12 giugno 2025

I giochi con le dita: il mignolo 'l è 'ndat in de'l fòs...

GIOCHI INNOCENTI: intendiamo riferirci a quelli caratterizzati da una semplicità estrema  provvisti però di un fascino che eccitava ed eccita in modo incredibile la vivacità e la fantasia dei bambini. Fra questi vanno annoverati sicuramente i "giochi con le dita", utilizzati dai grandi nell'accudire i loro piccoli nella primissima infanzia. 

CON LE DITA E CON LE MANI

La scoperta del mondo. Questa è l'affascinante meta del bimbo che apprende gradualmente ad orientarsi nella realtà circostante e scopre le dimensioni del vivere, passando dall'oscurità dell'indistinto all'intuizione del proprio sé. Giungendo anche alla presa di coscienza della struttura del proprio corpo e delle capacità del proprio pensiero, con un viaggio graduale verso la non facile consapevolezza della dimensione dello spazio e del tempo, in stretta relazione con i limiti della propria natura.

Infatti, una tappa fondamentale per il bimbo, atta ad avvicinarlo alla comprensione del mondo, è quella di rinvenire dapprima la fisicità del proprio corpo con l'identificazione di sé in quella sagoma con due braccia e due gambe giunta fino a noi lungo una interminabile catena di generazioni.

Ma se per lo stesso adulto quella catena infinita è in gran parte avvolta ancora nel mistero, lo è ancor di più per il bambino, e lo è pure nelle forme della sua versione finale, ossia nel corpo che il bambino si trova addosso e con il quale ha bisogno di confrontarsi Da qui egli ha la necessità di essere aiutato e guidato nella grande scoperta. Da qui l'esigenza di avere uno specchio a disposizione e di qualcuno che spieghi ciò che lo specchio riflette. Un tempo a svolgere questo ruolo tutelare erano solo la mamma e la nonna, oppure la balia quando la mamma non era in grado di allattare. Negli ultimi trent'anni si è aggiunta in questa dinamica fondamentale pure la figura maschile. Dico trent'anni e non quaranta, perché facendo riferimento alla mia esperienza di padre non posso permettermi di barare. Chi scrive era in costante fuga dall'approccio corporale con i propri figli durante la prima infanzia, affidati come voleva la tradizione di allora totalmente alla mamma. Tanto per intenderci: non ho mai pulito il 'culotto' ai miei cuccioli d'uomo, mentre adesso collaboro nell'esercizio di questa delicata funzione nel mentre accudisco i nipoti.

Ma vediamo ora di leggere insieme un capitolo importante nella scoperta analitica del proprio corpo da parte dei bambini di una volta, attraverso quanto la cultura popolare ci ha lasciato come testimonianza, nel lascito di formule proprie della magia della parola. Una magia vissuta e praticata dalle generazioni passate nella convinzione di creare e favorire nell'infante una situazione di passaggio fra due fasi dell'evoluzione del pensiero, ossia fra l'oscurità del non sapere e la scoperta luminosa di nuove tessere cognitive, da inserire gradualmente nel grande mosaico della consapevolezza della propria individuale figura.

Come scrive Elisa Salvini, di Trigolo, nel suo bel libro I tèemp èndrée. Memorie paesane, questo avveniva fin dai tempi in cui non esistevano asili nido, ossia quando erano soprattutto i nonni a mettere in campo «giochetti di gestualità: cantilenati, ritmati con battute di mani, con il tremolio delle ginocchia; oppure espressi con la mimica facciale. Questi piccoli giochi erano anche finalizzati all'apprendimento, alla visualizzazione ed intuizione dei numeri, alla conoscenza delle varie parti del viso e del corpo, allo sviluppo sensoriale, alla conoscenza degli animali». Inizieremo allora il nostro percorso traendo dal lascito della tradizione popolare qualche esempio delle modalità di accompagnamento del bambino alla scoperta del proprio corpo, a partire dalle differenze esistenti fra la fisionomia di un dito e l'altro della mano.

La formula che andremo a trascrivere viene riportata da Maria Storti Azzoni sul libro intitolato "Alcune tradizioni cremonesi" dove si parla del gioco delle mani mosse dal genitore di fronte al bambino. Essa scrive che le dita diventano, nella vivida fantasia infantile, pari alle persone, facendo ad esse assumere una funzione di soggetti indipendenti l'uno dall'altro. E segnala una filastrocca nella quale si viene posti di fronte ad una sequenza verbale progressiva, dove l'adulto interviene animando il movimento del le dita per ricordare in chiave preliminare e fantastica un incidente di percorso capitato al dito mignolo. La descrizione di tale incidente è affidata al dialetto, mentre la presentazione dei cinque protagonisti della storiella è assegnata all'italiano.

Il mignolo caduto nel fosso

Il mignolo - 'l è 'ndat in de'l fòs

l'anulare -   el l'à tiràat sö

il medio -    el l'à sügàat

l'indice -     el gh'à fàt la söpa

il pollice -   el l'à mangiàada töta

Il mignolo è andato nel fosso,/l'anulare lo ha tirato fuori,/il medio lo ha asciugato,/l'indice ha fatto la zuppa,/il pollice l'ha mangiata tutta.

I SOPRANNOMI DELLE DITA DELLA MANO

Per quanto riguarda la modalità per indurre il bambino a capire le diversità funzionali delle dita della mano, abbiamo la testim nianza di Natalina, una delle tre famose sorelle canterine di Ripalta Arpina, la quale fornì nel 1978 ai ricercatori della Regione Lombardia, coordinati da Roberto Leydi, una interessante storiella pedagogica. Degna di nota, in detta filastrocca, è l'assegnazione alle dita di soprannomi carichi di precise allusioni. La modalità del soprannome, per i cremonesi scütümàja, era del resto una consuetudine molto diffusa per indicare, con modalità pregne di espressività, le persone della cascina o del paese, rendendole immediatamente distinguibili e riconoscibili. Con l'uso del soprannome si veniva così a caratterizzare pure l'individuazione istantanea del più piccolo dito. Stessa cosa dicasi del dito che porta l'anello, del dito più lungo, del dito che indica le cose, e di quello che schiaccia i pidocchi (il pollice).

Attraverso un gioco di parole, carico di fascino, si insegnavano al bimbo i rudimenti preliminari di un apprendimento teso ad acquisire la visione della complessità della forma della mano. Ecco la loro metamorfosi in dialetto:

Minulì (mignolo),

anulì (anulare),

lunghignù (medio),

sègna i òc (indice),

màsa piòc (pollice).

Mignolino, anulino,/ lungagnone - lungone -,/ segna occhi,/ ammazza pidocchi.

Pure Maria Storti Azzoni ci parla della personalizzazione delle dita, caratterizzate da definizioni di mirata fantasia, in un gioco coinvolgente in cui l'adulto svolgeva in modo divertito la funzione di educatore e di guida alla scoperta delle funzioni del corpo del bambino. Ecco, dunque, un altro pacchetto di soprannomi mirati allo scopo.

'N àalter pachèt de scütümàje

Marmeléen (mignolo),

spuzeléen (anulare),

mata lóonga (medio),

fréega 'l óc (indice)

masa piöc (pollice)

Mignolino,/ sposolino - il dito degli sposi -/ 'matta' lunga/ frega l'occhio/ ammazza pidocchi.

Quasi identica è una versione registrata a Soresina, con la differenza nell'indicazione del dito mignolo definito colà didalén, ditalino. Da parte sua, Bruna Silvana Davini Petracco ci fornisce attraverso il tenerissimo libro Filastròche in pée per tèra, una singolare storia immaginaria vissuta da cinque personaggi in movimento. È l'ennesimo raccontino animato teso a far distingue riconoscere nel bambino la peculiarità dei cinque protagonisti che convivono in ognuna delle due mani.

Alter nùm d’i dit

El didiin el và a tóo el vìin,

Custànt el và a tóo el pàan,

Ernèesta la fà la minèestra,

Maria la spàsa via,

e té didòon ciàpa la scàala

e và in prezòon.

Il ditino - il mignolo - va a comperare il vino,/ Costante l'anulare-va a comperare il pane,/ Ernesta - il medio - prepara la mi nestra,/ Maria - l'indice - la spazza via,/ e tu ditone - prendi la scala,/ e vai in prigione.

Agostino Melega


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