Lunga vita al Provolone Valpadana (formaggio di molti meriti)
L'indiscussa origine del provolone in Italia Meridionale, nella regione delimitata a Ovest dalla Penisola di Sorrento, ad Est da Gravina in Puglia e a Sud dalla Sila, è storicamente provata sia dalle denominazioni locali in uso (prova, provola, provatura etc.) sia dalle caratteristiche tradizionali di fabbricazione indirizzata soprattutto alle regioni meridionali. Dopo l'unificazione dell'Italia, che ha fatto conoscere le produzioni locali nelle altre regioni prima facenti capo a stati diversi, questa economia rurale non solo non era in grado di far fronte alle richieste dei formaggi a pasta filata da parte di un mercato più vasto, ma subiva anche un graduale e profondo mutamento a causa della sopravvenuta concorrenza delle produzioni lattiere nelle pianure del Nord, dove la maggior presenza di acqua, di vaste aree di pascolo e colture foraggere leguminose ricche di sostanza proteica, consentiva più economiche condizioni di allevamento. Tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, i più importanti operatori, trasferivano i caseifici nelle pianure della Valpadana insieme ai casari (e alle loro famiglie) capaci di fabbricare questo speciale formaggio. Un intero sistema produttivo, completo dalla produzione di materia prima alla trasformazione ed alla stagionatura, si trasferisce nella attuale area geografica, rimanendo nel Meridione alcune realtà marginali, che si dedicano soprattutto alla produzione di formaggi di pasta più tenera.
Emblematica è la storia della famosa azienda di Gennaro Auricchio S.p.A: l'azienda nasce nel 1877 a San Giuseppe Vesuviano (Napoli); agli inizi del secolo successivo l'attività produttiva viene traferita nella Pianura Padana e nel 1949 con il trasferimento della sede amministrativa a Cremona, il vecchio stabilimento produttivo in provincia di Napoli diventa una semplice filiale. Come spesso è ricordato dagli esponenti della famiglia Auricchio, la scelta di localizzare l'attività produttiva in Pianura Padana, si è rilevata una felice intuizione imprenditoriale che ha consentito di ottenere uno sviluppo dimensionale veramente ragguardevole, di entrate a far parte delle prime aziende lattiero-casearie italiane e di divenire leader di mercato, sia per il livello qualitativo delle produzioni, sia per le quantità commercializzate. Da segnalare, infine, una forte presenza nel mercato estero, anche quello dell’USA.
Negli anni '50 è stata stabilita la normativa nazionale e internazionale in materia casearia, che lasciava comunque spazio ad alcune difficoltà interpretative. I produttori, riuniti in Consorzio dal 1975 (ha sede in Cremona ed è presieduto da Libero Stradiotti, responsabile del caseificio Ca' de' Stefani) decidevano nel 1989 di porre fine ad ogni ambiguità, domandando il riconoscimento della zona di origine e dimostrando la storica esistenza di tutti gli elementi occorrenti.
L’opera di regolamentazione continua, e si arriva a formulare un disciplinare di produzione per il Provolone Valpadana DOP, che viene definito un formaggio tipico italiano semiduro a pasta filata, prodotto con latte crudo di vacca intero, raccolto all’interno di un’area geografica ben precisa (di cui all’art.2 dello stesso disciplinare, di fatto la Valpadana), ad acidità naturale di fermentazione. La coltura dei fermenti lattici utilizzata in fase di lavorazione deve essere siero a innesto naturale, proveniente da siero residuo della lavorazione precedente, che può essere sottoposto al processo di concentrazione; i sieri innestati devono essere lasciati acidificare fino ad ottenere la giusta acidità.
La coagulazione, operazione in cui avviene la separazione del siero dal coagulo, che comporta il primo cambiamento strutturale del latte (dallo stato liquido alla formazione di un gel solido), è ottenuta attraverso due modalità: per la tipologia dolce, con caglio di vitello; per la tipologia piccante, con caglio di capretto e/o di agnello.
Un’altra fase essenziale del processo di lavorazione è data dalla filatura della pasta. Viene effettuata dopo la fermentazione naturale lattica in modo continuativo esclusivamente su coagulo ottenuto nello stesso caseificio nel quale è avvenuta la lavorazione del latte.
Il formaggio ottenuto dopo la modellatura, il rassodamento, la salatura ed asciugatura, viene sottoposto alla stagionatura. Grazie a queste operazioni, la pasta può essere modellata nelle diverse forme caratteristiche, con acqua calda e speciale perizia, per essere poi sottoposta a salatura a scambio osmotico per immersione e quindi a stagionatura, la cui durata minima di 30 giorni può variare in relazione al formato ed ai correlati tempi di penetrazione salina. La stagionatura è il risultato di un insieme di fenomeni biochimici, determinati dalla presenza di enzimi del latte, del caglio e microbici, che comportano la degradazione di zuccheri, acidi organici, proteine e grassi, promuovendo lo sviluppo delle caratteristiche organolettiche del prodotto. Essa avviene in ambienti idonei per temperatura e umidità, all’interno della zona di produzione e il periodo varia in base al peso e alla tipologia di provolone, dolce o piccante.
In definitiva, si è imposto sul mercato un prodotto sicuramente dotato di specifici caratteri merceologici che lo differenziano nettamente dalle produzioni similari. A proposito è sufficiente considerare gli aspetti relativi al formato, al grado di stagionatura, al gusto, alla standardizzazione qualitativa.
Ma va messo a fuoco un altro, fondamentale, elemento: quello della sicurezza del prodotto. Qui va subito ricordata la complessa verifica apportata da vari organismi nazionali e internazionali di controllo sia sui formaggi con cottura della cagliata a lunga stagionatura (Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP) sia a pasta filata stagionati (Provolone Valpadana DOP).
Analoghi risultati sono scaturiti dagli studi realizzati negli Stati Uniti.
A questi accurati esami, si devono aggiungere quelli, recenti, effettuati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che ha dimostrato con evidenza scientifica che “il Provolone Valpadana DOP, prodotto con latte crudo, non supporti la crescita dei principali patogeni alimentari durante il processo e la stagionatura.” Alla ricerca, svolta presso la sede Centrale di Brescia - Reparto di Microbiologia degli alimenti, ha partecipato anche la dottoressa Claudia Sordi, che mi ha gentilmente fornito informazioni preziose.
Tutte queste verifiche e convalide sono importantissime, ma non permettono di abbassare la guardia: il rischio di contaminazione microbiologica, nelle diverse fasi della lavorazione del latte crudo, non è mai del tutto esorcizzato.
Questa concezione pone in primo piano, pertanto, la tematica delle metodiche di lavorazione del provolone e delle garanzie che esse devono fornire sul piano della salubrità e della qualità, a partire dal controllo dei processi microbiologici.
Essa richiama la generale problematica della sicurezza alimentare, intesa non come valore aggiunto ma come prerequisito di ogni processo di produzione e di commercializzazione degli alimenti. Ovviamente, in questo mio elaborato si può solo evocare questa complessa tematica, Tuttavia mi sembra opportuno concludere sottolineando i due fattori che sostanzialmente costituiscono la garanzia della sicurezza alimentare.
Il primo riferimento va alla normazione e all’azione di controllo delle istituzioni europee e nazionali, da considerarsi valide, mentre il secondo riguarda la validità delle tecnologie di produzione e del lavoro umano che le attiva.
Qui l’elemento fondamentale è rappresentato dal fattore umano. In Italia, competenza antica, cultura produttiva tradizionale si armonizzano positivamente con innovazione tecnologica e qualità organizzativa: questo permette che il tempo presente accolga i contributi del passato, ma rielaborandoli secondo le sue specifiche condizioni ed esigenze. Del resto, non è un caso che nel campo dei prodotti alimentari si assegni così grande importanza alla qualità del concreto processo tecnologico e produttivo da ritenere proprio gli operatori della produzione i primi responsabili della salubrità dei loro prodotti.
Tutto questo richiama la generale problematica della sicurezza alimentare, intesa non come valore aggiunto ma come prerequisito di ogni processo di produzione e di commercializzazione degli alimenti. Per fortuna, si può contare sull’enorme patrimonio di scienza, metodologia, tecnologia, esperienza e saggezza pratica che abbiamo accumulato nel tempo e consolidato nel presente. Ma questo patrimonio deve essere fatto fruttificare il più possibile impiegandolo in procedure produttive sempre più efficaci e innovative. Lo esige non solo la legislazione internazionale e nazionale, ma la realtà oggettiva, che con i suoi rapidi e radicali cambiamenti – nel clima, nei fattori inquinanti, nell’allevamento, nei processi produttivi, nelle richieste dei consumatori così come negli strumenti e metodi scientifici di controllo – chiama tutto il settore ad affrontare prove sempre complesse.
Anche a proposito del provolone, posto che l’agricoltura, la zootecnia da latte e l'industria casearia padana sono depositari di un patrimonio di conoscenze, tecnologie, forme e innovazioni che le consentono di presentarsi sul mercato con un prodotto veramente superiore per salubrità e qualità.
Finisco con alcune sintetiche considerazioni sull'importanza.Volendo sintetizzare in poche parole il ruolo ricoperto da questo formaggio, si può senz'altro affermare che, al pari delle altre prestigiose specialità della nostra industria di trasformazione, il provolone presenta varie peculiarità positive: a) un mercato molto sviluppato, specie al Sud Italia (la produzione di questo formaggio è inferiore solamente a quella del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano;
b) in termini delle quantità prodotte, delle aree geografiche servite, delle strutture di trasformazione e di stagionatura;
c) la rilevazione di una soddisfacente corrente di esportazione verso i principali mercati solvibili" (Comunità Europea, Stati Uniti, Canada, e da poco Australia) inoltre, la previsione di una buona suscettibilità a poter espandere ulteriormente il grado di penetrazione in questi mercati;
d) e, infine, una presenza radicata nelle abitudini alimentari italiane (con una scelta maggiormente rivolta al provolone dolce rispetto a quello piccante).
Insomma, l’augurio di lunga vita al provolone non è di certo una chimera.
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