185 anni fa moriva l'architetto Voghera, le sue opere espressione di un’arte che si avvale anche del saper-fare locale.
È stato scritto che “185 anni fa moriva l'architetto Luigi Voghera, innovatore del volto di Cremona”. Un doveroso grazie a Roberto Fiorentini che ci ha fatto memoria dell’anniversario. Dico doveroso perché si tratta di un ricordo che coinvolge tutti i cremonesi.
Oggi sui social è di moda farsi gli auguri per i compleanni o festività varie cui si aggiungono faccine e sticker, ma ci dimentichiamo di chi ha lasciato un segno tangibile sulla Città, segno che ancor oggi ne evidenzia l’identità.
La stratificazione storica dell’architettura testimonia la partecipazione alla cultura collettiva di un luogo. Poco importa, una volta realizzato un edificio, se sia stato un committente o un altro ad aver scelto un progettista, la costruzione occupa “quello” spazio urbano e, mentre lo identifica, si offre alla fruizione dei cittadini. L’arte ha come referente chi, in una certa misura, ne partecipa. Lo si voglia o no l’architettura è l’arte che più delle altre coinvolge il pubblico.
Per questo passare in silenzio, sperando che così non sia!, l’anniversario di Voghera sarebbe una disattenzione imperdonabile, non tanto rivolta allo stesso Voghera, ma quanto rivolta ai cremonesi che vivono spazi urbani da lui realizzati.
Mi è caro, in questo contesto, ricordare l’architetto Luciano Roncai che tanta attenzione aveva avuto per il suo illustre predecessore. Roncai riconosceva come il Neoclassicismo fosse giunto a Cremona per opera di Voghera. La voce autorevole dell’Architetto casalasco, “quello della bassa” come era solito Roncai definirsi, è la voce dello storico dell’architettura. Roncai, conoscendo gli edifici attraverso i documenti d’archivio, ma anche nelle loro tecniche costruttive e nelle caratteristiche dei materiali utilizzati, si è accostato alla storia dell’architettura locale non solo con atteggiamento estetico, ma alla ricerca dei fondamenti della progettazione. La materia ha qualità proprie e consente all’architetto di manifestare le proprie potenzialità. È duttile per chi sa seguire, come si suol dire, il “verso del legno”. Solo allora le potenzialità dell’architetto si possono manifestare. Roncai era maestro nel leggere la materia e conseguentemente le tecniche che essa suggeriva all’architetto.
Gli approfondimenti di Roncai sulla personalità di Voghera suggeriscono un’osservazione. Solitamente, quando si parla di stili, soprattutto in Italia, dove la divisione in stati sino a metà dell’Ottocento ha determinato differenze notevoli fra le scuole locali, si ha attenzione a distinguerle. Così, non accade per il Neoclassicismo il cui rifermento all’arte del Rinascimento e dell’arte romana è ritenuto espressione di un allontanamento sprezzante rispetto alla dinamicità del Barocco e del Barocchetto o Rococò. Il Neoclassicismo sembra risolversi in un razionalismo che esprime misura ed armonia.
Ebbene, il Neoclassicismo romano è altro, ad esempio, rispetto a quello milanese già figlio di un’attenzione alle tecniche e alla materia. Voghera esprime questa duplice attenzione Diversamente a Roma è segno di emulazione dei tempi passati (romanità e umanesimo). Voghera in tutte le sue opere, cui Fiorentini nel suo editoriale ha fatto riferimento, individua un neoclassicismo che si è sviluppato a Milano: al Brera. Non si dimentichi che a Parma nel 1752 era stata aperta l’Accademia di Belle Arti diretta dal francese Petitot che aveva ripreso le forme classiche. Da questa scuola uscirono molti docenti che successivamente insegneranno a Brera.
Il Brera era a Milano espressione della volontà di diffondere uno stile “sobrio” da parte della dominazione austriaca. Lo stile neoclassico in Lombardia non è neppure paragonabile a quello francese. Napoleone, homo novus, non avendo un proprio retroterra culturale, cercava i simboli del potere imperiale. A Milano, al contrario, l’edilizia doveva favorire lo sviluppo di un’economia che aveva le proprie radici nella politica dell’impero austriaco. Si era ben consapevoli che l’edilizia era un volano importante per la ripresa di un benessere che era collegato ad un’imprenditoria perspicace. Né Roma né Parigi erano i modelli cui attingere, ma si attingeva alla prassi: figlia dell’esperienza e dell’intuito, segno di abilità e di laboriosità.
Voghera entra in quest’ottica: saper utilizzare “al meglio” tecniche e materiali. Non si trattava di menzionare il passato, ma di sapersene servire per essere concretamente contemporanei alle esigenze di Cremona. La Città aveva perso il suo potere economico perché le nuove tecniche industriali all’estero e l’oppressione delle tasse avevano mortificato gli artigiani, quella classe sociale che un tempo l’avevano resa gloriosa in tutta Europa.
Voghera è certamente imbevuto della classicità, ma risponde alle esigenze di Cremona. Grande dignità e, al contempo, sobrietà trovano in lui quella capacità artistica che lo contraddistingue. Le sue opere sono espressione di un’arte che si avvale anche del saper-fare locale.
Voghera non emula l’architettura dei suoi contemporanei, ma al Neoclassicismo conferisce una cifra ulteriore: quella della professionalità.
Non si tratta di una lezione da poco. Voghera non costituisce un mero ricordo, ma la sua attualità va colta nel suo insegnamento che unisce arte a prassi. Cremona gli è debitrice.
Non certo per celebrarlo, ma per acquisire il suo insegnamento la Città dovrebbe avere attenzione a un architetto che ha pensato l’architettura in un’ottica locale pur conferendole caratteri che superano i confini nazionali.
Difficile da capire? Si deve uscire dalle nostre categorie e cogliere la complessità storica di cui l’architettura fa parte.
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commenti
Chiti Giuliana
10 settembre 2025 18:45
Sono veramente ammirata dell’articolo riguardante il nostro grande Voghera poco conosciuto per tutti i suoi intelligenti interventi nella ns città ed oltre , mi auguro che si ricordi significamente questo personaggio e in occasione del suo 185 anniversario Cremona lo utilizzi per dargli il valore che si merita . Grazie Giuliana Chiti