15 novembre 2022

Il 25 novembre in Cattedrale la Cantata "Pater Pauperum" di Mantovani. Fracassi sul podio di Camerata e Polifonico

In occasione della solennità patronale di sant’Omobono, nella serata di venerdì 25 novembre, alle 21, nella Cattedrale di Cremona risuoneranno le note di Pater pauperum, imponente Cantata sacra composta dal maestro cremonese Federico Mantovani. Il progetto, che nasce dalla volontà del compositore di presentare alla città, a quindici anni dall’ultima esecuzione, il grande affresco musicale contemporaneo dedicato alla figura di sant’Omobono, il “padre dei poveri”, festeggiandolo solennemente dopo il lungo e terribile periodo della pandemia, coinvolge il Coro Polifonico Cremonese, che per primo ha condiviso con entusiasmo le ragioni profonde della proposta, e la Camerata di Cremona, affiancati nella preparazione e nell’esecuzione dell’opera. 

Il concerto, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Arvedi-Buschini e con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura del Comune di Cremona, si colloca, per volontà del vescovo Antonio Napolioni, all’interno del programma celebrativo della festa patronale e nella suggestiva cornice del massimo tempio cittadino dopo i lavori di adeguamento liturgico.

Interpreti della Cantata sono il soprano Linda Campanella, il contralto Masako Tanaka Protti, il tenore Cosimo Vassallo, il baritono Marco Granata, il basso Frano Lufi, le voci recitanti Alberto Branca e Michela Zaccaria, il Coro Polifonico Cremonese, il Coro de La Camerata di Cremona e l’Orchestra Sinfonica dei Colli Morenici. Dirige la Cantata, per volontà del compositore, il maestro Marco Fracassi, che commissionò la prima esecuzione dell’opera nel 1999. 

Intensa e coinvolgente, la partitura si apre con il festoso corale Gaude et laetare Cremona (“Gioisci e rallegrati Cremona”) e si conclude con il solenne inno al santo patrono su testo latino di Marco Gerolamo Vida, ripercorrendo la vita e le opere di Omobono Tucenghi, primo santo laico non nobile della storia della Chiesa, canonizzato dal papa Innocenzo III nel gennaio 1199 e assunto poi a patrono della città e della diocesi. I testi sono attinti dalle Vite del santo e dalla bolla di canonizzazione Quia pietas (nella traduzione di don Daniele Piazzi), oltre che dalle Sacre Scritture.

«Dopo i primi mesi di paura, dolore e lutto che ci colpirono nel 2020 – ricorda il vescovo Antonio Napolioni – il cav. Giovanni Arvedi espresse il desiderio di ricordare i tanti defunti, riservando un pensiero speciale al carissimo mons. Alberto Franzini, con un importante concerto da tenere in Cattedrale. Ora si realizza quell’intuizione, all’indomani della Dedicazione del nuovo altare che dilata la bellezza spirituale della casa del popolo di Dio, centro vivo della nostra Chiesa diocesana, sorgente da cui si irradiano in tanti modi l’annuncio del Vangelo e la testimonianza della santità. Omobono è sempre attuale, specie davanti alle povertà e fragilità sociali che interpellano costantemente la comunità civile e credente. A 60 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, a 50 anni dalla fondazione della nostra Caritas diocesana, che nel tempo apre ancora la borsa del Santo per alleviare il cammino dei più deboli».

«Con questa opera musicale – precisa il maestro Federico Mantovani – si intende segnalare l’attualità di Omobono, che si distinse nella vita della città come uomo di pace, di profonda preghiera e di proverbiale carità. Riproporre l’esecuzione del lavoro oggi, a cori uniti, dopo lo smarrimento degli ultimi due anni, acquista inoltre un significato particolare, perché diventa occasione per riaccendere l’entusiasmo di un progetto artistico condiviso, affidando all’intercessione del nostro Santo patrono il cammino dei vivi e la memoria dei tanti cremonesi vittime della pandemia».

 

Introduzione del compositore

Presentata in prima esecuzione il 31 gennaio 1999 e ripresa il 28 maggio 2007, in occasione del nono centenario di fondazione della Cattedrale, la Cantata Pater pauperum, dedicata a Sant’Omobono, è stata concepita fin dall’origine come un affresco musicale di vaste dimensioni: solisti, coro, voci recitanti e orchestra sinfonica.

Il lavoro è articolato in quattro sezioni, a scandire le tappe fondamentali del percorso di santità di Omobono Tucenghi: la conversione, la penitenza e la preghiera, le opere di carità e di pace compiute in città, e la devozione alla croce, quella contemplazione assidua del Cristo crocifisso da cui scaturiva la forza più autentica della sua instancabile missione.

Il libretto, ideato e organizzato per ricavarne una forma e una struttura efficaci ai fini della “traduzione” musicale, segue un doppio filo che si interseca per tutta la sua durata: la narrazione della biografia del Santo, ripercorsa attraverso le Vite a lui dedicate nei secoli, a partire dalla bolla di canonizzazione Quia pietas (presentate nella traduzione pubblicata nel 1991 da don Daniele Piazzi), e la riflessione spirituale sulle sue virtù, consegnata ai testi delle Sacre Scritture. Il racconto biografico è affidato alle voci recitanti, mentre il commento spirituale è intonato dai solisti e dal coro accompagnati dall’orchestra, che in alcuni momenti sostiene anche la recitazione.

I solisti non incarnano il ruolo dei personaggi storici nominati (Omobono, il Vescovo Sicardo, il Papa Innocenzo III…) ma assumono la funzione di simboli vocali. E così il baritono e il basso danno voce alle esortazioni bibliche, da Thesaurizate thesauros in caelo a Fate ritorno a me con tutto il vostro cuore a L’uomo nella prosperità non comprende; il tenore interpreta la parte del convertito, che dal riconoscimento della propria debolezza (Misere mei Deus) si apre alla via della santità attraverso la preghiera e la penitenza (O Dio, tu sei il mio Dio); il soprano diventa immagine della luce (Te inluminabit Christus), della speranza che non abbandona mai chi si mantiene fedele al Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti; il contralto enuncia il principio della giustizia di Dio, che solleva il povero dal fango portandolo sul trono della gloria seduto tra i prìncipi, proprio come ha testimoniato per tutta la vita Omobono, “padre dei poveri” e uomo della carità.

Quanto al coro, esso ha una funzione di commento all’azione: i grandi affreschi corali, soprattutto l’inno Beatus vir, che ritorna in due parti come un sigillo della fedeltà a Dio, segnano in modo incisivo la narrazione, stabilendo punti fermi nella vicenda. In alcuni momenti il coro riverbera, amplifica o sottolinea i passi della riflessione biblica affidati ai solisti, in altri diventa il vero protagonista, assumendo un carattere fortemente drammatico, come nell’Arcus fortium o nel Crux conclusivo.

E proprio il coro apre solennemente la Cantata con il festoso Gaude et laetare Cremona, in cui si manifesta la gioia della città per avere un proprio concittadino intercessore in eterno presso il Padre, e intonerà l’Inno liturgico Beate pauperum pater, su testo di Marco Gerolamo Vida, inserito, come ulteriore omaggio al Patrono e alla Chiesa cremonese, in appendice all’intero lavoro, che si chiude propriamente con l’Inno alla carità di San Paolo, esaltazione umile e profonda della più autentica eredità spirituale di Sant’Omobono.

Le scelte compositive hanno privilegiato uno stile di scrittura composito e multiforme, che potesse assecondare modalità comunicative più dirette, nell’alveo di un linguaggio incentrato sullo scontro dialettico dei piani sonori, sull’alternarsi di spessori fonici molto intensi e di momenti di sospensione e di stasi.

Nel corso del lavoro si possono ritrovare anche citazioni, mai letterali, di passi o gesti della tradizione musicale: nell’introduzione, in cui si riverberano fanfare dell’Orfeo monteverdiano (omaggio alla tradizione più nobile della città), o alla fine, nel Salve caput cruentatum dove si richiamano, a brandelli entro un tessuto orchestrale magmatico, modalità della coralità bachiana delle Passioni, o nell’Arcus fortium, rotto da asimmetrie ritmiche stravinskyane. 

Il criterio primo che mi ha guidato nella stesura del lavoro è stato però quello di restituire, attraverso la forma melodica, le soluzioni armoniche e ritmiche o la tinta orchestrale, il senso più autentico dei testi utilizzati, il loro valore semantico e i portati emotivi e spirituali che ne scaturivano, mescolando per ragioni foniche il latino e l’italiano.

Si possono ascoltare così anche passi di tipo processionale, laudativo, con echi gregoriani, vicini all’ambientazione musicale dell’epoca in cui visse il Santo, ma presenti sempre in modo sfumato e sotterraneo, lontano da qualsiasi idea di ricostruzione storica. 

L’organico dell’orchestra è d’impianto sinfonico, con un folto numero di archi (talvolta variamente divisi al loro interno), di fiati (legni e ottoni) e percussioni, e un organo. Si alternano così sezioni di forte impatto sonoro nel “tutti” con altre di rarefazione e passi di strumenti solisti, dal violoncello del Miserere all’accoppiata vibrafono-ottavino del Surge qui dormis fino al violino solo del finale, in una mutevole tavolozza timbrica dominata dal contrasto di pesi e colori, di luce leggera e di pesante oscurità.

Pater pauperum si presenta dunque come un omaggio, profondamente sentito e vissuto, alla figura di un Santo antico e moderno nello stesso tempo, un mercante e sarto cremonese che seppe attingere all’esperienza cristiana e allo spirito più profondo delle Scritture per compiere con radicalità un’azione di testimonianza per i suoi contemporanei e, dopo tanti secoli, anche per noi. Riproporre l’esecuzione del lavoro oggi, a cori uniti, dopo lo smarrimento degli ultimi due anni, acquista inoltre un significato particolare, perché diventa occasione per riaccendere l’entusiasmo di un progetto artistico condiviso, affidando all’intercessione del nostro Santo Patrono il cammino dei vivi e la memoria dei tanti cremonesi vittime della pandemia.

 

Federico Mantovani, compositore

 


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