Quella statua di Vittorio Emanuele II di Crema, tra slanci patriottici e bombe
Fa caldo, molto caldo, il tipico caldo afoso d’agosto. La piccola piazzetta è gremita di gente, arrivata dalle vicinie del centro, dai borghi cittadini, dai paesi circostanti, dal contado. Il momento è importante e tutti si accalcano intorno alla bassa cancellata che circonda la novità di cui si aspetta, da tempo, il disvelamento. Dalla contrada del Ghirlo, che tutti chiamano ancora così ma che da dieci anni è stata intitolata al protagonista dell’evento del giorno, continua ad arrivare gente, che si ammassa nello slargo urbano in cui si trova la cancellata con dentro il suo velato contenuto. È una piazzetta recente, uno slargo che si è creato solo tredici anni prima, come area di risulta dalla demolizione della chiesa di San Marino, quella più nuova, e del collegio confinante, proprio in fregio al Ghirlo. L’altra chiesa di San Marino, quella più antica, occupa ancora lo spazio a levante dello spiazzo di risulta, anche se l’intenzione di demolire pure questa costruzione, dando maggiore profondità alla nuova piazza, è ormai cosa nota. In questo caso, dopo l’ulteriore demolizione, la cancellata e il suo contenuto si troveranno al centro della nuova piazza allargata. Quest’area urbana ha già comunque un nome: piazza Roma. È stata chiamata così undici anni prima, due anni dopo la sua creazione dovuta a quei primi abbattimenti edilizi. L’intitolazione è avvenuta nello stesso mese del plebiscito per l’annessione al Regno della nuova capitale e delle province romane, proprio per significare l’importanza di quell’avvenimento, che ha restituito Roma all’Italia e al popolo italiano. La piazza manterrà questo nome fino al 1959.
Fa molto caldo, quel 7 agosto 1881, in centro a Crema, il tipico caldo immobile di pianura, senza un alito di vento. Purtroppo sono assenti i sovrani, pare per un pasticcio combinato dal municipio, che ha sbagliato i tempi e i modi dell’invito. Il comitato promotore di questa iniziativa, che già aveva avuto dissapori con le autorità municipali per certi loro comportamenti, se l’è presa molto per tale motivo con la giunta locale. Però, anche se a questa cerimonia di inaugurazione mancano Umberto e Margherita, almeno sono presenti tutte le autorità pubbliche, civili, militari, anche religiose (nonostante le scomuniche che il personaggio festeggiato e diversi suoi ministri si erano presi per aver fatto l’Italia), i rappresentanti provinciali e quelli dei Comuni del circondario, gli esponenti delle associazioni e delle categorie professionali, i notabili locali e i personaggi di spicco della cultura cremasca. Una massiccia partecipazione popolare e una presenza significativa dell’aristocrazia e della borghesia cittadina testimoniano l’affetto dei cremaschi per il primo Re d’Italia, venuto a mancare tre anni e mezzo prima. La sua scomparsa, il 9 gennaio 1878, aveva provocato tra gli italiani, anche tra i cremaschi, sentimenti di cordoglio generalizzati e sinceri. A Crema da allora si aspetta questo momento.
Ormai ci sono tutti. E ci sono bandiere, labari, inni, fanfare, picchetti militari, veterani delle campagne per l’indipendenza con le loro medaglie, le loro ferite, i loro occhi lucidi dall’emozione, i loro orgogliosi segni distintivi reggimentali. Il caldo innervosisce i numerosi cavalli presenti, montati in ordinanza di parata. Sono stipati e irrequieti, ogni tanto devono essere trattenuti passando alla redine del morso. Nonostante l’addestramento, la concitazione della folla circostante li fa agitare e faticano a mantenersi nei ranghi. Adesso salgono sul palco i maggiorenti e i discorsi si susseguono. Molti gli applausi, tanti i ricordi, grande la commozione. E arriva il momento. Il lungo telo che avvolge il monumento viene tolto. Appare la statua del Re, scolpita dal celebre scultore Francesco Barzaghi, la statua di Vittorio Emanuele II, accolta da uno scrosciare di applausi e dal tripudio della folla. La scultura ha il fronte rivolto a ponente ed è collocata su un alto basamento, di modo che l’intero monumento risulta alto all’incirca due trabucchi e mezzo e domina quindi la piazza. La statua del Re Galantuomo piace subito, ha una presa immediata sugli sguardi dei presenti, questo Re di marmo è proprio come era da vivo, come deve essere un Re, come i cremaschi l’hanno sempre immaginato, come qualcuno di loro l’ha anche direttamente conosciuto, a corte, in parlamento, sui terreni di guerra.
Da quel momento, la statua del Re rimane per molti decenni, precisamente per sessantacinque anni, al centro della piazza, dove le nuove demolizioni rendono l’area più grande e urbanisticamente più importante. Resta per i cremaschi una presenza visibile, concreta e al tempo stesso simbolica, del processo di unificazione nazionale, delle battaglie per l’indipendenza, del Risorgimento italiano e anche cremasco, visto che molti in città hanno combattuto per la nuova Patria, per la nuova Italia. Diverse famiglie cremasche hanno perso un figlio, un marito, un padre nelle guerre per l’indipendenza italiana e molti sono i reduci che allora portano ancora i segni delle ferite e delle menomazioni subite sui campi di battaglia. Il monumento del Re assiste nel tempo alle vicende storiche che avvengono a Crema, in alto sul suo piedistallo a rappresentare emblematicamente con continuità il senso e il significato dell’essere diventati italiani, uniti e indipendenti dal dominio straniero. E assiste anche alle trasformazioni edilizie che avvengono nello spazio urbano che si trova intorno a lui, dalle demolizioni del 1887 all’edificazione dell’Istituto Musicale Folcioni, inaugurato nel 1919; dal rifacimento in stile liberty del cinema Cremonesi nel 1923 (poi demolito per far posto alla nuova sede Cariplo nel 1968) alla trasformazione della facciata dello stesso Folcioni nel 1934, mentre sul lato di via Porzi rimane il vecchio fronte edile settecentesco, unica sopravvivenza del precedente palazzo Vailati.
Durante i decenni seguenti la statua del Re costituisce dunque un riferimento urbanistico ma anche patriottico e affettivo per tutta la cittadinanza, insieme al successivo monumento a Giuseppe Garibaldi, opera dello stesso scultore, Francesco Barzaghi, inaugurato nell’omonima piazza il 6 settembre 1885, tre anni dopo la scomparsa dell’Eroe dei Due Mondi. Fino al 1924 queste saranno le due principali statue monumentali di Crema. In quell’anno diventeranno tre, con l’inaugurazione del monumento ai Caduti, chiamato anche l’Arciere, il 17 maggio di quell’anno, alla presenza di S.A.R. Umberto di Savoia. Opera di Arturo Dazzi, il monumento è posto in piazza Trieste, così denominata a partire dal 1918, che diventerà nel 1970 piazza Trento e Trieste. Questi tre monumenti restano ancor oggi un patrimonio fondamentale della statuaria monumentalistica cremasca.
Facciamo però un passo indietro, all’inizio del progetto di edificazione del monumento a Vittorio Emanuele II. Vediamo che cosa era successo e come tutto era iniziato. Tre giorni dopo la morte del Re, il 12 gennaio 1878, la Gazzetta di Crema dà voce a coloro che propongono una sottoscrizione per erigere un monumento cittadino al Re Galantuomo. La popolazione del territorio cremasco è rimasta molto colpita e addolorata alla notizia della sua scomparsa e subito si iniziano a raccogliere i primi contributi. Nel successivo mese di febbraio si costituisce un comitato per promuovere ufficialmente questa iniziativa. Ne fanno parte Pietro Donati, che ne è il presidente, Paolo Samarani, che funge da segretario, e Giovanni Battista Pivetti, con l’incarico di cassiere. Gli altri cinque componenti sono Angelo Bacchetta, Emilio Bruschini, Franco Fadini, Carlo Lovera e Paolo Premoli. Chi conosce la storia cremasca sa chi siano e quale rilevanza abbiano allora tali personaggi, soprattutto alcuni di loro.
Tra il 1878 e il 1881 questo comitato riesce a raccogliere i fondi necessari all’impresa e a realizzare il progetto di edificazione del monumento. Tra i vari artisti possibili, si ritiene di commissionare la statua allo scultore Francesco Barzaghi, dopo l’approvazione dell’assemblea dei sottoscrittori tenutasi il 5 gennaio 1879. Operando tale committenza, ci si assicura un nome di spicco nello scenario della monumentalistica dell’Ottocento italiano. L’opera precede nel tempo le ulteriori statue di Vittorio Emanuele II realizzate da questo scultore per alcune altre città italiane, tra le quali Lodi, Bergamo e Genova. Il risultato è una statua in marmo di Carrara avente un’altezza di 2,85 metri e poggiante su un piedistallo di 4,15 metri, per un’altezza complessiva di 7,00 metri. Riguardo a questo sovrano, va anche detto che dal 1871 un ampio tratto dell’antica contrada del Ghirlo, compresa la parte prospiciente la piazza, era stato intitolato proprio a Vittorio Emanuele II. Oggi l’intera via è intestata a Giacomo Matteotti, mentre al primo Re d’Italia resta intitolata soltanto la galleria che collega la piazza all’attuale via Mazzini, già contrada Serio.
Le vicende che portano, tra il 1878 e il 1881, all’inaugurazione della statua del Re a Crema sono desumibili da varie fonti d’archivio coeve. In particolare, i verbali del consiglio comunale e l’apposita relazione predisposta dal comitato promotore al termine del progetto offrono informazioni di sicuro interesse in proposito. L’elenco dei numerosi sottoscrittori che contribuiscono a finanziare l’opera, inoltre, fornisce indicazioni piuttosto significative sul livello di coinvolgimento dei cittadini cremaschi. Anche gli articoli di giornale apparsi in quel periodo sulla stampa locale, sullo svolgimento del progetto e sulla cerimonia di inaugurazione, ci danno notizie utili per comprendere l’andamento dei fatti. Riguardo alle dinamiche esistenti tra i vari soggetti coinvolti nell’iniziativa, emerge una situazione di non sempre facile convivenza progettuale tra il comitato e la municipalità cremasca, quasi un gioco di ruoli tutt’altro che pacifico tra il gruppo promotore e l’istituzione locale. La vicenda dell’invito a Umberto I e alla consorte Margherita per la cerimonia di inaugurazione e della loro rinuncia a partecipare all’evento è solo uno degli esempi, forse quello principale, di un disallineamento progressivo tra le posizioni del comitato promotore, in particolare dell’avv. Pietro Donati, e del municipio cittadino, in particolare del sindaco, l’avv. Francesco Zambellini. In ogni caso, si giunge infine all’inaugurazione ufficiale del monumento e quindi al positivo coronamento dell’impresa, in un contesto di grande e sentita partecipazione collettiva popolare. Per maggiori informazioni in proposito, oltre alle fonti d’archivio coeve citate, si veda Insula Fulcheria XLVI, 2016, pp. 235-254, testo scaricabile in rete.
Facciamo ora un passo in avanti e arriviamo alla seconda guerra mondiale e all’immediato dopoguerra, con l’arrivo degli Alleati. Crema è subito divisa da forti passioni e polemiche politiche, innescate già durante il periodo bellico, che animano i partiti contendenti e le fazioni elettorali. La guerra in realtà non è cessata del tutto. Le fucilazioni al Campo Sportivo, gli altri episodi di ritorsione e vendetta, una certa sovrapposizione di ruoli e competenze rendono lo scenario di quel periodo molto confuso, turbolento e, ancora oggi, di difficile decifrazione riguardo a talune gravi decisioni e responsabilità. Il problema dell’ordine pubblico è notevole e occorre tempo perché il Commissariato di Polizia e la Tenenza dei Carabinieri possano opporre la legge e l’ordine all’arbitrio e alla licenza. Le armi non vengono consegnate da tutti, come previsto dalla normativa allora emanata in proposito. Tanto che alcuni, come un noto personaggio di Romanengo, vengono incarcerati per questo motivo, salvo poi evadere per negligenza o più probabilmente per connivenza del responsabile delle carceri di Crema. Alcuni arsenali cittadini con residuati bellici non si smobilitano e in determinati luoghi esistono ancora scorte di fucili, pistole e munizioni. In particolare, restano in giro parecchie cariche di esplosivo, con i relativi inneschi e altro materiale per il loro utilizzo.
Il 2 giugno 1946 si svolgono anche a Crema le votazioni per il referendum, indetto per scegliere tra la monarchia e la repubblica, oltre che per l’elezione dei componenti dell’assemblea costituente. La statua del Re diventa oggetto di attacchi ripetuti e spesso ingiuriosi da parte di un certo schieramento politico, i cui organi di stampa indicano all’opinione pubblica il monumento di Vittorio Emanuele II come uno degli obiettivi cittadini della lotta antisabauda. Se ne chiede a gran voce la rimozione e qualcuno ne pretende anche la materiale distruzione. Tre mesi prima del referendum e delle elezioni per la costituente, in piena bagarre politica ed elettorale, nella notte tra martedì 12 e mercoledì 13 marzo 1946, la statua era stata ricoperta quasi interamente da una vernice corrosiva rossa, che aveva provocato notevoli danni al marmo, intaccandolo in modo grave. Ovvio il significato politico di tale coloritura. Con evidenti strumentalizzazioni politiche di facile presa mediatica su una certa parte dell’elettorato, vengono addebitati al primo Re d’Italia, che sui terreni di guerra non si era mai tirato indietro, gli errori e le pusillanimità del nipote Sciaboletta, fuggito a Brindisi con l’argenteria di famiglia mentre i nazisti fucilavano gli ufficiali e i militari italiani e trucidavano i civili inermi. Ma si sa, la propaganda politica porta a questo e altro. In ogni caso, colpisce come da Carlo Alberto al Re di Maggio si sia assistito, nella storia del Regno d’Italia, a un costante e progressivo decadimento della tempra e della stoffa dei suoi sovrani, volendo considerare tra di loro, con un certo meritato anticipo cronologico istituzionale, anche il Re Magnanimo. Di sicuro, il secondo Re Carignano, effigiato nella statua eretta a Crema, è ancora pienamente all’altezza del suo ruolo e del compito, storicamente molto difficile eppure da lui pienamente svolto, di fare l’Italia. Altri poi, dopo di lui, soprattutto nel ventesimo secolo, saranno non solo i sovrani ma soprattutto i politici e gli uomini pubblici che la disferanno.
Si giunge così al fattaccio. Nelle prime ore notturne tra martedì 11 e mercoledì 12 giugno 1946, una forte esplosione in piazza Roma sveglia di soprassalto i cremaschi residenti in centro città e infrange, per la sua forza d’urto, numerosi vetri delle abitazioni e dei negozi circostanti, posti a parecchi metri di distanza. Si tratta di un attentato esplosivo al monumento di Vittorio Emanuele II, che viene danneggiato in modo così grave da non poter più restare sul basamento, rischiando di rovinare sui passanti. Dopo la perizia dell’ufficio tecnico comunale, il municipio decide la rimozione dell’intera struttura monumentale. I pezzi residuati dall’esplosione vengono accatastati abbastanza alla rinfusa in un’area cortilizia di servizio posta dietro l’ex convento di Sant’Agostino, adibito a caserma fino al 1945 e poi utilizzato come ricovero per le famiglie degli sfollati fino al 1959. In quest’anno l’intero complesso del Sant’Agostino, con le sue varie accessioni e pertinenze urbane, viene ceduto dal demanio al Comune. Il 21 maggio 1960 vi è inaugurato il Museo Civico di Crema, con l’istituzione del Centro Culturale Sant’Agostino, comprendente la biblioteca e la pinacoteca. Intanto, i resti della statua del Re restano sempre esposti alle intemperie nel cortile retrostante, insieme a vari materiali di risulta e inerti edilizi, abbandonati alle erbacce e all’oblio. Resteranno in queste condizioni per molti decenni. Nel frattempo, nel 1959 la piazza Roma viene intitolata a Vittorio Emanuele II, contestualmente all’intitolazione della nuova via Matteotti. Oggi la piazza è intestata ad Aldo Moro.
Va detto che l’attentato dinamitardo al monumento di Vittorio Emanuele II è solo uno di una lunga serie di attacchi esplosivi messi in opera nell’ambito di una vera e propria strategia intimidatoria. Si tratta di un disegno criminoso generale, che configura una continuazione di reati posti in essere a Crema (e in parte anche nelle località vicine) con caratteristiche operative e con modalità di esecuzione ricorrenti. La scelta dei bersagli ha un evidente significato politico. Una delle prime bombe che esplodono in città è quella contro l’abitazione di Cristoforo Maggioni, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1945. Un’altra bomba è lanciata contro casa De Grazia, in via Dante Alighieri, nella notte tra il 20 e il 21 novembre 1945. La sera del 3 dicembre 1945, allo sbocco della via XX Settembre sulla piazza San Martino, oggi piazza Giovanni XXIII, un altro ordigno esplosivo provoca la rottura di numerosi vetri e panico tra gli abitanti della zona, probabilmente come ritorsione verso due residenti con determinati trascorsi militari.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1945, come regalo di Santa Lucia, la banda degli attentatori colpisce la sede della DC cittadina, un’azione che segna una escalation notevole in termini criminali e toglie alla maggioranza dei cittadini cremaschi gli ultimi dubbi residui sulla matrice politica degli attentati, orientando di conseguenza i sospetti di molti sulle forze operative materialmente esecutrici delle esplosioni. Tutto lascia intendere che gli autori debbano essere del luogo e non sono molti i soggetti residenti, abituati ad agire facendo squadra, che hanno la necessaria conoscenza del materiale esplosivo e del tipo di innesco utilizzati con tale frequenza. Il Commissario di Polizia Mario Rattazzi e il Maresciallo Maggiore dei Carabinieri Angelo De Rosa non possono evitare di indagare su fatti così gravi e sempre più frequenti. Il numero delle azioni criminose si fa infatti notevole. Risulta evidente la ripetitività delle circostanze di reato ed è facilmente intuibile la struttura organizzativa necessaria per consentire ai colpevoli le necessarie connivenze, coperture e impunità.
Il 16 gennaio 1946 viene lanciata una bomba a mano contro il Teatro Nuovo, allora adibito a cinema, oggi Teatro San Domenico. Si pensa inizialmente a un attentato fascista ma poi le indagini portano a dubitarne. La notte tra domenica 17 e lunedì 18 febbraio 1946 viene lanciata una bomba sul balcone dell’abitazione di Guido Crivelli, vicesindaco democristiano di Crema. Nella notte tra mercoledì 20 e giovedì 21 febbraio 1946 un’altra bomba è fatta esplodere nella Stretta Grassinari, vicino allla porta di servizio del Caffè Commercio. Si è detto del danneggiamento “in rosso” della statua del Re nella notte tra il 12 e il 13 marzo. Arrivano le elezioni amministrative, che si svolgono nelle due tornate del 31 marzo e del 7 aprile 1946 per molti Comuni del cremasco (a Crema e in altri Comuni si svolgono invece il successivo 6 ottobre).
Nella notte tra l’1 e il 2 aprile, dopo le elezioni, a Sergnano vengono lanciati ordigni esplosivi contro le abitazioni di diversi esponenti locali della DC, risultati vincitori in quella tornata elettorale. Nella notte tra l’11 e il 12 giugno, come si è detto, pochi giorni dopo il referendum costituzionale, il monumento a Vittorio Emanuele II viene fatto saltare con una carica esplosiva e viene poi rimosso. Tra il 22 e il 23 giugno 1946 il monumento ai Caduti di piazza Trieste viene lordato di fango e da una notevole quantità di una sostanza organica dall’inequivocabile significato spregiativo. Non è un attentato dinamitardo come gli altri ma la popolazione ne resta ugualmente amareggiata e scandalizzata. La notte tra lunedì 24 e martedì 25 febbraio 1947 la banda degli attentatori colpisce la sede dell’Uomo Qualunque in via Frecavalli, un altro gesto intimidatorio direttamente politico. Gli orari, le modalità di esecuzione, il tipo di esplosione sono quelli soliti e presuppongono sempre un’organizzazione operativa esperta di inneschi e materiali esplosivi e ben collaudata nel suo insieme. Nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 dicembre 1947, un’altra bomba viene lanciata contro casa De Grazia, dopo quella fatta esplodere due anni prima. Nel luglio 1948, dopo l’attentato a Togliatti, viene buttata una bomba contro la casa di Dafne Bernardi in via Piacenza, nel tratto oggi divenuto via Kennedy.
L’attentato esplosivo contro la statua del Re fa quindi parte di una strategia ben precisa. I mandanti politici e gli esecutori materiali non saranno mai individuati, anche se a Crema, sin da allora, molti cittadini e molte famiglie locali maturano in proposito convincimenti piuttosto precisi. Saranno comunque messi in opera alcuni tentativi di depistaggio delle indagini. Un primo tentativo di sviamento avviene subito dopo l’attentato al monumento, pretendendo di incolpare del reato un noto medico cremasco, forse verbalmente piuttosto esuberante in termini politici nell’immediato dopoguerra ma certamente estraneo al fatto. Il medico reagisce da par suo e la calunnia muore sul nascere. Un altro tentativo è messo in opera, con maggior accortezza, parecchi anni dopo l’attentato e pare per qualche tempo riuscire a indirizzare l’opinione pubblica su una certa versione dei fatti, basata su testimonianze indirette e scarsa attenzione alle fonti d’archivio, e su un determinato personaggio indicato come presunto autore, guarda caso ormai defunto. Ne risultano purtroppo coinvolte anche persone in buona fede. Poi però questo tentativo trova smentita in un più accurato esame dei fatti e delle dinamiche riguardanti l’evento specifico e la serie di azioni criminose nella quale quell’evento era inscritto. Fatto sta che a tutt’oggi manca un accertamento giudiziario dei veri colpevoli. Anche perché nel frattempo nessuno di loro, per ragioni anagrafiche, risulta più in vita. La vicenda riveste quindi ormai unicamente un interesse di natura storiografica e non più penale. Per maggiori informazioni in proposito, si veda Insula Fulcheria XLVII, 2017, pp. 383-415, testo scaricabile in rete.
Torniamo ora ai pezzi della statua del Re abbandonati tra le erbacce e lasciati sotto le intemperie per diversi decenni, nell’area cortilizia di servizio dietro il Museo di Crema, tra mucchi di macerie e cumuli di rifiuti di vario genere. Così come il monumento era rimasto posizionato in piazza Roma per sessantacinque anni, per altri sessantacinque anni, dal 1946 al 2011, i suoi resti rimangono dimenticati (con qualche indebita sottrazione) e negletti, tanto che sempre meno persone in città sono al corrente della loro esistenza. A un certo punto, anche in vista del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, nel 2010 si costituisce a Crema un comitato promotore del restauro e del riposizionamento del monumento di Vittorio Emanuele II nella sua piazza originaria. Anche questo comitato è composto da otto membri e inizia a raccogliere fondi per realizzare il progetto. L’amministrazione comunale in carica esprime il proprio consenso all’iniziativa. Contestualmente alla raccolta fondi il comitato svolge tutte le pratiche necessarie con i vari enti interessati, a partire dalla soprintendenza e dagli altri uffici pubblici preposti a tali operazioni. Dal 2011 i pezzi della statua vengono prelevati e diventano oggetto di restauro presso un laboratorio locale specializzato, in grado di svolgere attività di recupero così complesse. Alcune parti della statua vanno ricostruite e i vincoli posti dalle autorità competenti rendono necessaria la massima fedeltà all’originale. Ne seguono indagini e studi che consentono una ricostruzione esatta del monumento inaugurato nel 1881. Anche il piedistallo viene restaurato in piena aderenza all’originale. Il posizionamento, d’intesa con le autorità locali, viene confermato nella piazza originaria, ora intitolata ad Aldo Moro, però non al centro dell’area ma sul lato di ponente, con le spalle all’aiuola posta in fregio alla via Matteotti e con il fronte rivolto a levante, così che il grande ginkgo biloba cresciuto nel frattempo faccia da quinta naturale al monumento.
Negli anni successivi, con il cambio di amministrazione comunale, viene a mancare al comitato l’appoggio dell’istituzione municipale, soprattutto di una certa parte politica in essa presente. Inoltre non mancano sulla stampa locale di un certo orientamento ideologico le critiche al progetto, più che altro basate sulla figura di Vittorio Emanuele II, ritenuta non meritevole di simili attenzioni. Viene anche contestato al comitato il ricorso a sovvenzioni pubbliche, visto che per realizzare l’opera sono stati richiesti interventi economici alla regione e alla soprintendenza, peraltro minoritari rispetto alla raccolta fondi complessiva, basata soprattutto sui contributi di privati. Tuttavia ormai il progetto è avviato su determinate premesse e autorizzazioni pubbliche. I rapporti tra il comitato e il municipio si stabilizzano in modo corretto. La cittadinanza risponde nel suo complesso in modo molto positivo al riposizionamento del monumento del Re in centro città. Le operazioni di restauro e ricostruzione sono compiute dall’impresa incaricata nei tempi e nei modi pianificati dal comitato. La sottoscrizione pubblica porta a una disponibilità economica sufficiente per concludere positivamente il progetto.
Su un budget complessivo di circa 150.000 euro, dovuto soprattutto alla complessità delle ricostruzioni lapidee e alle difficoltà tecniche incontrate per realizzare l’opera, poco più di un terzo è raccolto da associazioni, imprese e altre realtà private; meno di un terzo è raccolto da privati cittadini, cioè da persone fisiche e famiglie locali; poco più di un terzo è raccolto da enti pubblici, in gran parte dalla regione Lombardia, intervenuta nell’ambito di un piano generale di erogazioni finalizzate a simili progetti. Il Comune di Crema non offre alcun importo. Però il sindaco partecipa meritevolmente alla cerimonia di inaugurazione del monumento restaurato, dando responsabilmente un segnale di sostanziale accettazione e condivisione istituzionale. Questa cerimonia si svolge il 7 settembre 2013, con un’ampia partecipazione della popolazione e con folta presenza di autorità e rappresentanti pubblici. Una manifestazione promossa da alcuni oppositori all’iniziativa viene gestita dalle forze dell’ordine in modo da evitare turbative e molestie all’evento, che si conclude con la generale soddisfazione di tutti per il positivo risultato conseguito a favore di Crema e dei cremaschi.
Foto 1 e 2 – Due immagini della statua del Re prima dell’attentato esplosivo del 1946.
Foto 3 – Un’immagine della rimozione del monumento poco tempo dopo l’attentato.
Foto 4 – Un momento dell’inaugurazione del monumento restaurato, il 7 settembre 2013.
Foto 5 – La statua del Re oggi.
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