Quando giocavamo a S'ciaféta e la conta era Ambarabàm, cicci, coccò
Il gioco di s'ciaféta (schiaffetta) è di una semplicità senza pari. Il prescelto deve voltare la schiena ai compagni, coprirsi la faccia la mano destra, e girare nel contempo il braccio sinistro sotto l'ascella destra, lasciando teso il palmo della mano contro la spalla. Uno dei presenti sferra na chìsa (una pacca) su quel palmo aperto e mentre chi è «sotto» si gira per indovinare chi sia stato a colpirlo e tutti gli altri, in modo canzonatorio, fanno mulinare per l'aria l'indice della loro mano preferita, in attesa del giudizio di merito. Perché, oltre allo svolgersi della pratica in modo del tutto silenzioso, può avvenire che il capo dei colpitori, trattenendo a stento la voglia di ridere, dica sfottendo: «Chii gh'è stàt? (Chi è stato?)».
Se il giocatore colpito indovina chi gli abbia rifilato la sberla, egli passa nel campo dei picchiatori, altrimenti rimane «sotto» a prendersi un'altra chìsa.
Ho provato il gioco un'infinità di volte con i bambini, in casa fuori. Dura poco, ma in quel poco lasso di tempo si crea un'atmosfera divertente e contagiosa. Mi sono dimenticato la "conta" di rito per stabilire chi debba andar "sotto" all'inizio. Rimedio subito
Ambarabàm, ciccì, coccò
Ambarabàm, cicci, coccò tre civette sul comò
che facevano l'amore
con la figlia del dottore, il dottore si ammalò
ambarabàm, ciccì, coccò.
Il disegno del gioco è di Graziano Bertoldi
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