28 maggio 2025

Ci si divertiva senza playstation: i tuffi nei fossi e la pesca, il nascondino e la “campana”, la lippa e le biglie

Ivalda Stanga, è mancata il 10 gennaio 2007. Nata in una cascina dell'entroterra di Soresina e vissuta nelle zone adiacenti, anche cremasche, svolgendo la coinvolgente professione dell'insegnante elementare, è stata una figura non secondaria, non solo nell'ambiente magistrale. Come maestra è stata un'insegnante d'antico stampo, nel senso più nobile del termine, cioè esercitando con devozione il suo compito, quasi considerandolo una missione a favore dell'educazione dei bambini. Fuori dalle aule alimentava la passione per la civiltà contadina, di cui descriveva le tradizioni, le usanze, i lavori, i valori, la storia, insomma, come patrimonio socio-culturale da trasmettere nella sua complessità. Ecco un suo scritto del 2006 per "La Cronaca" dove ricordava i giochi di una volta.

Quando le scuole si chiudevano ai primi di giugno, per i regàs di un tempo ormai lontano era il gran momento delle scoperte, della libertà, del gioco. Si diceva dei bambini: «I pàar càan desligàat da la cadèena». La cartella riposava su una sedia, nella stanza da letto, ben chiusa.

Scoppiavano con il caldo i colori vivi della campagna, che diventava il posto ideale per vedere, osservare, scoprire, giocare.

Dalla città, specialmente da Milano, i bambini venivano mandati nei nostri paesi a "fare le vacanze".
C'era il fosso (la roggia) che scorreva, che diventava il luogo del bagno, dei tuffi, della pesca con la forchetta. C'era l'ombra delle piante per sostare a riposare e fare la merenda, ....le strade "basse" per le corse a piedi o in bicicletta o con i cerchi recuperatí dalle vecchie botti... e il sole per asciugare, per rimanere lì fermi a diventare "neri" come facevano "i signori" al mare.

C'erano inoltre i cespugli di more, le more del gelso, la frutta selvatica da cercare e poi... quell'erba brusca (acetosella) da scoprire e mangiare dopo aver recitato la filastrocca che si credeva fosse preghiera:

erba salina
mangiada dai bis
S. Antoni el te benedis
el te benedis cu' l'àaqua sàanta

per fàame mìia végner
el màal de pàansa!

I giochi erano vari ed avevano bisogno di adeguati spazi.
Lo stare insieme, il rapporto con altri bambini aiutava tutti a crescere, ad apprendere nozioni buone e meno buone, ma che venivano tutte a far parte del piccolo bagaglio di conoscenze di ognuno.

Il gioco più praticato era il "liberi tutti", che era meglio conosciuto nella Padania con il nome di "a nascondino", o anche "a ciàpa tòni".

C'era un posto fisso (che chiamava "tana",) in cui il cacciatore scelto, voltato verso il muro, faceva la "conta":

öön, dùu, trìi , quàter,

l'è la spiga de 'l teàter,

l' è la spiga de 'l furmèent,

chél che gh'è dèent'
'l è dèent,
chél che gh'è fóora

'l è fóora.

poi si voltava e cominciava la caccia a chi era nascosto, e quando scopriva qualcuno ne urlava il nome e batteva la mano sul muro, gridando un, due, tre, come suggello dell'averlo fatto prigioniero.

Il cacciatore doveva stare attento che nessuno si avvicinasse alla 'tana', dicendo "liberi tutti!", perchè in questo caso si tornava alla situazione iniziale del gioco, che poteva diventare lunghissimo, perchè le due fasi, ricerca e ritrovamento dei 'nascosti' , e liberazione di tutti, si alternavano in continuazione.

Grande importanza per i maschietti avevano le biglie di terracotta o di vetro, per il grande vantaggio di poter essere portate in tasca o nel fazzoletto annodato; bastava un pezzo di terra battuta per organizzare una partita.

C'erano i giochi tradizionali: il buco, il triangolo...., ma se ne inventavano sempre di nuovi. Importanti erano i patti preliminari: chi perdeva, doveva dare un certo numero di biglie al vincitore.

Inoltre era stabilito che cinque biglie di terracotta valessero una biglia di vetro; i giochi richiedevano destrezza nel muovere l'indice e il pollice come una molla che desse la spinta alle biglie (li bòorli).

Altro gioco (che però aveva bisogno di ampi spazi) era sgnìingol : si giocava con un pezzo di legno appuntito alle estremità (la lippa) e una canna rotonda, usata come mazza.

Il battitore, dalla sua casa (un cerchio), lanciava in aria la lippa, e l'avversario, con altri compagni, cercava di ostacolarne il ritorno, mandandola il più lontano possibile....

Per le bambine c'era il salto con la corda, la palla da far rimbalzare sul muro, compiendo a ritmo le azioni comandate da questa filastrocca.

Muoversi, senza muoversi,

ridere senza ridere
con un piede, con una mano,

batti uno, batti due,

mulinello, un bacino

alla gheisa.

oppure:

Batti uno, batti due

mulinello batti,

giravolta.

Altro gioco in voga era quello chiamato “campana”, o il “mondo”,o la “settimana”.
Serviva solo una piastrella di vetro, o il coccio di un piatto rotto: varie potevano essere le combinazioni del rettangolo tracciato per terra su cui giocare.

Il più semplice era diviso in sei spazi, più un semicerchio per “riposo”; reggendosi con un piede solo (“a piede zoppo”), si muoveva la piastrella, facendo attenzione che non andasse sopra le righe; se no, per penitenza, c'era la “ferma” per un giro.

Vari erano gli esercizi da fare: spingere la piastrella, portarla sul piede, sulla mano, sulla spalla, in testa; si doveva poi camminare ad occhi chiusi e, ad ogni rettangolo su cui ci si fermava, si chiedeva 'am?' e, se la posizione era corretta, si rispondeva Salàm /Am salàm. Superate tutte le prove, si diventava 'padroni' di una casa, e qui ci si poteva riposare! C'erano anche giochi semplici per i maschi e per le femmine: i quattro cantoni e il rialzo, che si basavano sulla prontezza del singolo a occupare il posto libero, o a correre su una superficie di legno (o di cemento), superiore al livello del suolo.

Ma il punto più interessante era pur sempre la fantasia dei bambini, che riciclavano tutto il materale di scarto in giocattoli: le lattine vuote della conserva diventavano trampoli o tamburi; i cerchi delle botti, cerchi da lanciare; l'acqua saponata del bucato serviva per fare le bolle; le canne, per farle suonare; i bottoni, per contare; le piccole pezze, per tagliare una bella vestina per la bambola; i semi delle ciliegie e quelli delle pesche, per sostituire, in qualche gio- co, le biglie: se ne faceva un mucchietto, si tiravano tre colpi, dicendo – prima - 'Gina' , - poi - 'Giana' ed infine 'Tana'; se si abbatteva la torretta, si vincevano i noccioli che la componevano (ben essiccati al sole!).

Non è, questa, 'felicità' di bimbi?.... E così, tra giochi, risate e....qualche granita colorata o qualche fetta d'anguria passava l'estate!

La foto è di Ernesto Fazioli

Ivalda Stanga


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