20 gennaio 1945, quel bombardamento della Cavalli e Poli che distrusse l'azienda e provocò altri morti
Sotto le bombe del 10 luglio '44 morirono 132 cremonesi. Cremonasera in diverse occasioni si è occupato del drammatico avvenimento (leggi qui) che tanti lutti e distruzione portò (leggi anche qui). Qualche mese dopo arrivò (il 20 gennaio 1945) un altro bombardamento che distrusse la Cavalli e Poli e provocò altri lutti. Ecco lo straordinario racconto dell'evento di Lucia Zani, figlia del titolare dell'azienda nel suo "Passato remoto... ma non troppo"
"La guerra che ci aveva risparmiato fin verso la sua fine ci assestò ancora un colpo fatale che distrusse la gloriosa ditta "Cavalli e Poli". L'incursione avvenne il 20 gennaio 1945.
Si tratto di una pioggia di bombe incendiarie, che interessò il quartiere di San Bernardo e Borgo Loreto a poco più di sei mesi dal bombardamento ben più noto del luglio '44, del quale non fu meno gravido di conseguenze e le cui ripercussioni si sarebbero fatte sentire a lungo sulla città di Cremona; non per nulla la Cavalli & Poli era la fabbrica cittadina più vasta, che offriva lavoro a circa ottocento persone.
L'esiguità delle perdite in vite umane fu dovuta alla lungimiranza dei dirigenti che, dopo il bombardamento del 10 luglio che aveva toccato marginalmente lo stabilimento, aveva trasferito alcuni reparti in zone più lontane dalla ferrovia (ritenuta il principale obiettivo degli attacchi aerei). Ci si era preoccupati anche di salvare le macchine, che erano state negli ultimi tempi sotterrate, con la complicità degli abitanti del Borgo e del loro Parroco, quel sant'uomo di don Franco Amigoni (già cappellano militare nella prima guerra mondiale), che fu come un padre per i suoi parrocchiani e per le maestranze della Ditta, prodigandosi per loro in maniera eccezionale.
Cercare notizie sulla stampa dell'epoca é sommamente deludente.
L'unico giornale cittadino, "Il Regime Fascista", usciva in un solo foglio: la prima pagina del 21 gennaio 1945 reca notizie dai vari fronti di guerra e si favoleggia di avanzate o recuperi delle truppe tedesche. Sul verso si trova una colonnina di non più di venti righe dal titolo "Bombe nemiche su un rione della nostra città", in cui si dice: "Ieri mattina, in varie riprese, bombardieri anglo-americani hanno mitragliato, spezzonato e bombardato un quartiere, distruggendo tre case e facendo parecchie vittime. Della "Cavalli & Poli" non si fa cenno! Evidentemente si tende a minimizzare l'evento, anche se si parla di "parecchie vittime". La conferma che si tratta della cronaca dell'incursione sulla
"Cavalli & Poli" c'è nei necrologi, dove appare un annuncio della Ditta che comunica la perdita di Gino Sita (già responsabile della filiale di Londra prima delle sanzioni) e di Giuseppe Rossi, Giuseppe Frusconi e Giovanni Beccari. I nomi degli altri caduti bisogna probabilmente cercarli sulla stele che si trova entrando in Borgo Loreto. Ho cercato "La Vita Cattolica" di quel periodo; la sua pubblicazione salta dal 15 dicembre 1944 al 2 e al 12 febbraio del 1945. Sul numero del 2 dicembre (pure in unico foglio) non vi è alcuna notizia relativa alla città, se non riguardo alle celebrazioni natalizie. E' chiara l'intenzione di evitare la censura fascista. C'é però il significativo annuncio che il quotidiano cattolico "L'Italia" é costretto, "per difficoltà particolari", ad uscire solo settimanalmente. C'é poi un articolo, intitolato "Cristianesimo e dolore", che evidentemente vuole essere di conforto nella immensa tristezza del tempo.
Ma ecco i miei ricordi di quei giorni. Frequentavo la prima liceo classico del collegio Beata Vergine; al suono dell'allarme, scendevamo in cantina dove sembrava di essere in una fortezza. Su tavoli e panche ivi installati, si continuavano le lezioni.
Per due volte nel mese di gennaio, nella tarda mattinata, suonò l'allarme; per due volte sentimmo poco dopo un grande fragore. Non sono certa della successione degli eventi, ma una volta vennero colpiti una cascina (credo la Mainardi) vicina all'ospizio Soldi e il Mulino Rapuzzi e l'altra, premeditatamente, la "Cavalli & Poli'. Dico a ragione "premeditatamente", perché dopo l'evento circolò voce che lo spionaggio avesse segnalato la ditta per collaborazionismo con i tedeschi. Forse un ricognitore aveva avvistato due soldati della Wehrmacht che, all'aperto, fruivano di una sega per il taglio delle traversine che servivano per la ferrovia. La collaborazione si era fermata al prestito della sega, ma tant'è... La comparsa degli aerei fu improvvisa, in coincidenza con il segnale d'allarme.
A mio padre, Ulderico Zani e ai suoi collaboratori che si trovavano allo scoperto, non restò altro da fare che rifugiarsi in una baracca di legno nel cortile, deposito di legname, dove si trovavano. Erano in tre nella baracca e rimase vivo solo mio padre, seppure ferito alla testa; il signor Sita era stato ucciso dallo spostamento d'aria e così pure il falegname Rossi, che, particolare raccapricciante, aveva gli occhi fuori dall'orbita.
Le prime notizie dell’accaduto giunsero a casa mia verso mezzogiorno recate da mio cognato: era la seconda volta che scampava alle incursioni in zona, avendo già subita quella del 10 luglio. Si trovava nell'edificio degli uffici che fu risparmiato.
Mio padre, che per fortuna si era portato le mani a protezione del capo, se ne andò a piedi, tra la neve e il ghiaccio di quel terribile inverno, fino al vecchio ospedale, dove fu medicato alla testa; poi, sempre a piedi, tornò a casa e si mise a letto con un principio di commozione cerebrale. In quell'occasione manifestò tutta la sua forza d'animo: non era certo cosa da poco essere miracolosamente scampato con a fianco due collaboratori e amici morti; la distruzione della fabbrica, poi, doveva colpirlo particolarmente, avendola quasi vista nascere ed essendovi stato dirigente da tanti anni. Egli vi rimase fino alla morte, sopravvenuta il 30 settembre del 1972. Scherzando diceva che voleva morire alla "Cavalli & Poli", così da poter essere portato direttamente al vicino cimitero sulla carriola dell’”uomo del gesso". E fu colpito da ictus mentre, dopo la pausa di mezzogiorno, stava per recarsi allo stabilimento all'età di 86 anni!
Quella giornata del '45 fu gravida di conseguenze e rimarrà per sempre stampata nella mia memoria. Per la prima volta ricordo che vidi mia madre piangere, mentre tentava di sciacquare il sangue del quale era imbevuto il collo del cappotto (rivoltato) che mio padre indossava quel tragico giorno di un inverno terribile".
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