1944-2024: ottanta anni fa iniziava anche a Crema la Resistenza partigiana - Terza Parte
Si conclude con questo terzo articolo il tema della Resistenza partigiana cremasca. La prima e la seconda parte sono state pubblicate da Cremona Sera il 6 (leggi qui) e il 28 febbraio (leggi qui).
Quali erano le formazioni partigiane che operavano nella nostra provincia? Vediamole in sintesi. Le Fiamme Verdi agivano con un Raggruppamento di tre Brigate: la “Andrea Boccoli”, nel territorio casalasco e nell’area piadenese; la “Bernardino Zelioli”, nella zona di Cremona e intorno al capoluogo, oltre che in un tratto lungo l’Oglio; la “Angelo Zambelli”, nel quadrante del soresinese e in parte verso Crema. Questo Raggruppamento era guidato da Giovanni Battista Bianchi. Le Fiamme Verdi cremonesi agivano anche in collegamento con le Brigate di Giustizia e Libertà, guidate da Lionello Miglioli. A Cremona e in zone vicine operavano poi la “Eugenio Curiel” del Fronte della Gioventù; una squadra autonoma definita “Primula Rossa”; un gruppo composto da forze del Partito Liberale; gli elementi riuniti sotto la denominazione di “Cremona Centro”, successivamente confluiti sotto altri comandi partigiani.
Le Brigate Matteotti erano articolate in un Raggruppamento di tre formazioni principali e in alcuni contingenti autonomi nelle aree di Brancere, Isola Dovarese, Spineda e Stagno Lombardo. Le tre formazioni principali erano la 1ª Brigata, nella città di Cremona e nei dintorni del capoluogo; la 2ª Brigata, nella parte a sud-est della provincia, tra Cremona e Casalmaggiore, fino al mantovano; la 3ª Brigata, nel territorio a nord-ovest di Cremona, verso il soresinese e in parte in direzione del cremasco. Erano guidate da Stefano Corbari e, dopo il suo arresto, da Ottorino Frassi. Nel territorio del casalasco, nel triangolo fra Bozzolo, Viadana e Casalmaggiore, operava una Brigata unitaria che riuniva componenti sia di Giustizia e Libertà, sia delle Garibaldi. Di questa Brigata facevano parte anche gruppi legati a don Primo Mazzolari, allora parroco di Bozzolo, che aveva fondato la Brigata Mantovana delle Fiamme Verdi.
Le Brigate Garibaldi erano presenti con il Raggruppamento Brigate “Ferruccio Ghinaglia”. Su incarico del C.L.N.A.I., questo Raggruppamento era stato avviato dal soresinese Arnaldo Bera, Ispettore della Delegazione Garibaldina Lombarda. Nel Fondo A.N.P.I. presso l’Archivio di Stato di Cremona (A.N.P.I. in ADSCR), sono conservate alcune schede dattiloscritte che riportano “L’Organico del Comando del Raggruppamento Brigate Garibaldine S.A.P. ‘F. Ghinaglia’ e delle sue Brigate”. Si possono notare due diverse rilevazioni della struttura posta alla guida del Raggruppamento. La prima si riferisce al periodo “Dal 1° Maggio 1944 al Novembre del 1944”, mentre la seconda riguarda il periodo “Dal 1° Novembre 1944 al 25 aprile 1945”. Nel primo periodo, il Comando è composto (tra parentesi i nomi di battaglia), oltre che dall’Ispettore di Delegazione Arnaldo Bera (Luciano), da Roberto Ferretti (Carlo), Comandante; Arnaldo Uggeri (Manno), Commissario; Menotti Screm (Dario), Vice Comandante; Andrea Zeni (Sandrino), Vice Commissario; Ugo Cavana (Silvio), Intendente; Giuseppe Gaeta (Topo), Ispettore Provinciale. Nel secondo periodo, il Comando è composto, oltre che ancora dall’Ispettore Bera, da Ettore Grassi (Novi), Comandante; Guido Percudani (Sergio), Commissario; Rosolino Sbruzzi (Torchio), Vice Comandante; Giuseppe Andrini (Topolino), Vice Commissario; Ugo Cavana (Silvio), Intendente; Sergio Marturano (Luigi), Ispettore Provinciale. Tutti i nominativi hanno a fianco la dicitura “PCI”, trattandosi di un Raggruppamento di Brigate Garibaldi. Nessuno dei componenti del Comando proviene da Crema o dal territorio cremasco, mentre sono rappresentati altri territori della provincia.
Le Brigate del Raggruppamento “Ghinaglia” sono quattro. La 1ª Brigata, che sarà poi intitolata “Francesco Follo”, dovrebbe operare in una parte a nord-ovest del territorio provinciale, comprensiva anche del cremasco. In realtà, la zona assegnata a questa 1ª Brigata corrisponde solo in parte limitata al nostro territorio. Si vedrà poco oltre questo aspetto. La 2ª Brigata è intitolata “Guerrino Cerioli” e agisce a est di Cremona e nel quadrante sull’Oglio verso Pessina Cremonese e Robecco d’Oglio, comprendendo così tutta l’area piadenese e il settore posto al di sopra della linea di Cella Dati, Cingia de’ Botti e San Giovanni in Croce, a nord della strada provinciale 87 (la cosiddetta “Giuseppina”). La 3ª Brigata è intitolata “Luigi Ruggeri” e opera a est di Cremona, al di sotto della linea suddetta e fino a Martignana Po, con tutta la corrispondente zona che si trova lungo il fiume Po per la parte cremonese. La 4ª Brigata, che sarà poi intitolata “Bruno Ghidetti”, ha come campo d’azione la città di Cremona e le aree più vicine al capoluogo. Si è già detto che nel territorio del casalasco, nel triangolo fra Bozzolo, Viadana e Casalmaggiore, operava invece la Brigata unitaria che riuniva componenti sia di Giustizia e Libertà, sia di forze appartenenti alle Garibaldi.
Non esiste corrispondenza tra il territorio cremasco già preso in considerazione in questi articoli e la zona di operazioni della 1ª Brigata “Francesco Follo”. Infatti, verso sud-est alla 1ª Brigata sono assegnate le aree del castelleonese e del soresinese e, più a sud, le zone di Pizzighettone e di Crotta d’Adda, di Grumello Cremonese e Casalbuttano, di Azzanello, Bordolano e Corte de’ Cortesi. Nel fondo A.N.P.I. in ADSCR (Busta 4), è conservata una cartina con il settore del territorio provinciale assegnato alla 1ª Brigata. Dall’Adda all’Oglio, il confine a sud-est comprende la zona di Crotta (non di Acquanegra Cremonese); fuori Casalbuttano si arriva fino all’attuale strada provinciale 86 (è quindi escluso il Casale Belvedere); poco più a nord, non solo Cignone ma anche Corte de’ Cortesi e la Cascina Cantonata rientrano nell’area della “Follo” (non Monasterolo); la linea di demarcazione verso l’Oglio è tra la Cascina Solitaria e la Cascina Gussolo.
La zona di operazioni della 1ª Brigata comprende nel suo confine di nord-ovest solo una parte del territorio cremasco. La zona della Gera d’Adda e la fascia settentrionale sul confine con il bergamasco vedono operare altre formazioni partigiane. Le aree di Rivolta d’Adda, Agnadello, Vailate e, più a sud, le zone di Spino d’Adda, Pandino e Dovera, oltre alla parte abduana tra Boffalora d’Adda e Corte Palasio, sono infatti sotto altri centri di comando partigiani, soprattutto del basso milanese e del lodigiano. Nel pandinese esiste una certa presenza della 1ª Brigata ma dalla documentazione A.N.P.I. in ADSCR si può evincere una sostanziale prevalenza di altre formazioni. Tra Rivolta d’Adda e Agnadello opera la Brigata San Fermo, una unità “autonoma” che ha altrove le sue strutture di comando ma che comprende un buon numero di nostri conterranei di quei luoghi. Basti qui citare Gaetano Ferri, al quale il Comune di Rivolta d’Adda ha intitolato una piazza. Nella Gera d’Adda, a Spino d’Adda e a Pandino agisce la 175ª Brigata Garibaldi, che non opera solo a Paullo, Merlino e Zelo Buonpersico ma anche in questo quadrante del territorio cremasco. I caduti del cosiddetto “eccidio di Spino d’Adda” hanno sul tesserino partigiano l’ascrizione a questa 175ª Brigata. Il romanenghese Carlo Guaiarini (Barba) era Capo Distaccamento di questa Brigata e agiva su entrambe le rive dell’Adda. In pratica, era raro che la 1ª Brigata superasse la linea occidentale esistente tra Palazzo Pignano, Monte Cremasco, Crespiatica e Vaiano Cremasco, se non con occasionali puntate nel pandinese, come era raro che varcasse la linea settentrionale esistente tra Pieranica, Capralba e Camisano.
Le stesse schede già citate per indicare la composizione del Comando del Raggruppamento “Ghinaglia” ci forniscono anche informazioni sui Comandi delle quattro Brigate, sempre distinguendo i due periodi dal maggio all’ottobre del 1944 e dal novembre 1944 al 25 aprile del 1945. Nel primo periodo, il Comando della 1ª Brigata è composto da Menotti Screm (Dario), Comandante; Adriano Andrini (Alfredo), Commissario; Claudio Zappa (Franco), Vice Comandante; Aldo Del Bue, Vice Commissario. Non risulta la figura dell’Intendente. In questo primo periodo, nessuno dei componenti del Comando di Brigata proviene da Crema o dal territorio cremasco, nonostante questo territorio corrisponda a una porzione significativa di quello assegnato alla 1ª Brigata. Tutti i soggetti hanno a fianco la dicitura “PCI”. Nel secondo periodo, lo stesso Comando è composto da Rinaldo Bottoni (Sandro), Comandante; Luciano Vettore (Marco), Commissario; Alfredo Galmozzi (Fredo), Vice Comandante; Aldo Del Bue, Vice Commissario; Ettore Grassi, Intendente. Pure qui, a fianco di tutti, sta la dicitura “PCI”. Alfredo Galmozzi risulta altrove col nome di battaglia “Elio” ma qui si trova invece “Fredo”. Anche Adriano Andrini e Luciano Vettore risultano in altri documenti con nomi di battaglia diversi (rispettivamente, “Primo” e “Anselmo”). In questo secondo periodo, Galmozzi è l’unico soggetto cremasco o comunque del nostro territorio chiamato a far parte dei vertici decisionali di questa Brigata, con il ruolo di Vice Comandante, non dal maggio del 1944, come si dice in certi testi, ma dal novembre del 1944. Non risulta in questi due prospetti alcun nome di battaglia di Del Bue e di Grassi.
Sempre nel fondo A.N.P.I. in ADSCR esistono vari documenti che riportano elenchi dattiloscritti oppure manoscritti riguardanti i componenti della 1ª Brigata “Francesco Follo”. Tra questi esiste un documento abbastanza completo, frutto di una evidente rielaborazione tendente a dare alla mappatura degli organici di questa Brigata una simmetria quantitativa, sistematica e ben equilibrata, se non anche un poco artificiosa. Ad esempio, ogni Battaglione ha lo stesso numero di Distaccamenti e ogni Distaccamento ha l’identico numero di Plotoni degli altri. Poi si nota che non solo ogni Plotone ha lo stesso numero di Squadre ma che ogni Squadra ha esattamente, sempre e comunque, sette oppure otto persone di effettivo, compreso il Comandante di Squadra. Il 1° Battaglione ha sei Squadre con sette componenti e altre sei con otto. Il 2° Battaglione ha addirittura, tranne che in un caso, sempre lo stesso identico numero di persone in organico per ogni Squadra: sempre sette, compreso il Comandante di Squadra. Non si può escludere che questa Brigata fosse gestita, in tempi di acerrima guerra civile e con frequenti arresti di militanti da parte di soverchianti forze nemiche, con una tale alchemica esattezza, nei suoi organici così matematicamente bilanciati in tutte e ventiquattro le sue Squadre. Qualche dubbio tuttavia si pone. D’altra parte, questo documento è quello, nel fondo A.N.P.I. in ADSCR, più completo e meglio confezionato, anche nella sua impaginazione e nella sua ben ordinata giustapposizione di elementi dattiloscritti e aggiunte manoscritte. La sua intitolazione è “Struttura e Comando della 1ª Brigata ‘Follo’ della Divisione ‘F. Ghinaglia’ - Cremona”.
L’organico complessivo risulta di 203 componenti, suddivisi in 2 Battaglioni, ciascuno composto da 3 Distaccamenti, i quali hanno al proprio interno 2 Plotoni ciascuno. Ogni Plotone comprende a sua volta 2 Squadre, le quali, come si è detto, sono in 7 casi di 8 membri e in 17 casi di 7. In fondo all’ultima pagina c’è la dicitura “p. il Comandante la 1ª Brigata Garibaldi ‘F. Follo’ della ‘F. Ghinaglia’ - Il Vice Comandante”. Quindi non era prevista la firma del Comandante Rinaldo Bottoni ma quella del suo Vice, Alfredo Galmozzi. Il quale però non ha sottoscritto il documento. E la “p.” iniziale, che significa “per”, cioè “per conto di”, dovrebbe essere doppia, perché la firma effettiva è quella di Mario Marchesi, che non è, come viene detto in certi testi, il “Vice Comandante” della Brigata ma solo il Comandante del suo 2° Plotone. Si tratta quindi di un documento non firmato dal Comandante e nemmeno dal Vice Comandante di questa Brigata ma soltanto da uno dei suoi Comandanti di Plotone.
Il numero di 203 componenti appare subito eccessivo rispetto alla reale consistenza della Brigata negli undici mesi della sua effettiva esistenza, anche e soprattutto alla luce del cosiddetto Diario Storico della Brigata, di cui si dirà poco oltre, che fornisce indicazioni numeriche di gran lunga inferiori. Si potrebbe ritenere che l’organico di 203 effettivi si riferisca solo al momento di massima espansione del numero dei componenti, cioè a poco dopo la Liberazione. Infatti tale numero comprende anche i cosiddetti “insurrezionali”, spesso “insorti” solo all’ultima ora, sui quali le Commissioni Regionali andavano molto caute, deliberando parecchi “non riconosciuto”. Ciò spiega in buona parte una simile quantificazione. Sono poi ricompresi anche diversi “caduti”, che in alcuni casi non erano partigiani prima di essere colpiti ma solo persone trovatesi sfortunatamente nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato, ad esempio nei giorni della Liberazione, in situazioni nelle quali le colonne tedesche in ripiegamento erano allarmate dal pericolo, peraltro effettivo in quelle circostanze, di non riuscire ad aprirsi un varco per la loro ritirata prima dell’arrivo delle forze alleate. Insomma, questo numero di 203 componenti va ben compreso e valutato.
Va poi rilevato che in questo documento ci sono soggetti che compaiono anche, con incarichi differenti, nelle schede riguardanti la composizione del Comando del Raggruppamento “Ghinaglia” oppure dei Comandi delle sue quattro Brigate. La spiegazione potrebbe essere che una stessa persona avesse più incarichi, cosa più che possibile. Ad esempio, Ettore Grassi poteva essere al tempo stesso Intendente dell’intera Brigata e Commissario del solo 1° Battaglione? Può darsi. Giuseppe Andrini, Vice Commissario del Comando di Raggruppamento, era anche un semplice Comandante di Plotone della “Follo” (il 6° Plotone)? Oppure era un semplice caso di omonimia? Può darsi.
I nominativi sono dattiloscritti e di fianco a quasi tutti ci sono indicazioni manoscritte sulla qualifica e sulla località (non è chiaro se di nascita o di residenza). Abbiamo quindi “partigiani” e “patrioti”, con anche alcuni “benemeriti”. In alcuni casi sono indicati pure i “caduti”. La specifica sulla presenza degli “insurrezionali” deriva da una annotazione a matita. Non è inserita in questa struttura la cosiddetta “squadra volante” del russo “Giorgio Varjagin” (Juri Ivanovic Radcenko). Va ricordato che siamo in un contesto “S.A.P.” (si vedano in proposito i due articoli del 6 e del 28 febbraio), per cui si tratta nella maggior parte dei casi di partigiani non in clandestinità, perlomeno non in clandestinità piena, che continuano cioè a svolgere, almeno in buona parte, la loro esistenza e le loro attività correnti a casa propria e nell’ambito della propria famiglia, operando soprattutto con azioni in incognito, condotte spesso nelle ore notturne, come sabotaggi, furti di armi, attentati esplosivi, disarmo di avversari isolati, volantinaggi presso le fabbriche, propaganda clandestina.
Scorrendo i nomi e le località, gli organici di questa Brigata evidenziano una forte presenza di soggetti non appartenenti al territorio cremasco, come l’abbiamo inteso sino ad ora. Non ci sono dubbi sul fatto che le componenti più numerose e significative siano quelle dei soresinesi e dei castelleonesi. Infatti questa Brigata agiva molto di più in quelle aree che nel cremasco vero e proprio. Non mancano i soggetti di Pizzighettone, Annicco, Azzanello, Piadena. Del nostro territorio ci sono diversi componenti di Soncino e anche di Montodine, oltre che di Pandino e di Romanengo. Con a fianco la dicitura di Crema ci sono soltanto una decina di soggetti qui definiti come “partigiani” (ma la loro qualifica è solo auspicata e non sarà riconosciuta a tutti), una decina di “caduti” e una decina di “patrioti” (anche in questo caso, la qualifica non sarà riconosciuta a tutti). I cremaschi del nostro Comune parrebbero quindi una trentina, su un paio di centinaia. E saranno abbastanza di meno dopo l’esame delle Commissioni Regionali. Ovviamente, occorre tenere presente anche tutti i cremaschi non appartenenti a questa Brigata, andati a combattere via da casa per diversi mesi, in campo aperto contro il nemico. Non è detto che, approfondendo meglio la materia, non si venga a concludere che questi cremaschi, impegnati nello scontro armato e inquadrati in vere formazioni militari sui terreni della guerriglia, per montagne, valli e colline alpine o appenniniche, possano risultare più rilevanti, per numero, qualifiche riconosciute ed equiparazioni di grado, rispetto ad altri sino ad oggi più noti. Anche perché spesso si trattava di soggetti che, rientrati in città, tendevano a non curare troppo la propria notorietà editoriale e mediatica con iniziative tipografiche. Oppure, semplicemente, non parlavano più perché avevano sacrificato la vita su qualche lontano rilievo montuoso o davanti a un plotone di esecuzione.
A questo punto, dobbiamo rendere il giusto merito a quei pochi cremaschi, della nostra città e del nostro territorio, che all’interno della 1ª Brigata “Francesco Follo”, nonostante il loro numero così esiguo, erano riusciti a farsi assegnare ruoli di qualche rilievo. Il livello più elevato lo raggiunge Alfredo Galmozzi (Elio, a volte Fredo), Vice Comandante della Brigata dal novembre del 1944, al quale è stata intestata a Crema una scuola media, in precedenza intitolata a Francesco Agello. È tra i pochi ad essersi visto ammettere un grado equiparato di ufficiale (sottotenente). Nel nostro territorio ce ne sono altri, per ora accertati in meno di una decina, tra i quali si possono contare alcuni altri sottotenenti, almeno uno o due tenenti, un capitano (Carlo Rossignoli) e altri già muniti di un grado così elevato, nell’Esercito o nella Croce Rossa, da non dover richiedere equiparazioni di questo genere (ad esempio, Carlo Tullio Giordana e Ugo Chiappa). In ogni caso, la verifica è ancora in corso.
Il 1° Battaglione è molto poco “cremasco”. È guidato dal soresinese Arnaldo Stanga (qui si indica la località scritta a lato dei vari nominativi in organico). I soresinesi Ettore Grassi e Bruno Bacchini ne sono rispettivamente il Commissario e il Vice Comandante. Il 2° Battaglione è quello più “cremasco”. È guidato da Mario Marchesi, nato a Romanengo il 26 settembre 1926 (è quindi un diciottenne), residente a Crema. Attilio Maffezzoni, di Romanengo, del quale si è già detto nell’articolo del 6 febbraio, è Commissario del medesimo 2° Battaglione. Pietro Pagliari, di Crema, è Vice Comandante della stessa unità. Dopo di che, su 6 Capi Distaccamento, 12 Capi Plotone e 24 Capi Squadra, troviamo del nostro territorio i soggetti che seguono. Non abbiamo alcun ruolo di coordinamento nel 1° Battaglione, che è anche in ciò marcatamente “soresinese”. Nel 2° Battaglione, quello più “cremasco”, troviamo come Capi Distaccamento Antonio Curlo, di Romanengo (4° Distaccamento) e Vitale Zacchetti, di Izano (5° Distaccamento). Il 6° Distaccamento è guidato da Luigi Piazzi, che non ha a fianco del nome alcuna località. Scendiamo di un livello e vediamo i Capi Plotone. Remigio Zeloni, di Crema, guida l’8° Plotone. Benvenuto Scaravaggi, di Crema, guida il 9° Plotone. Giuseppe Zacchetti, di Izano, guida il 10° Plotone. Lucio Franzosi, di Montodine, guida l’11° Plotone. Il 7° Plotone è guidato da Dante Ghilardi, che non ha a fianco del nome alcuna località, mentre il 12° Plotone non è a guida cremasca (risulta Natale Cavalli, di Fiesco). Delle 12 Squadre del 2° Battaglione, 5 sono guidate da persone di Crema, 2 di Soncino, 1 di Izano, 1 di Romanengo, 1 di Bagnolo Cremasco, 1 di Vailate e 1 di Fiesco.
Il Diario Storico della 1ª Brigata “Francesco Follo”, redatto dal Commissario politico Luciano Vettore, è conservato nel fondo A.N.P.I. in ADSCR (Busta 14). Qui si trovano anche i Diari Storici delle altre tre Brigate del Raggruppamento “Ghinaglia”. Questi Diari sono raccolti come parte di una documentazione più ampia e sono fascicolati in sequenza, alle seguenti pagine: 3ª Brigata “Ruggeri”, pp. 394-439; 2ª Brigata “Cerioli”, pp. 440-461; 4ª Brigata “Ghidetti”, pp. 462-486; 1ª Brigata “Follo”, pp. 487-505. Le 19 pagine dattiloscritte del Diario della 1ª Brigata iniziano con i primi tentativi di costituire questa formazione sul modello S.A.P., tentativi che non iniziano in maggio ma solo in giugno. Infatti la Commissione Regionale riconoscerà ai componenti con maggiore anzianità 11 mesi. Il primo nucleo si forma a Castelleone. Seguono i gruppi di Soresina e poi di Pizzighettone. Poco dopo, si attiva una presenza a Casalmorano. Già dai primi mesi, si fonda l’impianto fondamentale della Brigata, che manterrà sempre il suo baricentro tra il castelleonese, il soresinese e la zona di Casalbuttano. In agosto, si raggiunge l’ottantina di effettivi. Tre S.A.P. operano con una certa continuità, con un organico di poco superiore alla quindicina di persone ciascuna: la 1ª S.A.P. di Castelleone, con alcune unità a Romanengo (sono gli uomini di Attilio Maffezzoni); la 2ª S.A.P. di Soresina, la più nutrita; la 3ª S.A.P. di Casalmorano, con alcune unità ad Azzanello. Si cerca anche di “concentrarsi” sul “soncinese”, perché a Crema le difficoltà sono notevoli e perché nel “pandinasco” i pochi soggetti presenti in quell’area sono alquanto isolati e quindi “in contatto e in dipendenza” (e questo termine “dipendenza” dice molto) con le formazioni “del lodigiano e del basso milanese”.
Il Diario dà conto di questa fase di sviluppo della Brigata e di come si cerchi di estendere la sua sfera d’azione nel territorio assegnato, che è ancora in buona parte senza una presenza attiva. In settembre di costituisce la 4ª S.A.P. di Pizzighettone. Le azioni principali e più frequenti sono portate avanti, da questo momento in poi, non solo nel castelleonese e nel soresinese ma anche nelle zone di Casalmorano, di Casalbuttano e nella fascia dell’Oglio, con un inizio di attività intorno a Pizzighettone e in quel tratto lungo l’Adda. Questi tentativi di consolidamento vengono però vanificati da una grave crisi organizzativa. In autunno si verificano diversi insuccessi, arresti e sbandamenti. In poco tempo si arriva a un crollo degli organici. Il Diario riporta fedelmente questi problemi. Le cause sono anche di carattere generale. In effetti, gli ultimi mesi del 1944 e gli inizi del 1945 sono durissimi per molte formazioni partigiane. Gli alleati hanno annunciato il rinvio delle principali operazioni belliche alla primavera successiva e le forze di occupazione tedesche, la G.N.R. e le Brigate Nere hanno di conseguenza intensificato la repressione della lotta partigiana e lo smantellamento delle strutture della Resistenza, in tutte le regioni del Nord Italia, quindi anche nella nostra provincia. Solo che nel nostro territorio non esistono solide e agguerrite forze di guerriglia partigiana organizzate per il combattimento sul campo. È diversa, ad esempio, la situazione in Piemonte, dove il modello partigiano non è quello di mero “sabotaggio e supporto”, in genere notturno e discontinuo, ma è invece quello della guerriglia militare attuata dai “gruppi di azione clandestini”, in modo continuo ed esplicito (si veda Alessandro Barbero, “Lo sviluppo della guerra partigiana”, in “Storia del Piemonte”, 2008 e 2022). Ed è abbastanza diversa anche la situazione in territori più vicini ai nostri, come sui rilievi dell’Oltrepò pavese o sull’Appennino piacentino, dove altri cremaschi combattono il nemico con scontri armati e a viso aperto, contrastando la repressione con le armi in pugno. È evidente come invece, anche a causa della nostra realtà geografica, la violenta azione repressiva anti-partigiana di quel periodo causi da noi falle notevoli. Mentre però nel casalasco le unità garibaldine e gielliste “tengono duro”, mentre nel cremonese, anche grazie a strutture ed organici ben diversi, si contengono i danni, nella zona operativa della 1ª Brigata la situazione è veramente drammatica.
In novembre c’era stato l’avvicendamento ai vertici della Brigata, in precedenza menzionato. In dicembre giunge da Crema la notizia che si è costituito un C.L.N. locale. Si spera quindi, in un primo momento, che anche nella zona cremasca si possano svolgere azioni di un qualche rilievo. A gennaio il crollo degli organici della 1ª Brigata raggiunge il punto di maggiore criticità. Il Diario riporta una caduta a un livello residuo complessivo di una quarantina di unità, anche se molti degli effettivi usciti restano comunque in attesa di un possibile reinserimento, passata la fase di maggior rischio per loro e per le loro famiglie. Si tratta di persone che, per la maggior parte, continuano a vivere a casa propria, nella loro famiglia, in condizioni di apparente acquiescenza al regime, per cui il rischio di essere incarcerati e magari addirittura passati per le armi a causa delle azioni svolte in incognito, in genere nelle ore notturne, è davvero reale. Fatto sta che il Diario indica in gennaio solo 15 effettivi a Soresina, 10 a Castelleone, una decina altrove in ordine sparso, soltanto 5 a Crema e nelle vicinanze. Queste sono le pagine del Diario più cupe e più amare.
A inizio anno i vertici della Brigata si riuniscono e vengono definite le linee di azione per superare la crisi e prepararsi alla primavera. La vittoria alleata è ormai sicura e occorre riprendere un adeguato livello di pressione sugli avversari, con un impatto sufficientemente significativo. Vanno quindi intensificati i sabotaggi, gli episodi di disarmo di militari isolati o in piccoli gruppi, gli interventi di propaganda e di volantinaggio, il reperimento e il deposito di armi, le varie attività di supporto logistico e di collegamento informativo. Si danno più incarichi a “Giorgio il russo” e alla sua “volante”, all’inizio soprattutto tra Sesto Cremonese e Soresina, poi anche in altri settori della Brigata. Si ricostituiscono diverse Squadre e si inizia a dare maggiore stabilità ai Plotoni, puntando a ricostituire le formazioni già esistenti in precedenza invece di crearne di completamente nuove. Si decide di rinforzare la debolissima fascia a nord, trovando più effettivi su Bagnolo e Vaiano e cercando di smuovere la situazione di Crema, dove nel frattempo Galmozzi e il suo gruppo stanno costituendo una S.A.P. in grado di svolgere azioni di una qualche rilevanza.
Tra gennaio e febbraio si ricostituiscono, in tutto o in parte, o comunque si attivano in modo più strutturato, i gruppi di Soncino, Ripalta Arpina e Montodine. Lo stesso si fa nelle zone di Gombito e Pizzighettone. A volte però i risultati sono riportati nel Diario come “non soddisfacenti”. Si ricercano maggiori “appoggi” tra Castelleone e Romanengo, “per trovar basi come posti di abitazione per le staffette e per quelli di passaggio”. Lo sforzo per sviluppare e ricompattare, in tutta la zona della 1ª Brigata, i vari gruppi e le “Squadre S.A.P.” è notevole e il Diario ci offre una visione in presa diretta e piuttosto coinvolgente di questa ricostituzione di volontà, energie e iniziative. Tra febbraio e marzo si conferma anche la scelta di lasciare le scarse forze della 1ª Brigata presenti nelle aree di Pandino, Agnadello e Rivolta d’Adda “legate al Comando delle Brigate della provincia di Milano”. In realtà, quelle strutture di comando sono soprattutto lodigiane. E la non menzione di Spino d’Adda lascia supporre che in quel caso di dubbi non ce ne fossero mai stati.
Il Diario è molto critico nei confronti del C.L.N. di Crema. Dopo che il 3 dicembre 1944, a Capergnanica, a casa di Gino Bassi, è stato fondato il C.L.N. cremasco, di cui fanno parte Lodovico Benvenuti (DC), Mario Perolini (PSIUP) e Giovanni Valcarenghi (PCI), le critiche dei Comandi del Raggruppamento “Ghinaglia” e le censure contenute nel Diario della 1ª Brigata nei confronti della tiepidità partigiana cremasca, invece di diminuire, diventano sempre più frequenti e pesanti. Nel Diario il C.L.N. di Crema è accusato di “attendismo”. Contrariamente ad altri C.L.N., quello di Crema è quasi del tutto sganciato e ininfluente rispetto alle formazioni partigiane che agiscono nel territorio. In pratica, si è costituito tardi, i suoi tre componenti spesso faticano a trovare un accordo e il contributo dato alla lotta partigiana, si legge nel Diario, è “molto debole, poiché si limita unicamente ed anche in scarsa misura all’assistenza”. In realtà, in quel contesto, l’unico personaggio di effettivo spessore era Lodovico Benvenuti, che ovviamente ben sapeva come dirigere le cose in base agli intendimenti della sua parte politica, intendimenti ben diversi da quelli delle Brigate garibaldine comuniste, con buona pace dei suoi due meno accorti comprimari. È interessante confrontare i contenuti di questo Diario con le varie edizioni del testo di Mario Perolini “Dalla tragedia dell’8 settembre all’insurrezione del 25 aprile” (ad esempio quelle del 1946, del 1965 e del 1985), che danno del C.L.N. cremasco un’immagine del tutto differente. Cosa abbastanza ovvia, visto che l’autore ne era un componente. Significativi, anche in proposito, sono i documenti conservati presso l’archivio privato della famiglia Benvenuti a Ombriano, riferiti alle attività di Lodovico Benvenuti durante la Resistenza.
Alla metà di febbraio, quando mancano circa un paio di mesi alla Liberazione, la situazione generale della Brigata è tornata su livelli accettabili. A Soresina e Castelleone le cose procedono in modo positivo. Più limitati sono i risultati ad Azzanello e a Pizzighettone. A Soncino il gruppo si è ben rinforzato. Romanengo e Ticengo continuano a essere buone basi operative. Negli altri settori territoriali i miglioramenti consentono di prepararsi in modo più credibile all’insurrezione, considerata ormai prossima. Buone notizie arrivano finalmente da Crema. Nonostante la cronica scarsità di organici, il gruppo cremasco, ormai consolidato in S.A.P., mette a segno alcune azioni significative. Il Diario indica adesso, a Crema e nelle vicinanze, un organico di 18 elementi, “decisi e attivi, comandati da Galmozzi Alfredo. Lo spirito di combattività è buono e attraverso le azioni l’armamento viene sempre migliorato”. Si fanno alcuni “disarmi”, che “demoralizzano i repubblichini”. Si realizzano alcuni sabotaggi, anche con l’uso di esplosivo. Arriva il volantinaggio alla Ferriera, dove dopo un licenziamento si invitano gli operai a scioperare. Insomma, a Crema i partigiani sono pochi ma adesso si danno da fare. Il problema però è un altro. Perché non bastano pochi ragazzi ventenni per poter dire che a Crema le cose si sono risolte.
Leggiamo nel Diario: “Nella riunione del 10 febbraio, dopo aver esaminato i risultati ottenuti e studiato la possibilità, constatata la scarsa efficienza politica militare della città di Crema che escluso quel piccolo gruppo comandato dal Galmozzi era completamente passiva, si decise di puntare tutti i nostri sforzi sulla città, per vedere di creare anche lì un certo movimento, perché pensiamo che non era possibile che una città industriale con un numeroso proletariato dovesse rimanere in una posizione attesista; noi pensiamo che questo fosse piuttosto frutto di indecisione da parte dei nostri compagni che dovevano dirigere il movimento e che quindi dovevano essere immediatamente sostituiti”. Quello che poi viene definito “Il lavoro in direzione della città di Crema” (si veda anche a p. 495 del Diario), consiste, in concreto, in un’azione piuttosto decisa per rimuovere Giovanni Valcarenghi dal C.L.N. di Crema, nominare una figura più proattiva e cercare così di superare il “muro di gomma” che Lodovico Benvenuti sta abilmente gestendo nei confronti delle componenti socialcomuniste. Le critiche alla scarsa partecipazione partigiana cremasca, che eccettuano solo il gruppo di Galmozzi, si fanno poi sempre più accese. Ad esempio, caso raro nel panorama territoriale della Brigata, “era quasi impossibile trovare in città un solo posto di tappa”. Tuttavia, dopo vari tentativi, il progetto di dare una sterzata operativa e un impulso fattivo alla componente “politica” della Resistenza cremasca non riesce ad avere successo: “Le obiezioni sollevate dal C.L.N. della città impedirono di effettuare questa variazione che secondo noi avrebbe reso possibile un potenziamento del C.L.N. stesso”. Del resto, manca ormai poco all’insurrezione finale.
Nel mese di marzo le azioni principali continuano quindi a essere svolte, leggendo il Diario, nella fascia territoriale tradizionalmente più forte della Brigata, quella tra Soresina, Annicco, Trigolo, Castelleone e Fiesco, oltre che tra Casalmorano e Casalbuttano. Si muove bene anche il gruppo di Soncino. A un certo punto, la “volante” del “russo” combina qualche guaio dalle nostre parti e viene quindi inviata fuori zona, sulla fascia dell’Oglio. Ormai siamo ad aprile e sta per scoccare l’ora tanto attesa. A questo punto il Diario riporta che Galmozzi viene “identificato”, dicendo che questo smascheramento avviene il 14 aprile. Scoperto lui, rischiano anche i suoi compagni più vicini. Per questo motivo, tutto il loro gruppo viene trasferito fuori città. Galmozzi trova rifugio a Casalbuttano e i giorni della Liberazione non lo vedranno presente a Crema. Il 19 aprile “vengono impartite le ultime disposizioni insurrezionali”, in una riunione che si svolge a Cremona. Il 22 aprile i vertici della Brigata si stabiliscono nella zona del Campo di Marte a Crema. Sono momenti di ordini, contrordini, dispacci, staffette, anche con una certa confusione. Il 25 aprile arriva da Castelleone, dove temporaneamente si è posizionato, almeno secondo questo Diario, il Comando dell’intero Raggruppamento “Ghinaglia”, l’ordine di occupare tutti i centri principali all’arrivo della mezzanotte. Nel Diario però si dice che il Comandante della Brigata, Rinaldo Bottoni, e il suo Commissario (cioè lo stesso Vettore, estensore del Diario) comunicano questa disposizione ai propri quadri solo nella mattinata successiva. L’insurrezione comincia quindi “la mattina del 26 aprile”. Seguono poi le ultime pagine del Diario. Alla fine c’è anche questa frase: “Si iniziò col 29 aprile l’opera di polizia e di ordine”.
Il 29 aprile è il giorno della fucilazione di Clorinda Boffelli, Eugenio Carniti, Alfredo Della Torre e Manlio Rovescalli al campo sportivo di Crema. Non mancano altri episodi ritorsivi, come l’uccisione di Giovanni Caio e di Vincenzo Morandi a Vergonzana, oltre che di Vincenza Brazzoli, Vito Severgnini, Dino Losi e altri ancora. I caduti di Crema e del territorio cremasco per mano partigiana non sono pochi, soprattutto dopo il 25 aprile 1945, a causa di atti di giustizia sommaria. Una verifica in proposito è ancora in corso. Sui quattro fucilati al campo sportivo il 29 aprile, si è scritto parecchio. C’è chi sembra rammaricarsi che non si sia punito abbastanza, visto che Crema “non vide compiersi giustizia fino in fondo”, parlando di fucilazioni e di sfilate di ausiliarie rasate. Almeno, vanno apprezzate la franchezza e la coerenza ideologica. C’è chi fa la “conta” degli uccisi dall’una e dall’altra parte e conclude calcisticamente che trenta a sette è un punteggio che dà ragione ai partigiani. Peccato che i numeri siano ben diversi. Lo stesso testo, pagine prima, lo dimostra. C’è poi chi ce la mette tutta a produrre giustificazioni editoriali esimenti per questo o quel personaggio, allora in indubitabili ruoli decisionali e quindi con piena responsabilità dei fatti. I discorsi sul “verbale” in cui si decide la fucilazione, mai ritrovato (ammesso che ci fosse), fanno parte di questi tentativi di giustificazione. In realtà, il C.L.N. locale aveva la piena responsabilità “politica” di quei fatti. Un organismo che addirittura nomina il Sindaco non può giocare a nascondino su quattro fucilazioni.
Ma la responsabilità maggiore è quella “militare”. E sul militare di dubbi non ce ne sono. Il 27 aprile 1945 il Comando del Corpo Volontari della Libertà “nomina comandante di tutte le forze armate di Crema e circondario il patriota Sandro (sottolineato) il quale sarà coadiuvato dal S. Ten. Nando, dal dr. Ugo Chiappa, dal patriota Gino Donadio e da altri a sua completa scelta”. Se i tre “coadiuvanti” potevano forse dire di passare di lì per caso, di certo Sandro no. Che Sandro abbia fatto bene o fatto male, che dovesse farne fucilare il triplo o il doppio oppure la metà o nessuno, è inutile girarci troppo intorno. Se la “responsabilità oggettiva” non è di facile evidenza in politica (e in diritto penale), sul militare non si possono fare troppi distinguo, cavilli e sofismi, soprattutto in tempo di guerra. Magari, Sandro ha fatto benissimo. Comunque, il principale responsabile di queste fucilazioni non è Luciano Vettore, come qualcuno ha scritto, ma è lui: Rinaldo Bottoni (alias Sandro, alias Oliviero), nato a Pegognaga (Mantova) nel 1915, già tenente dell’aeronautica, già comandante della 121ª Brigata garibaldina “Lupi”, dal novembre 1944 comandante della 1ª Brigata del Raggruppamento Ghinaglia.
Tra i tanti memoriali scritti sulle vicende della lotta partigiana cremasca, c’è quello di Alfredo Galmozzi. Sono narrati i suoi primi contatti con Attilio Maffezzoni e il suo ingresso in quella che allora si stava costituendo come 1ª Brigata. Esistono alcuni scostamenti tra questo memoriale e il Diario della Brigata ma la sostanza dei fatti è abbastanza coerente tra le due fonti. È interessante il cambio di prospettiva, che qui non è quella del Commissario di Brigata ma quella di un ragazzo che deve impegnarsi per mettere in piedi un gruppo di resistenti in una città difficile come Crema. Le azioni realizzate da Galmozzi e dai suoi si possono trovare in numerose pubblicazioni, essendo il personaggio tra i più celebrati dalla nostra letteratura resistenziale. Un aspetto significativo è quello dell’amicizia che lega questo gruppo di ragazzi che abitano in piazza Marconi a Crema e che diventano partigiani quando già tra di loro questa amicizia era consolidata. Alfredo Galmozzi, Pietro Pagliari, Benvenuto Scaravaggi, che sono il nucleo principale, poi anche altri, come i fratelli Paesetti, vivono tutti sul fronte di quella piazza che ha sul retro, a quel tempo, soltanto ortaglie, broli e ampie zone verdi. Non c’erano le strutture condominiali e le altre costruzioni edificate nel dopoguerra. Era una specie di zona franca, divenuta nei mesi della Resistenza una vera base operativa in cui riunirsi, pianificare le azioni, conservare i depositi di armi e di esplosivi.
Quando nel proprio memoriale Galmozzi parla del suo gruppo, non usa la terminologia ufficiale della composizione della 1ª Brigata ma dice “il gruppo di piazza Marconi”. A volte, per indicare la loro base clandestina, dice solo “piazza Marconi”. Galmozzi spiega come nelle ortaglie retrostanti lui e i suoi si esercitassero al tiro a segno con le armi da fuoco, usando vari stratagemmi per coprire il rumore dei colpi esplosi. È lì che questi ragazzi diventano esperti di esplosivi, inneschi, bombe a mano, “saponette” al tritolo, ordigni “SIPE”. C’è anche una descrizione di come le loro case, contigue e in parte comunicanti, costituissero un vero e proprio “compound” militare, con la connivenza dei loro genitori, delle loro famiglie, dei loro vicini. Il testo “Francesca Marazzi - Una vita”, del 2014, in vari passaggi, soprattutto alle pp. 20-21, ci fa entrare in questo perimetro partigiano: “…e poi si arriva a casa della mia amica Jole, Jole Scaravaggi, all’orto sperimentale: un cortile in piazza Marconi, dietro l’area che sarà poi occupata dal cinema Astra. Ci abitano Pietro Pagliari e tutta la sua famiglia e la famiglia di Jole”. In realtà, i Pagliari abitavano un poco più a est, appena dopo la strada privata tracciata successivamente, dietro il negozio dei Paesetti (“L’Orto”). “Jole non parla esplicitamente di resistenza o partigiani, ma riesco a capire che mi trovo in casa di persone che operano attivamente per cambiare. Vedo gruppi di ragazzi arrivare di nascosto, quasi tutti renitenti alla leva; comincio a mettere insieme nella mia testa gli avvenimenti e a capire la situazione. Benvenuto, un fratello di Jole, Alfredo Galmozzi, Pietro Pagliari e altri che non ricordo organizzano azioni contro i fascisti; hanno agganci col gruppo di Romanengo. Quando trovano fascisti isolati gli portano via le armi e le nascondono sopra le travi nella stanza dei bambini. La casa di Jole diventa il nascondiglio per le armi portate via ai fascisti”. Allora Francesca Marazzi era una adolescente, essendo nata il 9 marzo 1928. Viene da chiedersi con quale attenzione e sagacia le autorità civili e militari del regime vigilassero su questo presidio partigiano dentro le mura cittadine.
Lasciamo ora i partigiani maschi e vediamo se la Resistenza cremasca ha avuto anche partigiane femmine. Si è già detto, negli articoli precedenti, che non erano femmine Saro Barbàra (per il quale la Commissione Regionale aveva invertito il nome e il cognome: Bàrbara Saro) e Prassede Cantaluppi. Dopo aver ascoltato con ammirazione la relazione di Giuseppe Azzoni sulle donne partigiane al Circolo Signorini di Cremona il 5 aprile 2013, ero convinto, come lo stesso relatore, della femminilità di Prassede. Anche perché la produzione editoriale locale dava Prassede per femmina (si veda, ad esempio, anche “Dritti nella tempesta” del 2015, p. 414). Va detto che nel 2009 era già uscito “Un tragico pomeriggio di Storia”, di Gianfranco Bruschi. Però la nostra cultura manzoniana continuava a trarre in inganno tanto noi cremaschi quanto le pubbliche autorità cremonesi (Sindaco compreso), fotografate in posa ufficiale sotto la lapide, scoperta nel 2016, con il Prassede elencato tra le partigiane femmine cadute. Cremona Sera ha dedicato due articoli alla questione, il 24 marzo 2021, per far presente la virilità del Cantaluppi, e il 16 maggio successivo (tolto il Cantaluppi, era stato introdotto nella lapide un nuovo mese solare, quello di “apile”, passando dal manzonismo letterario all’energia voltaica). Ma c’è di più. E stavolta non c’entrano i genitori, papà Ernesto e mamma Carolina Sagrada, che il 13 ottobre 1908 a Rosate avevano dato al piccolo Prassede quel nome. C’entra chi ha dattiloscritto sul suo tesserino partigiano il nome “Prassade” invece di Prassede. Per cui, si consiglia di non arrendersi nel consultare la base di dati dell’Istituto Centrale per gli Archivi e il relativo schedario “I Partigiani d’Italia”, dove Prassede non esiste e bisogna invece ricercare “Prassade”.
Ciò chiarito, abbiamo allora avuto a Crema e nel territorio cremasco delle “partigiane combattenti” o almeno delle “patriote”? La risposta è sì. Due di loro, in realtà, non erano partigiane in senso proprio. Sono infatti due “cadute”, come le persone già citate in precedenza che si trovavano per sfortuna nel posto sbagliato e nel momento sbagliato e che venivano colpite da proiettili vaganti o da raffiche di mitra sventagliate dalle colonne tedesche in ritirata. La prima è Cleonice Boschiroli (in altre fonti Domenica o Domenica Cleonice), nata a San Bernardino di Crema il 16 dicembre 1904. Il 27 aprile 1945 una colonna tedesca in ripiegamento, dopo essere sostata a San Bernardino, apriva il fuoco e colpiva alcuni civili, tra cui la Boschiroli. Come da tesserino partigiano, le è stata riconosciuta la qualifica di “partigiana caduta”. La seconda è Luigina Ribolzi, nata a Crema il 18 settembre 1896 (in un altro testo viene data invece come “di anni 29” alla data della morte), vedova di Clemente Pugliesi, anche lei colpita a Crema da un proiettile, per un mitragliamento, sempre il 27 aprile 1945. Nel suo caso non si sono rinvenuti riscontri sicuri di “partigiana caduta”, almeno sinora, ma si ritiene che, per lo meno, le possa essere stata attribuita la qualifica di “patriota”. Anche qui, le verifiche sono in corso.
Ma di “partigiane combattenti”, partigiane per davvero, ne abbiamo avute? Pare che un paio ci siano. La prima è Cecilia Bonsignori, fu Luigi, maritata Negri, nata a Vailate nel 1901, ivi residente, casalinga. Il riconoscimento di “partigiana combattente” della Commissione Regionale della Lombardia deriva dalla sua attività, dal settembre del 1943, in un Comando di Giustizia e Libertà. Viene poi incarcerata e rinchiusa a Bergamo fino alla Liberazione. La seconda è Filomena Salvatrice Metrico, nome di battaglia Raina, nata a Crema il 31ottobre 1924 da Antonino e Adelina Codebue. Il riconoscimento di “partigiana combattente” della Commissione Regionale dell’Emilia Romagna deriva dalla sua militanza nella formazione “Remo”, dal 10 luglio 1944 alla fine di aprile del 1945. Forse ne abbiamo anche una terza. Sandra Cassani, nome di battaglia Salva, potrebbe essere nata a Crema o averci avuto residenza (ma forse era milanese). Il riconoscimento di “partigiana combattente” della Commissione Regionale della Lombardia deriva dalla sua attività nella “1ª Squadra d’Azione Patriottica Ghinaglia”. Sappiamo che il suo nominativo appare nella 23ª Squadra, guidata da Paolo Tessadori, del 12° Plotone, guidato da Natale Cavalli, della 1 ª Brigata “Francesco Follo”. E sappiamo che, accusata di antifascismo, era stata imprigionata nel carcere della Provvidenza di Crema, nel quale sembrerebbe avvenuta una “tentata concussione” nei suoi confronti.
Si è visto nell’articolo del 28 febbraio scorso come Enrica Gandolfi, alla quale la sezione A.N.P.I. di Crema e del Cremasco è stata intitolata (a lei e al marito Francesco Ronchi) ed a cui è stata di recente intitolata una via cittadina in quanto “partigiana”, sia stata invece “non riconosciuta” dalla Commissione Regionale della Lombardia (elenco pubblicato nell’Albo Ufficiale del Comune dal 21 maggio al 26 giugno 1947, Prot. 5272), né come “partigiana combattente”, né come “patriota”. Forse, dopo questa bocciatura della Commissione, c’è stato un suo ricorso, con un riesame della Commissione e poi con un esito positivo della sua istanza? Come già si è detto in precedenza, si ringrazia chi fornirà conferma documentata di tale eventuale esito positivo.
Oltre a Enrica Gandolfi, ci sono alcune altre cremasche o del territorio cremasco che non si sono viste riconoscere dalle Commissioni regionali alcuna qualifica. Ad esempio, Ester Biolè, di Luigi, una della varie richiedenti che asserivano attività partigiane nell’ambito delle formazioni “Ghinaglia”. Invece è stata riconosciuta la qualifica di “patriota” ad Artemisia Lanzi, nata a Ricengo nel 1922, ivi residente, per aver militato nella 196ª Brigata Garibaldi.
Abbiamo poi il caso di Lina Brignoli (all’anagrafe Giacomina), di Francesco, sorella di Pietro Brignoli (e di Luigi Brignoli), nata a Castelleone il 19 (in alcuni documenti il 17) ottobre 1925. La sua famiglia risulta trasferita a Crema il 16 aprile 1940 e abita in via Ponte Furio. La Commissione Regionale della Lombardia le riconosce solo la qualifica di “patriota”, anche se la sua militanza presso il Comando del Raggruppamento “Ghinaglia” era stata rilevante e rischiosa e avrebbe meritato di più. Lina ha fatto le commerciali ed è una brava stenodattilografa, per cui a volte scrive lei i messaggi in codice da recapitare. Conosce bene i capi del Raggruppamento “Ghinaglia” e i capi della 1ª Brigata. Svolge un ruolo informativo, di collegamento e di tipo tattico molto importante. Non è mai stata coinvolta in scontri a fuoco ma ci è andata vicino. Se intercettata e fermata, non rischia solo di essere arrestata e torturata dalle forze di occupazione tedesche e dai repubblichini. Rischia la fucilazione. Lina è una ragazza volitiva, convinta delle sue idee, e subito dopo la Liberazione, ancora minorenne, è tra le fondatrici della sezione U.D.I. di Crema, il 25 luglio 1945. Se oggi qualcuno (forse) ricorda ancora i nomi di Felicita Seregni del PCI, di Olga Freri del PSIUP e di Caterina Casirani del Pd’A, nessuno si ricorda di quella ragazza nemmeno ventenne, probabilmente perché Lina Brignoli era stata l’unica a voler essere considerata in quella circostanza, riuscendoci, come “componente Apolitica”.
Negli anni successivi, anche Lina Brignoli, come suo fratello Pietro (a cui viene persino assegnato un avatar archivistico ed editoriale: “Giuseppe detto Pino”), scompare del tutto, silenziosamente, dalle cronache partigiane locali e dalla letteratura resistenziale cremasca. Il 6 giugno 1949, Lina sposa Luigi Zaniboni, che ha un anno più di lei. Avranno figli e nipoti e vivranno insieme una lunga esistenza, ricca di soddisfazioni affettive e familiari, fino alla scomparsa di Luigi, novantenne, il 3 novembre 2014. Lina viene a mancare, a quasi 95 anni, il 22 settembre 2020. Avevo saputo della sua esistenza e della sua storia e, pochi giorni dopo la sua scomparsa, le avevo dedicato un post su CremAscolta, con il titolo “La ragazza coraggiosa”. La nostra ultima partigiana (al di là della qualifica assegnata, molto riduttiva), se n’era andata in punta di piedi, dopo un’esistenza ritirata e discreta, senza fare alcun rumore. Abitava in via Samarani, a Crema Nuova, ed era sempre stata tra di noi. Però Crema si era dimenticata di lei. In altre città, ci avrebbero fatto un libro o un film. Ma si sa, noi cremaschi siamo fatti così.
Ringrazio le numerose persone che mi hanno contattato per darmi informazioni aggiuntive su questo argomento, rispetto a quanto indicato nei due articoli del 6 e del 28 febbraio, in particolare da Rivolta d’Adda, da Casale Cremasco, da Spino d’Adda e da Lodi. Alla fine del precedente articolo avevo sottolineato la necessità di proseguire nella ricerca dei nostri “partigiani combattenti” rimasti al di fuori degli elenchi redatti e pubblicati fino ad oggi. I 138 “partigiani combattenti” (113 senza i 25 della Divisione Acqui) a cui eravamo arrivati in precedenza sono in realtà molti di più. Vari archivi, sinora poco utilizzati, offrono nuove informazioni e interessanti documentazioni. Basti qui menzionare, a titolo meramente esemplificativo, il già citato schedario “I Partigiani d’Italia”, dell’Istituto Centrale per gli Archivi (Direzione Generale Archivi del Ministero della Cultura). Ma sono soprattutto le segnalazioni di molti lettori ad arricchire queste informazioni ed a facilitare la ricerca. Grazie a tutti.
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