrano mentre ci troviamo di fronte a situazioni di cui ci è difficile trovare un via d’uscita. Ed è qui che emerge il motivo della lode che viene rivolta a questo amministratore: valuta la gravità della situazione, riconosce l’urgenza di agire e si butta. Ci sono momenti in cui occorre giocare il tutto per tutto, ci sono urgenze che non possono essere rimandate, ci sono scelte che vanno fatte ora, prendendo il coraggio a piene mani. La scaltrezza di quest’uomo è un po’ la stessa di alcuni personaggi della Sacra Scrittura che di fronte alle situazioni della vita compiono la scelta giusta davanti a Dio, riconoscendo che persino nella difficoltà non sono stati abbandonati da Dio: Egli li sta accompagnando, proprio attraverso la fatica, per un incontro più vero con Lui. Un esempio di questo atteggiamento è Giuditta, la vedova scaltra che vince il condottiero dell’esercito nemico. Di fronte all’assedio della sua città, di fronte allo smarrimento di tutti, ella dice: “ringraziamo il Signore, nostro Dio, che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri” (Gdt 8,25). Giuditta riconosce la presenza di Dio in quanto lei e i suoi concittadini stanno vivendo, e risponde prontamente. Con la stessa prontezza risponde l’amministratore: non se ne sta fermo a lasciare che le cose accadano, non subisce gli eventi, li vive.

A ciò siamo chiamati come cristiani. La parabola ha una sua prima lettura in riferimento all’uso del denaro. La ricchezza serve solo per creare relazioni, se viene accumulata per sé è destinata ad imputridire (cfr. Lc 12,16-21). L’amministratore è stato scaltro perché con la ricchezza si è fatto degli amici che gli saranno grati e forse faranno qualcosa per lui quando, tra non molto, il bisogno busserà alla sua porta. Così è per noi, richiamati ancora una volta a non accumulare tesori, ma a far della ricchezza un’occasione di bene per gli altri, una possibilità per dare aiuto a chi è in difficoltà. E quando avremo bisogno di entrare nelle dimore eterne saremo accolti da quegli amici a cui abbiamo fatto del bene, i quali, riconoscendoci, ci apriranno la porta della loro casa. Nel Regno dei cieli, dove i poveri hanno pieno diritto di cittadinanza, vengono accolti anche coloro che hanno meno diritti, ma che verso i poveri e gli ultimi si sono spesi, facendoseli amici. 

La parabola mi sembra ci offre anche un altro livello di lettura: l’importanza del fare qualcosa di fronte alle situazioni della vita. Non fare qualcosa “a caso”, ma fare qualcosa che saggiamente e scaltramente riconosciamo serva per ottenere uno scopo buono.

Penso alle tante situazioni di cui ci giunge notizia, situazioni che ci indignano, che ci colpiscono, che ci fanno soffrire. Spesso e volentieri ci lasciamo coinvolgere emotivamente, ma poi non facciamo nulla, non agiamo. Più che scaltri, siamo come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano. Non ci giriamo dall’altra parte solo perché vogliamo fare una foto con lo smartphone, magari da pubblicare sui social per dirci arrabbiati. E tuttavia poi continuiamo, comunque, la nostra strada. Alla facile indignazione non corrisponde una vera decisione, continuiamo semplicemente per la via già presa dalla nostra vita, come se niente fosse. E forse questo è un atteggiamento, lo dico a me per primo, che non va bene, che fa male. La parola del Signore oggi, mi sembra ci inviti anche ad essere pronti, attenti, disponibili ad agire. Cristiani in movimento e in cammino; per usare un’immagine cara a Papa Francesco, cristiani capaci di scendere dai divani delle nostre comodità, per andare incontro a chi è nel bisogno, per fare qualcosa per chi è nella necessità. Di cristiani così ne conosco, grazie al Cielo. Vedo i loro sforzi, il loro impegno a favore dei poveri, a favore dei più giovani e dei bambini, a favore di anziani e ammalati, a favore delle nostre comunità parrocchiali perché riescano ad essere vicine a tutti. Cristiani che spendono personalmente tempo, energie, risorse anche economiche per il bene degli altri, senza pretendere un grazie, da nessuno. Persone che sanno farsi amici dei più piccoli e così, con tante scelte quotidiane, semplici e concrete, colgono l’occasione di fare il bene che possono compiere, con quella scaltrezza che il Vangelo ci insegna e ci chiede di saper vivere ogni giorno. Cristiani che non si indignano, perché più utilmente scelgono di agire. 

Francesco Cortellini


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