30 ottobre 2022

Zaccheo insegue Cristo, perchè si sente inseguito!

Guardare dall’alto in basso è tipico di chi, credendosi sempre nel giusto, tratta con sussiego le altre persone, soprattutto se hanno commesso degli errori o se nella scala sociale occupano gli ultimi posti. Così fa il fariseo protagonista della parabola di domenica scorsa: egli, nel sontuoso tempio di Gerusalemme, dopo aver elencato i suoi meriti di fronte a Dio, dirige il suo sguardo altero sul pubblicano rannicchiato nei suoi peccati e lo condanna senza un briciolo di misericordia.

La consapevolezza di essere uomini di potere o di possedere la verità dà sempre le vertigini e conduce inevitabilmente le persone a coltivare l’arroganza, la prepotenza, la presunzione!

Molti si sono allontanati dalla fede perché Dio gli è stato presentato proprio in questi termini: un vecchio arcigno e solitario, assiso su un trono maestoso, dedito a punire inesorabilmente l’uomo quando incappa in qualche peccato. 

Non è raro che di fronte ad una sofferenza straziante, un imprevisto duro e inaspettato, una sconfitta lancinante l’uomo rivolto gli occhi al cielo e in un impasto di rabbia e di dolore gridi: “Perché Signore? Cosa ho fatto di male per meritare tutto questo?”. Come se il buon Dio fosse un cecchino appostato tra le nuvole pronto a sparare ogni qual volta la sua creatura prenda strade sbagliate o senza uscita!

Se c’è una cosa che Gesù ha cercato di chiarire - c’è da ammettere spesso inutilmente - è proprio questo aspetto: l’Onnipotente non è affatto un giudice bramoso di comminare pene immediate, ma un Padre paziente che concede all’uomo tante occasioni per riconoscere il male e allontanarlo dalla propria vita. Egli, è, come scriveva padre Turoldo: “un Dio infelice” fino a quando l’uomo non ritrova la via di casa! E questa infelicità - che quasi sa di bestemmia per chi lo contempla nella sua sovrana onnipotenza – non è tanto dovuta al fatto che il peccato lo “offende” nella sua infinita bontà, ma perché il peccato, dopo un primo illusorio godimento, fa sprofondare l’uomo nell’infelicità, nell’inquietudine, nella solitudine… nella disperazione. Il peccato contraddice l’intima natura dell’uomo il quale, creato a immagine e somiglianza di Dio, trova il suo compimento, la sua realizzazione, solo nel bene, in una relazione libera e gratuita con l’altro!

Nello straordinario Vangelo di oggi ambientato nell’antichissima città di Gerico le cui mura caddero al suono potente delle trombe di Giosuè, è palpabile questa ansia di Dio nel cercare il peccatore e nel riaccoglierlo come figlio, donandogli quella dignità perduta proprio a causa del peccato.

Zaccheo, l’arcipubblicano tanto inviso ai suoi concittadini per la ricchezza frutto di prevaricazioni e angherie, è stato raggiunto da Dio ancora prima dell’arrivo di Gesù. Questo suo desiderio di vedere il Maestro di Nazareth nasce, infatti, da una inquietudine interiore, da una insoddisfazione profonda. Dio lo raggiunge nel suo desiderio di autenticità, di giustizia, di purezza interiore. Egli sta comprendendo, lentamente ma inesorabilmente, di essere “un uomo morto che cammina” perché ha investito tutta la sua esistenza sulla menzogna, le ruberie, le sopraffazioni sui più deboli. È ricco ma tremendamente solo! Il suo cuore, assetato d’amore e di rapporti autentici e profondi, si ribella ad una vita del genere!

L’arrivo di Gesù gli riaccende la speranza: egli lo insegue perché si sente inseguito! È da stolti pensare che siamo noi a cercare Dio per primi: è sempre lui che ci precede, che entra nel nostro quotidiano e si fa compagno del nostro viaggio, così come accade con i discepoli di Emmaus!

C’è una folla, però, che impedisce a Zaccheo di incrociare il suo sguardo con Cristo: ci sono sempre degli impedimenti, delle lotte da intraprendere, degli ostacoli da superare, delle brutte abitudini da sconfiggere, dai peccati da eliminare. Occorre anzitutto dare un nome a questa “folla” che ci impedisce l’incontro con il Signore: le malattie di sconfiggono solo a partire da una accurata diagnosi. Senza la diagnosi – un buon esame di coscienza – non si può individuare la cura.

Occorre, quindi, trovare un buon sicomoro, cioè dei validi aiuti che contribuiscono a far incrociare lo sguardo con il Maestro. E il sicomoro ha tanti nomi e volti: la Parola di Dio, i Sacramenti, la comunità cristiana, la vita di un santo, la testimonianza di un cristiano più maturo di noi, un dolore che ci inchioda, un fallimento che ci atterra…

Sta di fatto che Zaccheo, nonostante fosse piccolo e avesse una posizione sociale da difendere, sale su quest’albero: finalmente può guardare Cristo negli occhi! 

La cosa più suggestiva è che Gesù lo guarda, alzando lo sguardo. I ruoli sono invertiti: Dio è in basso, il peccatore è in alto. Gesù conquista l’uomo con l’umiltà, la mansuetudine, la piccolezza. Egli non teme di farsi piccolo e indifeso così che l’uomo non si senta schiacciato dalla sua grandezza, della sua perfezione, dal suo amore che è purezza assoluta. Gesù non giudica, ma accoglie!

Oggi devo fermarmi a casa tua”. Oggi! Non ieri o domani! Dio lo si incontra adesso, non nella nostalgia del passato e nelle illusioni del futuro, ma nel presente! E poi c’è quel “devo”, come se Gesù fosse costretto ad entrare nella dimora di questo peccatore pubblico e incallito. Ebbene sì, Cristo è obbligato dall’amore! È come se dicesse: “Non posso andare oltre, l’amore per te, per ogni uomo peccatore, mi impone di stare con te, di mangiare con te, di condividere la tua esistenza, di riammetterti alla vita”. Entrando nella sua casa Gesù gli restituisce quella dignità originaria che Zaccheo aveva perso nel momento in cui si era abbandonato al ladrocinio e alla sopraffazione! È come il padre misericordioso che dopo aver abbracciato il figlio prodigo gli mette l’anello al dito, i calzari ai piedi e lo riveste dell’abito più bello! Questo amore travolgente, gratuito, immeritato di Gesù porta Zaccheo al cambiamento totale.

Che bello! La conversione non nasce mai dalla paura della punizione di Dio, ma dallo stupore ti sentirsi cercati, amati, perdonati. Così è per Zaccheo, l’arcipubblicano di Gerico, così è per ciascuno di noi!

Claudio Rasoli


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