9 luglio 2025

Per imparare i numeri e conoscere l'alfabeto, i metodi di un tempo

L'ABACO CON LE DITA

Un tempo, con le dita, si iniziava ad insegnare al bambino anche la nozione dei numeri, affidando la scala delle prime cinque cifre al palmo della mano destra e la scala di altri cinque numeri alla mano sinistra, allenando così il bambino a raggiungere il mitico risultato dell'acquisizione mnemonica della prima decina aritmeti- ca. Anche qui si usava la metafora creativa, perché il fine non era quello dell'apprendimento di semplici definizioni, ma semmai la comprensione di una progressione delle funzioni numeriche, ossia la comprensione di una dimensione seriale, in una logica concatenazione di entità diverse le une dalle altre sul piano verbale, partendo dall'entità più piccola costituita dal numero uno, fino al raggiungimento del massimo obiettivo nella conquista fantastica del numero dieci. Ritengo sia racchiusa in questa spiegazione la logica dell'uso di una sorta di gramelot teatrale per l'insegnamento della numerazione da parte dei genitori di una volta, che sicuramente avranno usato la carica e l'energia creata dal sorriso (come avveniva per gli adulti di Soresina), allorquando la tabellina del numero uno veniva insegnata e recitata nella seguente maniera, ossia da ungara fina a dés (da uno fino a dieci):

Da ùngara fina a dés

Ungara (uno),

dùngara (due),

tringhena (tre),

quára (quattro),

quaricula (cinque),

picula (sei),

sàngula (sette),

gnàngula (otto),

gnés (nove),

dés (dieci).

Certo, un insegnamento così originale dei numeri non tralasciava di sicuro l'obiettivo contestuale del divertimento. Ed è attraverso di esso che si mettevano «le trappole» per far sì che il bambino ritenesse a memoria i numeri in un modo piacevole. Uno di questi modi, per esempio, vedeva l'uso di associazioni d'idee fra gli stessi numeri e le dimensioni allettanti della gastronomia o di quelle fantastiche della fiaba, come evidenziato dalla seguente filastrocca raccolta sempre nel Soresinese. Suppongo che la parte verbale sia sempre stata accompagnata dalla visione delle dita dell'adulto aperte una dopo l'altra davanti agli occhi del bambino.

Öna la brögna

Öna la brögna,

dùu i pùm d'òor,

trii la fióola del rè,

quàter i dàter,

ciinch i giacìint,

sées i sarées,

sèt i cunfèt,

òt i gnòch,

nóof jóof,

dées le mòre in de la sées.

Una la prugna,/ due i pomodori,/tre la figlia del re,/ quattro i dat teri/ cinque i giacinti,/ sei le ciliegie - un tempo definite in dialetto al maschile-,/ sette i confetti,/ otto gli gnocchi,/ nove le uova/dieci le more nella siepe.

I NUMERI DELL'IMMAGINARIO

L'immaginazione e la fantasia erano gli strumenti migliori per far ritenere i numeri a memoria ai bambini. Di una singolare fascinazione ci parla ancora Maria Storti Azzoni. A Gussola, infatti, era d'uso aprire il sipario della mente infantile trasformando la concatenazione della prima decina aritmetica in una sorta di favola do- mestica e rurale. Con una geniale pennellata di senso s'inseriva nel rapporto orale con i cuccioli d'uomo l'animazione ritmica di oggetti a portata di mano e d'osservazione, insieme a massime della cultura contadina di tradizione. E quei bimbi, pronti a far i primi conteggi, venivano dilettati con la logica di una filastrocca tal-mente veritiera ed appoggiata alla concretezza del quotidiano, da rendere impossibili i dubbi sulla precisione del calcolo aritmetico:

Öna, la pügnàta fà s'ciöma

Öna-la pügnàta fà s'ciöma.

Do-en bòn diznà fà bòn prò.

Trè- cun trè gàmbi stà in pé 'n scan.

Quàter-cun quàter rödi và 'n càr.

Sinch - cun sinch dìi a s'fùrma 'n guànt.

Sés-cun sés téeri, a's fa 'n bèl càmp.

Sèt – a vàl püsèe ‘n giùan che ‘n véc.

Ot-a's laura püsèe ad dé, che 'd nòt.

Nöf-la me galìna négra, la fàt dü bianch öf.

Dées-la gùcia l'infiilsa a'l réef.

Una - la pentola fa schiuma./ Due - un buon pasto, fa bene./Tre- con tre gambe sta in piedi uno sgabello./ Quattro - con quattro ruote un carro va./ Cinque - con cinque dita si forma un guanto./ Sei- con sei filari, si fa un bel campo./ Sette - vale di più un giovane che un vecchio./ Otto - si lavora di più di giorno, che di notte,/Nove - la mia gallina nera ha fatto due uova bianche./ Dieci il filo infila l'ago.

L'ALFABETO FIGURATO

Una testimonianza della sensibilità creativa della cultura popolare nel suo approccio con l'infanzia, ci viene dalle rime raccolte dall'abate Ferrante Aporti, la cui fama ed importanza nella storia della pedagogia sono legate - come scrive Rossana Saccani, in Cremona e il suo territorio -, «alla fondazione degli Asili infantili, il primo dei quali sorse a Cremona nel 1829, e che rapidamen si diffusero in molti stati italiani».

Ebbene, al fine di proibirne l'uso, Aporti finì col lasciarci un documento di grande valore documentario, dove un dialetto sbarazzino si pone come interlocutore, come mediatore culturale per l'apprendimento dell'alfabeto da parte dei bambini cremonesi dell'epoca. È documentato che questo sistema venne usato negli Asili di campagna fin verso il 1930.

Riproponiamo qui l'«alfabeto creativo», o «gioco verbale interattivo»>, allo stesso modo col quale Luciano Dacquati lo fece conoscere ai più attraverso le pagine di Pescheria Minüüda:

A= àa = zlàarga la bùca (allarga la bocca)

B= bée= el peguréen (l'agnellino)

C= Cée=  la méza löna (la mezza luna)

D= dée= le legnàade (le legnate)

E= ée= 'l uciuléen  (l'occhiello)

F= èfe= el sanféen (lo zampino o gancetto)

G= gée= j uciàai (gli occhiali)

H=àca= la scràgna  (la sedia)

I=ìi= el picenéen (il piccolino)

J=ìi= el cuéen (il codino)

L=èle= la lòonga (la lunga)

M=ème= trè gàambe (tre gambe)

N=ène= dò gàambe (due gambe)

O = òo= 'I urtulàan (l'ortolano)

P = pée= el pée (si toccava il piede)

Q = cùu = cuz'éel chèst (cos'è questo?- Si toccava il sedere)

R= ère = la martélina (il martello dei muratori o dei ciottolanti)

S= èse= la bìsa  (la biscia)

T= tèe= el cagnuléen (il cagnolino)

U= ùu= el cavagnòol (il piccolo cesto)

V= vée= el benasòol (la tinozza)

Z= zéta = sö e zò (su e giù)

 

Agostino Melega


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti