Contro il turismo ammassato mordi e fuggi, la lentezza e la meditazione nei contesti che completano le opere
Come ridurre o addirittura bloccare il cosiddetto “overtourism”? Un tema che si pone con urgenza dopo le impietose immagini devastanti di Venezia, delle Cinque Terre, della Via dell’Amore, di Portofino, di Sirmione, dei sentieri dolomitici ecc. letteralmente sommerse da ondate di piena di “turisti”, che si muovono a comando, stimolati nonché irretiti da messaggi pubblicitari che promettono l’incontro con l’apice della bellezza, magari esaltato come “luogo UNESCO”. Uno dei tormentoni di quest’anno il turismo ammassato, che pigia migliaia e migliaia di persone in luoghi, ambienti e destinazioni adatti a un viaggiare lento, quasi meditativo.
Non essendo un esperto di turismo di massa, ma una persona che ama visitare con lentezza pensosa “luoghi del cuore” da cui ricava arricchimento e serenità, propongo una mia “ricetta” per giungere in prossimità di ciò che chiamiamo “bellezza”, una qualità misteriosa che spinge ognuno di noi a collegarci a un contenuto emozionale positivo, fino a generare in ciascuna o ciascuno un senso di riflessione spesso benevola, in ogni caso più profonda, sul significato dell'esistenza dentro il mondo naturale, urbano, sociale, familiare: visitare, andare incontro, attraversare “contesti”, che completano, arricchendoli, singole opere, singoli paesaggi.
Per iniziare un nostro viaggio, una visita particolare, magari partendo da una guida turistica o un sito internet, viene da osservare che le immagini presentate, pur suggestive in sé, non sono che un pallido riflesso di quelle che si potrebbero cogliere dal vivo, in presenza, e che ogni soggetto può avvicinare recandosi nei luoghi in cui sono conservate, all'interno del contesto in cui la storia le ha collocate e che contribuisce in maniera decisiva al loro straordinario potere di seduzione.
Voglio fare due esempi. Che ne sarebbe – tanto per accennare ad un'ulteriore citazione tra le infinite che si possono fare in un paese come l'Italia dove le stratificazioni temporali, naturali e culturali dei contesti offrono accostamenti da vertigine – della tenerezza malinconica di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia, la bellissima sposa morta giovanissima, con il cagnolino che da più di 600 anni le scalda i piedi, senza il contesto di Lucca, la sua cerchia murata e alberata, la torre imponente con i lecci sulla cima di palazzo Guinigi, il Duomo, piazza Anfiteatro, il Serchio:
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
(Ungaretti, )
E senza i versi di Salvatore Quasimodo in visita rituale:
Gli amanti vanno lieti
nell’aria di settembre, i loro gesti
accompagnano ombre di parole
che conosci. Non hanno pietà; e tu
tenuta dalla terra, che lamenti?
Sei qui rimasta sola. Il mio sussulto
forse è il tuo …
(Salvatore Quasimodo, Ed è subito sera, Davanti al simulacro di Ilaria del Carretto)
E quelli delle “Città del silenzio” di un Gabriele D'Annunzio per una volta non retorico:
Tu vedi lunge gli uliveti grigi
che vaporano il viso ai poggi, o Serchio,
e la città dall’arborato cerchio,
ove dorme la donna del Guinigi.
Ora dorme la bianca fiordaligi
chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio
del bel sepolcro...
(D'Annunzio, Elettra, Le città del silenzio, Lucca)
E al di fuori da ogni contesto, che ne sarebbe dell'umile, tenera dolcezza dell'Annunciazione di Boccaccio Boccaccino, nel soprarco absidale della “macchina immensa del Duomo” di Cremona, forse non per caso collocata quasi alla fine della navata centrale, quasi sopra l’altare maggiore, prima del grandioso Cristo Pantocratore del catino absidale con i santi protettori della città?
I Cremonesi dell'epoca credevano in un tempo cristiano, che partiva non dalla nascita di Gesù, ma dal concepimento nel ventre di Maria, ab incarnazione. Da lì si spiega l'essere la prima dipinta (1505) di un amplissimo ciclo e la sua collocazione centrale, quasi sopra le storie che si succedono tutt'intorno.
La prima dunque delle trenta tappe devozionali del ciclo pittorico della Cattedrale, che impegnò per quasi cinque lustri, sotto un'attenta regia teologica e civica di impronta laica, i migliori pittori cremonesi del periodo, come il già citato Boccaccino, Gian Francesco Bembo e Altobello Melone, ma anche alcuni artisti venuti da fuori, come il Romanino, il Pordenone e Bernardino Gatti: guardando dall’altare, a destra del visitatore, “Le storie di Maria” (che contiene un’altra Annunciazione), a sinistra “Le storie della Passione”, e di fronte, sulla controfacciata, “Crocefissione”, “Compianto” e “Resurrezione”.
Il visitatore autobiografo, che intende scrivere il proprio diario di viaggio, rimane quasi frastornato da quella specie di labirinto che è il Duomo di Cremona: un edificio a croce latina, con tre navate anche nei transetti, poi altari, nicchie, cappelle, pulpiti, sculture, pitture, con ripetute Annunciazioni, Passioni, Ultime cene (tra cui una quasi sacrilega con una bellissima Maddalena accanto a Gesù), Crocifissioni, Resurrezioni, miracoli di Santi e Martiri, alcuni giunti da lontano, non a caso chiamati “martiri persiani”.
Questa Annunciazione di Boccaccio Boccaccino appare dipinta in alto, quasi nascosta, celata agli sguardi indiscreti, come doveva essere la casa di Maria a Nazareth, anche se da lì nelle narrazioni cristiane tutto ebbe inizio. Una giovanissima donna che sta leggendo le Scritture, concentrata su se stessa e sul testo, meno sull'Angelo, che tuttavia si inginocchia rispettoso dell'accettazione di Maria, e dell'evento che si sta compiendo. Alle spalle delle figure principali due tendaggi verdi, a rappresentare che, al loro scostarsi, si apre la strada della Rivelazione, di una nuova Storia, della Teofania.
Doveva costituire (dicono gli studiosi) insieme al Cristo, il fulcro saliente “di un unico concetto dottrinale che si era deciso di svolgere in quel punto della chiesa ed era in sé teologicamente concluso (AA. VV., Cattedrale di Cremona, 2007).
Il visitatore autobiografo deve cercarla appositamente, questa Annunciazione, alzando lo sguardo, per esserne affascinato, quasi commosso da tanta umile tenerezza posta al centro della maestà della nostra chiesa più grande, a sua volta collocata in un contesto straordinario, Piazza del Duomo, recentemente citata come uno degli ambienti storico-culturali più suggestivi del mondo.
Ecco, visitate così nei loro contesti, le opere ci arricchiscono, ci completano, ci stimolano a vivere in modo più saggio, più consapevole. Altrimenti diventano elementi di una visita “di corsa”, di quell’overtourism che finisce per porre il passato e l’arte nel tritacarne del mordi e fuggi, sfondi per un selfie autocelebrativo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
François
7 settembre 2025 08:28
Bella questa carrellata in sua compagnia, manca solo la citazione dei nostri illuminati amministratori che celebrano tanta bellezza col "tanta robba..."