27 agosto 2024

I giochi di un tempo in città e campagna: le conte prima del gioco

Agostino Melega cultore del dialetto e delle tradizioni della nostra terra, per tanti anni, ha raccolto quelli che sono "i giòoch de na vòolta". "Non nego di coltivare la speranza - ha scritto Melega - che qualcuno di questi giochi del tempo che fu possa essere riproposto ai bambini di oggi, in modo ampio e coinvolgente. Questi giochi, propri del grande patrimonio custodito dall'immaginario popolare cremonese, sono ancora molto presenti nella memoria viva di molti. Ed è una memoria che non può essere lasciata morire". Per far conoscere questo patrimonio, diamo avvio a questa nuova rubrica

LE CONTE

Prima di dar l'avvio alla presentazione dei giochi, è opportuna una riflessione sulle «conte». Ai miei nipoti, ad esempio, sono molte piaciute quelle raccontate da Rosella, mia moglie. Sono «conte» che lei ha appreso da bambina, più di cinquant'anni fa, ad Olmeneta, il paese dove ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza. Ed è proprio da queste tiritéere che partirò nel mio racconto. Ma prima di proporle al lettore, desidero sottolineare alcuni aspetti di rilievo propri del contesto in cui esse venivano pronunciate.

La «conta», infatti, recitata prima dell'inizio dei giochi all'aperto, era un vero e proprio rituale d'investitura, svolto per lo più senza la presenza degli adulti. Veniva ad evidenziare subito chi fosse il capo del gruppo di bambini che si apprestavano a giocare, ossia chi avesse la supremazia nel prendere in mano la situazione, ottenendo il consenso sia nella scelta del gioco da animare, sia della «conta» da usare, indicandola prima e recitandola poi.

Va aggiunto che la scelta del capo avveniva in mancanza di particolari protocolli. Chi, ad esempio, si avvicinava all'inizio del gioco con la novità di una «conta» mai usata prima, acquisiva subito il diritto di recitarla immediatamente, assumendo così un ruolo di sicura autorevolezza, potendo dar l'avvio al momento ricreativo.

Questa novità dava pure la sollecitazione ad una gara linguistica che impegnava tutti nell'apprendere presto lo scioglilingua della nuova tiritéera. In altri casi, il cosiddetto capo era colui che per primo alzava al cielo il grido: «Gióogum? (Giochiamo)?». E alla risposta corale: «Sée! (Sì!)», si partiva all'istante e senza pausa con la «conta», Che poteva essere selettiva e multipla o semplice e rapida. Tutto ciò dipendeva dal numero dei bambini presenti. Se essi erano pochi, cinque o sei, si procedeva con la conta selettiva e multipla, ossia ripetuta più volte, con la possibilità di usare anche più d'una «conta», l'una diversa dall'altra. Se invece i bambini erano di più, la «conta» si recitava una volta sola. Il capo, il dicitore della «conta», investiva del compito di stare «sotto» il bambino che risultava, in effetti, il meno fortunato del gruppo e, sfiorandolo con la mano sul petto, lo toccava infine con la perentoria formula di rito: «Suta! (Sotto!)».

Certo in città si sarà detto «Sóta!» con la lettera -o- al posto della rurale -u. Quando, nel corso d'interi pomeriggi, al solito bambino sfortunato capitava di stare «sotto» più di una volta, anche a causa dell'abilità del capo bricconcello che si divertiva a modulare a proprio piacimento il ritmo della «conta», si poteva udire allora da parte della stessa vittima un grido di protesta: «Ma fìia, tùca sèemper a mé? ('Ma caspita, tocca sempre a me?")».

Ecco che veniva allora a prevalere una senso di giustizia superiore da parte dell'intero gruppo dei bambini, con la messa in campo d'un atto di clemenza. E così il Calimero oggetto delle carognate precedenti veniva escluso dalle «conte» nei giochi successivi, e fino al giorno dopo egli non rischiava più di andar «sotto».

Va pure precisato che tutte le «conte», proprio tutte, venivano precedute da un suono verbale che determinava una brevissima sospensione prima della pronuncia dell'intera formula. Questo suono veniva creato da un semplice monosillabo: bùm!.

Era la scansione ritmica che accompagnava il gesto simultaneo del capo, il quale, come se stesse battendo un tamburo immaginario, spingeva in modo risoluto la propria mano aperta verso il basso simulando un botto. E subito dopo, con precisione cronometrica, iniziava la cantilena della «conta».

Insomma, si era e si è in presenza di una precisa liturgia ludica, come in un film avente per protagonista una sorta di sciamano in miniatura con i suoi fedelissimi al seguito, che aspettavano ed aspettano ansiosi l'esito del rito di sospensione dal mondo circostante. Ed è proprio questo che avveniva pure un tempo con la «conta› denominata Piir, pùm, persech (Pere, mele, pesche), la prima della serie qui selezionata. Non a caso, anche il suono finale di questa «conta» si recitava una volta sola. Il capo, il dicitore della «conta», investiva del compito di stare «sotto» il bambino che risultava, in effetti, il meno fortunato del gruppo e, sfiorandolo con la mano sul petto, lo toccava infine con la perentoria formula di rito: «Sùta! (Sotto!)».

Certo in città si sarà detto «Sóta!» con la lettera -- al posto della rurale u. Quando, nel corso d'interi pomeriggi, al solito bambino sfortunato capitava di stare «sotto» più di una volta, anche a causa dell'abilità del capo bricconcello che si divertiva a modulare a proprio piacimento il ritmo della «conta», si poteva udire allora da parte della stessa vittima un grido di protesta: «Ma fìia, tuca sèemper a mé? ('Ma caspita, tocca sempre a me?')».

Ecco che veniva allora a prevalere una senso di giustizia superiore da parte dell'intero gruppo dei bambini, con la messa in campo d'un atto di clemenza. E così il Calimero oggetto delle carognate precedenti veniva escluso dalle «conte» nei giochi successivi, e fino al giorno dopo egli non rischiava più di andar «sotto».

Va pure precisato che tutte le «conte», proprio tutte, venivano precedute da un suono verbale che determinava una brevissima sospensione prima della pronuncia dell'intera formula. Questo suono veniva creato da un semplice monosillabo: bùm!.

Era la scansione ritmica che accompagnava il gesto simultaneo del capo, il quale, come se stesse battendo un tamburo immaginario, spingeva in modo risoluto la propria mano aperta verso il basso simulando un botto. E subito dopo, con precisione cronometrica, iniziava la cantilena della «conta».

Insomma, si era e si è in presenza di una precisa liturgia ludica, come in un film avente per protagonista una sorta di sciamano in miniatura con i suoi fedelissimi al seguito, che aspettavano ed aspettano ansiosi l'esito del rito di sospensione dal mondo circostante. Ed è proprio que sto che avveniva pure un tempo con la «conta» denominata Pir, pùm, pèersech (Pere, mele, pesche'), la prima della serie qui selezionata.

Non a caso, anche il suono finale di questa «conta» coincideva con un altro monosillabo: pùm., ennesimo ed ultimo colpo al tamburo della fantasia. In alcuni casi, il capo del gioco doveva recitare le «conte» diverse volte, eliminando di volta in volta tutti i partecipanti fino a quando si giungeva ad uno dei due ultimi rimasti in attesa del verdetto. Quest'uno, non toccato sino ad allora dalla sorte, veniva finalmente scelto per iniziare il gioco.

Ora, però, è giunto il momento di leggere alcune di queste formule d'incanto. Non ne presenterò molte all'inizio, scegliendo quelle che possono essere definite esemplari nella loro qualità di genere. Le altre le tengo in serbo per usarle ogni qual volta ce ne sarà bisogno.

Piir, pùm, pèersech

Piir, pùm, pèersech,

la bel'öa dùulsa,

cìinch ghèi l'ùunsa,

chi la vóol cumprà?

Mé sòo de Bèerghem

e té te sèet de Cùm,

a mé me piaas i pèersech, a té te piàas i pùm.

Pùm!

(Pere, mele, pesche,/la bell'uva dolce,/cinque centesimi l'oncia,/chi le vuole comprare?/lo sono di Bergamo,/e tu sei di Como,/a me piacciono le pesche,/a te piacciono le mele./Mele!)

Stessa sceneggiatura dicasi per la «conta» Pàa öon... (Pane uno...), anticipata anch'essa dal bùm! esclamato dal capo, unico depositario della parola al centro del circolo dei bambini silenti.

Identico rituale presiede a tutte le altre due «conte» qui pubblicate, ossia 'Sette, quattordici, ventuno, ventotto' e 'Sotto il ponte di Baracca.

Pàa iön...

Pàa öön, pàa dùu, pàa trìi,

pàa quater, pàa cìinch, pàa sées,

pàa sèt, pàa òt.... Palancot!

(Pane-uno, pane-due, pane-tre,/pane-quattro, pane-cinque, pane-sei,/pane sette, pane otto... Due soldi di rame!)

Sette, quattordici, ventuno, ventotto

Sette, quattordici, ventuno, ventotto,

questa è la storia di paperotto

questa è la storia di paperino

esce fuori il più piccino

(variante: paperotto in medicina, esce fuori la più piccina)

Nella «conta» pubblicata qui di seguito si ha un riflesso del coinvolgimento emotivo che i bambini provano ogni qual volta si accenni a quel momento, per altro così delicato ed importante, della produzione della popò, della cacca.

Sotto il ponte di Baracca

Sotto il ponte di Baracca,

c'è Mimi che fa la cacca;

la fa dura dura dura,

il dottore la misura.

La misura trentatre

a star sotto tocca a te.

(variante: fuori io, sotto te)

 

Un discorso a parte meritano le cosiddette «conte» misteriose, autentiche reliquie di culture ancestrali, che si presentano pure con la forma residuale di contagi derivanti da linguaggi giunti da lontano, che si sono depositati, cadendo dalla bocca degli adulti, nell'idioma dei bambini.

Nelle parlate infantili si sono conservate, dunque, formule e tiritere composte da una sequela di parole apparentemente senza senso, che sono state usate anche come puri scioglilingua, con la scansione di rime ed assonanze che hanno perso nel tempo un significato specifico. Al nostro orecchio, pertanto, queste «conte» appaiono prive di nessi con la vita materiale, pur evocando ritmi e movimenti gestuali propri di una possibile ritualità primordiale.

Stikkelemikkele

Stikkelemikkele

tùm tùm tùm,

battendo le nacchere

tàm tàm tàm,

stikkelemikkele tùm,

stikkelemikkele tùm tùm tùm

Aiulèketamusèke

Aiulèketamuseke,

taprufitaluzinglem

tulilèm blèm blùm

tulilèm blèm blùm!

Questa seconda «conta» magica è stata insegnata a Rosella da una bambina tunisina ad Imperia, nel 1955, ed è divenuta in seguito patrimonio comune dei fanciulli di Olmeneta. (1-continua)

La foto di una famiglia cremonese è di Giuseppe Faliva (1958)

Agostino Melega


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


ennio serventi

28 agosto 2024 08:33

LE CONTE. : pim, pum, pam, le canele di suldat, i suldat je andat in guera i ja truat cun el cul per tera.

Jim Graziano Maglia

31 agosto 2024 15:02

Grazieee! Un articolo "flash back" veramente straordinario,affascinante ed emozionante! Come si era "semplici" ma autentici alla faccia di "social" quotidiani e ahimè e tanto altro ancora. Bravo Direttore Silla e redaz.di Cremonasera oltre che ancora si distingue rispetto al "tran tran" dei mass media locali! E grazieee al vulcanico-creativo Agostino Melega,straordinaria mente storico-pedagogica cremonese e non solo... GrazieeeLi riggerò con calma e mi rivedrò(con tanti altri) a giocare su quelle aie che profumavano di grano.Una proposta,mi permetto. Perché non proporre un festival itinerante(nei paesi) dei giochi di un tempo per farli conoscere ai giovani di adesso e i tanti "nuovi italiani" ? Di nuovo complimentissimi con un caro saluto.