29 marzo 2025

Mariotti, Gromes e l'Orchestra della Svizzera Italiana. Eleganza esecutiva, virtuosismi e atmosfere incantate conquistano il pubblico cremonese

Quarto appuntamento per la stagione concertistica del Teatro Ponchielli, che come promesso sta regalando un crescendo di straordinari appuntamenti.

Stasera un percorso a ritroso nel tempo ha accompagnato gli spettatori attraverso brani intelligentemente accostati per la comunanza di una medesima cifra stilistica, ovvero la presenza di strutture senza soluzione di continuità: fluide architetture musicali che hanno codificato l’attimo storico antecedente il dissolvimento della forma.

Protagonisti l’Orchestra della Svizzera Italiana, guidata dalla sapiente bacchetta di Michele Mariotti, con la violoncellista tedesca Raphaela Gromes.

Il primo brano in programma, il Poème per violoncello e orchestra di Henriëtte Bosmans, compositrice protagonista di una decisa riscoperta negli ultimi anni, è una delle sue opere più significative e rappresentative. Composto nel 1929, questo brano mostra il suo stile maturo, che combina un lirismo intenso con un senso narrativo profondo, influenzato sia dall’impressionismo francese sia dal tardo romanticismo; un brano in un unico movimento, che si sviluppa come un flusso continuo di idee musicali piuttosto che seguire una forma rigida. 

L’opera, caratterizzata da un lirismo profondo, con una scrittura ricca di armonie modali dal sapore orientaleggiante ha permesso al violoncello di Raphaela Gromes di distendere linee melodiche espressive e ampie; questo brano dal sapore d’antan, caratterizzato dal dialogo continuo tra orchestra e solista, ci ha fatto conoscere una solista radiosa e sorridente, dal suono forse non potentissimo ma affascinante nel suo essere sempre teso, caldo e sinuoso, timbrato e vellutato anche nelle zone impervie della tastiera. Un incantevole unisono dei bassi ha condotto verso il finale di questa composizione dalla melodia ritorta e dal fascino conturbante, solo parzialmente attenuato dal rischiararsi in tonalità maggiore dell’accordo finale.

La maestria della solista ha trovato il suo culmine nell’esecuzione del Concerto per violoncello n. 1 in la minore di Camille Saint-Saëns. Gromes, fin dalle prime battute, con l’attacco tempestoso del violoncello, ha riconfermato il controllo impeccabile e il fraseggio avvincente che aveva già conquistato in Bosmans, interpretando la scrittura virtuosistica del compositore con appassionata naturalezza.

Il Concerto n. 1 di Saint-Saëns è un’opera che sfida l’interprete con la sua struttura in un unico flusso narrativo e con una scrittura solistica che richiede agilità tecnica e profondità espressiva. Nel primo movimento, Gromes ha saputo bilanciare il vigore ritmico con la cantabilità delle linee melodiche, mantenendo un dialogo serrato con l’orchestra. Il tempo di minuetto centrale ha rivelato la sua capacità di scolpire ogni frase con eleganza e leggerezza, senza perdere la tensione drammatica sottostante. Ma è nel movimento finale che la sua interpretazione ha raggiunto l’apice, con un’energia incalzante che ha condotto a una conclusione impetuosa.

L’orchestra, diretta da Michele Mariotti con sensibilità e attenzione ai dettagli, ha sostenuto la solista con colori orchestrali raffinati, lasciando emergere le sottili modulazioni armoniche che caratterizzano la scrittura di Saint-Saëns. Gli archi, esemplari in ogni frangente, hanno accompagnato con una morbidezza mai sovrastante la solista, mentre i fiati hanno saputo rispondere con vivacità ai richiami del violoncello.

Sull’ultima nota il pubblico in visibilio, letteralmente conquistato dalla verve comunicativa della giovane violoncellista ha mostrato il suo gradimento con ripetute chiamate a proscenio della solista, “brava, bella e simpatica” come ha chiosato un’entusiasta spettatrice.

Raphaela Gromes si è dimostrata meravigliosa interprete capace di rendere al meglio l’anima virtuosistica e romantica di questa pagina iconica del repertorio per violoncello.

Nella seconda parte del concerto il palcoscenico è stato tutto per la magnifica Orchestra della Svizzera Italiana, che ha saputo restituire tutta la suggestione evocativa della Sinfonia n. 3 in la minore, meglio nota come Sinfonia Scozzese, di Felix Mendelssohn. Con un’interpretazione intensa e raffinata, l’orchestra ha dato voce a un affresco sonoro che ha trasportato il pubblico tra le brume e i paesaggi selvaggi delle Highlands, immergendolo in un’atmosfera tra sogno e natura incontaminata.

Michele Mariotti ha mostrato sintonia totale con l’orchestra; direzione sempre elegante, impeccabile ed equilibrata.

Il direttore pesarese ha scelto un approccio fortemente narrativo, quasi cinematografico, esaltando il carattere descrittivo della sinfonia. Il primo movimento (Andante con moto – Allegro un poco agitato) si è aperto con un’introduzione soffusa e misteriosa: gli archi, leggeri come una foschia mattutina, hanno lasciato emergere il tema malinconico con una fluidità naturale, mentre i fiati evocavano brezze lontane e antichi echi di ballate scozzesi. Con lo stratificarsi dell’edificio sonoro, Mariotti ha saputo mantenere una tensione sottile, dando rilievo ai contrasti tra le sezioni dell’orchestra e facendo emergere il lato più impetuoso della partitura.

Nel Vivace non troppo, il direttore ha accentuato la freschezza ritmica della danza, trasformandola in un vero e proprio gioco di luci e ombre. L’orchestra ha brillato per la precisione e la brillantezza dei colori, con gli archi che hanno tratteggiato motivi ariosi e leggeri, mentre i legni hanno risposto con dialoghi vivaci e scolpiti. 

Ma è nell’Adagio che Mariotti ha dato il meglio di sé, dirigendo con una sensibilità quasi pittorica. La cantabilità struggente degli archi, sostenuta da un respiro orchestrale ampio e avvolgente, ha trasformato il teatro in un luogo sospeso tra sogno e memoria. Qui, l’introspezione romantica di Mendelssohn ha trovato la sua massima espressione, con frasi tratteggiate con delicatezza e un senso di nostalgia palpabile, alternate al tutti orchestrale in cui grande protagonista è stata una sezione di ottoni dal suono sfavillante e di scultorea presenza.

Nel Finale (Allegro vivacissimo – Allegro maestoso assai), Mariotti ha infine restituito il lato più epico e drammatico della sinfonia, esaltando il contrasto tra il carattere eroico e l’elemento folk scozzese. L’orchestra ha risposto con grande coesione, mantenendo una tensione vibrante fino all’ultimo, trionfale accordo.

Un concerto dal programma corposo ma volato via in un soffio per la continua invenzione melodica offerta da questa splendida orchestra che, guidata da un superlativo direttore, ha saputo tenere sempre alta la tensione narrativa, dando un’interpretazione capace di restituire la Sinfonia Scozzese nella sua duplice essenza: un sogno ad occhi aperti e un vivido racconto della natura selvaggia e romantica delle terre di Scozia, grazie a un nitore formale ed esecutivo eccellente, unito a eccezionale levigatezza di suono, rigorosissimo controllo e variegata tavolozza delle dinamiche: la disciplina e il rigore al servizio dell’espressività.

Pubblico acclamante.

Prossimo concerto venerdì 4 aprile alle 20.30 con la Jugendsinfonieorchester Berlin diretta da Knut Andreas.

Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)

Angela Alessi


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