Nel mistero della Croce
La Chiesa celebra oggi non un “evento”, ma un “mistero”. La Chiesa si ferma di fronte ad una realtà che riconosce importante, anzi, fondamentale per il proprio esistere e della quale sa che le parole umane che provano a descriverla, a definirla e spiegarla non sono e non saranno mai sufficienti. Il “mistero” in fin dei conti è qualcosa che si può intuire, che si può gustare con il cuore, con gli occhi della fede e che tuttavia resta sempre al di là della nostra comprensione ragionevole, perché ci spiazza e ci lascia molte domande, nonostante le risposte che proviamo a dare.
Così è la Croce di Gesù. Al di là dell’oggetto fisico e materiale, la Croce è un mistero perché rappresenta ed è ciò attraverso cui Gesù ha voluto portare a compimento la sua vita di Figlio di Dio fatto uomo. La Croce è il passaggio attraverso il quale la morte si schiude alla vita nuova. La Croce è il segno che ancora oggi moltissimi cristiani usano come identificativo per dichiararsi discepoli del Signore Gesù.
Alle parole del Vangelo secondo Giovanni che oggi si leggono, è affidato il compito di parlarci della Croce, così come Gesù ne ha parlato con Nicodemo, nel dialogo notturno che ha avuto con quest’uomo come l’Evangelista ci racconta. Anche noi ci mettiamo in ascolto non per “più conoscere”, ma per “meglio lasciarci comprendere e abbracciare” dal mistero della Croce che oggi la Chiesa ci invita a mettere al centro del nostro cuore.
La Croce è prima di tutto segno di salvezza al quale guardare per essere guariti dai morsi del proprio sé, radice dei nostri peccati. Le prime parole di Gesù richiamano un episodio biblico che nella liturgia viene ripreso attraverso la prima lettura (Nm 21,4-9): a causa della mormorazione degli israeliti, Dio manda serpenti dal morso velenoso. Riconosciuta la loro colpa, gli israeliti chiedono a Mosè di pregare Dio perché li liberi da questa calamità; istruito da Dio, Mosè innalza su di un’asta la raffigurazione bronzea di un serpente: guardando a quel serpente ci si rivolge a Dio per invocare salvezza e mentre ci si ricorda il motivo per cui si è stati morsi, cioè il proprio peccato di mormorazione, dal peccato si viene liberati. La Croce, dice Gesù, sarà questo per il nuovo popolo peregrinante nella storia, lungo i secoli: ogni volta che ciascuno di noi cadrà vittima e colpevole del proprio peccato, potrà guardare alla Croce e ricordare che quel che Dio ha compiuto innalzando il Suo Figlio è accaduto affinché dal proprio peccato ciascun essere umano fosse liberato. Affinché fosse libero sempre e di nuovo da quel morso che sempre ci tormenta e da quel veleno che sempre ci attossica: il nostro egoismo, causa e radice di ogni peccato, contro Dio, contro i fratelli e le sorelle, contro ogni altra creatura. Causa di ogni peccato perché stupida idolatria di sé stessi.
Guardando alla Croce, ciascuno di noi, inoltre, impara la misura dell’amore di Dio e quindi la misura di ogni vero amore. Dio non dona qualcosa di sé per noi: dona tutto sé stesso. L’immagine più semplice che può aiutarci a capire il tutto che il Padre vive nella perdita del Figlio in Croce, può venire dal dramma di Abramo chiamato a sacrificare Isacco: l’unico figlio di un padre ormai anziano gli è richiesto da quel Dio che glielo ha donato. Senza Isacco, finisce la vita di Abramo, finisce la possibilità che si realizzi la promessa di Dio. Non muore Abramo con la lama di quel coltello, ma è come se lo fosse. Quando tutto sta per essere compiuto, Dio ferma la mano di Abramo, perché ha visto la sua fede in Lui. All’uomo di sempre che a Dio vorrebbe dire: “Tu, cosa sei disposto a fare per mostrarmi il tuo amore per me?”, Dio risponde con la Croce, in cui il Suo Figlio si consegna, nuovo Isacco, segno di amore e fedeltà eterni e indefettibili di Dio Padre per ogni uomo, di ogni tempo e di ogni luogo.
E ancora la Croce ci insegna misericordia, per “questo mondo”, di ieri e di domani, di oggi e di sempre. “Dio ha tanto amato il mondo”: non ha smesso di amarlo, mai. Dalla creazione Dio si compiace di quel che ha fatto: della leggerezza delle nubi, della maestà della luce che riempie il cielo quando il sole cala all’orizzonte, dell’ingombrante mole dei monti che tanta fatica chiede all’uomo che vuole raggiungerne le vette. Dio si compiace dell’infinità del mare, un nulla se paragonato alle distanze degli spazi astrali dove miliardi e miliardi di pianeti e di stelle se ne stanno, indisturbati e senza disturbare le brevi vite degli uomini, che pur essendo meno che polvere di fronte a tutto ciò, giocano a fare gli dei, credendo di dare la vita, capaci solo di dare la morte in tanti gesti di violenza e guerre che ancora segnano questo mondo. E vien da chiedersi, perché Dio, nonostante tutto, questo mondo continua ad amarlo, senza condannarlo, magari mandando nuovamente il diluvio per rinnovare, stavolta davvero, tutta la terra? Quel che possiamo dire è che se Dio ama il mondo, nonostante tutto, dobbiamo e possiamo imparare a farlo anche noi. E anziché lamentarci per mille cose che realmente non vanno, guardando la Croce, proviamo a riconoscere che dentro di essa c’è sempre, impercettibile ma vero, il profumo della Pasqua; che dentro di essa c’è sempre la speranza che il cuore dell’uomo cambi, lasciandosi finalmente istruire da Dio che ha mandato dal cielo Suo Figlio, per fare nuove tutte le cose, a partire dal mio cuore.
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