8 ottobre 2023

Storie di casa nostra. Settant'anni fa sulla riva destra del Po

Dopo aver raccontato cosa accadeva nel 1947 sulla riva sinistra del Po e la vita a Gussola dei bergamini (leggi qui), Giorgio Peri getta lo sguardo su come si viveva oltre il fiume. 

Tranquillo, sicuro e senza nessun peso sul suo animo infantile per l'assenza della madre, a tre anni Egidio si trovava a casa dei nonni. In Emilia l'estate era afosa e la sera era piena di grilli, zanzare, falene e pipistrelli; salendo la scala buia verso le camere da letto si parlava con voce grave, la nonna portava una candela, la sua fiammella illuminava fiocamente i gradini e, palpitando,  faceva traballare le ombre sui muri con l'intonaco inscurito dal tempo.

 Al mattino presto,  con l'aria ancora fresca sotto il verde di alberi annosi, Egidio vagava già in cortile alla scoperta del mondo: lunghe file di formiche nere sul rosso dei mattoni ben connessi sopra l'aia; nidi minacciosi di vespe iraconde nelle crepe dei pali, puntini azzurri dei miosotis tra ciuffi di erba smeraldina; in mezzo al prato, lì di fronte, un grande melo lasciava cadere i frutti bacati ancora acerbi, avevano la polpa asprigna e la buccia pelosa; dietro la casa grugnivano e strepitavano i maiali nella porcilaia che aveva il pavimento levigato a piastrelle esagonali rosse; di fianco si apriva la stalla con vacche un po' sudice, perché dormivano sul pavimento in mattoni ormai impregnati di lordura. Alla fine di un piccolo tratto di viale ombreggiato da tigli, oltre la cancellata sempre aperta, la strada diritta e polverosa era transitata da carretti lenti a due o a quattro ruote di legno, raramente  anche da qualche isolata automobile che si capiva che era nera, nonostante fosse tutta coperta dal bianco della polvere. 

Da là arrivava il postino in bicicletta con le ruote crepitanti sulla ghiaia ben spianata; chiamava forte: “Risdora!” La nonna dall'interno rispondeva “Venite! …. Che nuove?” Parlavano attraverso la finestra della cucina: “Prendete un bicchiere di Lambrusco?” Il postino beveva. Saltuariamente arrivava anche l'ambulante con il suo carro a vetrina che dondolava carico di ogni mercanzia esposta in bella mostra: stoffe, ciabatte, stoviglie, pentolame di rame e di alluminio, camicie rustiche e vasi da notte in smalto bianco. La nonna prima di ogni acquisto discuteva e si informava mentre il cavallo, con grandi paraocchi quadri, allungava il collo e fiutava la terra. Trainati da due bianchi buoi, tarchiati, nerboruti e con le lunghe corna curve, gli altri carri per i lavori agricoli, muovendosi con flemma grave, arrivavano dalla stradicciola posteriore che, senza avere neanche i fossi laterali,  dava direttamente alla campagna. Dopo la fienagione, per tutta la notte si udiva in lontananza il pompare degli scoppi vigorosi e calmi del Landini che irrigava i campi riarsi dalla calura  estiva. 

Era un dramma per Egidio prendere il lassativo: il disgustosissimo olio di ricino; però a tre anni  non poteva proprio rifiutarsi, doveva infatti ingoiarlo assieme con il rosolio; la zia certo non immaginava che l'abbinamento dei due sapori non migliorava, ma esaltava enormemente il gusto ributtante della medicina. Nel caseificio vicino alla porcilaia lavoravano gli zii e lì producevano il formaggio “Grana”, tipico di Parma. In quel luogo la fonte di spettacolo era inesauribile; ben inteso: tutto attirava l'attenzione, ma nulla suscitava in lui meraviglia. Due caldere enormi a cono rovesciato avevano la punta che pareva conficcata nel pavimento in piastrelle lucide, tenute pulite con frequenti secchiate di acqua. All'esterno le caldere erano verniciate di azzurrino, quando lo zio lo alzava per gioco, facendo il gesto di buttarlo dentro, Egidio vedeva il rosso del rame della superficie interna  lucida a specchio; poi c'erano manovelle nere, piccole valvole gialle di ottone e le lancette di misteriosi strumenti di misura dietro le loro lenti. Appoggiati al bordo dei coni gli zii con movimenti larghi vi mestolavano lentamente il latte contenuto, utilizzando lunghi arnesi sottili fatti di legno slavato dall'acidità; prima il latte si trasformava in un liquido lucido e gelatinoso, poi in tanti granellini bianchi che galleggiavano nel loro siero. Per fare il formaggio si pescavano con un telo tutti i granellini, si facevano scolare e quindi si comprimevano dentro una fasciatura cilindrica di legno mentre erano anche pressati, tramite un asse tondo, da un grosso sasso grigio posato sopra. Il siero che restava nella caldera serviva per il pasto dei maiali nella porcilaia lì vicino.

 Gli zii gli facevano assaggiare tutto l'assaggiabile, il liquido gelatinoso era acido, non certo buono, però era meglio che l'olio di ricino e produceva il medesimo effetto; i granellini bianchi invece erano buoni, gommosi e dolci come il latte. Egidio si chiedeva come mai, mettendo del latte, che in realtà era panna liquida, dentro un barile che ruotava, dopo un po' di tempo se ne traeva una massa giallognola e quasi cerosa, che era il burro. La caldaia tutta nera, con la bocca enorme e rosseggiante di fiamme, rumoreggiava nel locale adiacente ed anche lì si potevano vedere tubi, manovelle tonde e pennacchi di vapore. Facendo arrivare il vapore bollente dentro una vecchia botte si cuocevano le patate di scarto destinate ai maiali: gli facevano assaggiare anche quelle e, benché piccole, erano buonissime. Per stuzzicarlo uno zio ogni tanto l'apostrofava: “Ti tsi 'n sac ad merda!” Non era il caso di prendersela e allora lo zio lo afferrava come una fascina e faceva il gesto di scaraventarlo all'interno della gran bocca aperta della caldaia: questo era troppo e quindi, se doveva frequentare gli zii, preferiva quell'altro, che era più manierato.

 Poi arrivava Pasquale, il garzone, col quale potevano presentarsi interessanti diversivi. Una volta la settimana Pasquale aiutava la nonna ad impastare il pane con la gramola tutta in legno levigato dall'uso. Da una parte della panca la nonna sedeva di lato, Pasquale sedeva a cavalcioni dall'altra e con cadenza regolare , incurvando la schiena, spingeva con le due mani sopra un manubrio collegato con l’asta che si abbassava, pressando la pasta, e subito si rialzava, la nonna toglieva svelta la schiacciata, la ripiegava e, rivoltandola senza perdere il ritmo, la rimetteva in fretta sotto quell’asta,  che, premendola di nuovo, la ristendeva. La pasta eventualmente avanzata dopo aver formato i pani da cuocere, serviva per fare un panetto a forma di papera per Egidio. 

Il pomeriggio, sabato e domenica compresi, Pasquale attaccava il cavallo al carretto, faceva il carico di bidoni in alluminio dall'odore pungente di metallo e di latte inacidito e quindi partiva verso la stradina posteriore per la raccolta del latte da conferire al caseificio degli zii. Qualche volta la nonna faceva sedere il nipotino alla cassetta e per Egidio era una festa, perché poteva tenere le redini e gli sembrava che il cavallo, il quale conosceva la strada da solo, obbedisse ai suoi ordini ; poi andavano in lungo e in largo su quelle strade polverose che attraversavano campi silenziosi, verdi di foraggio o profumati di fieno. I secchi del latte da caricare sul carretto erano lasciati incustoditi in crocicchi solitari, alcuni sotto l'ombrello polveroso di  un  biancospino isolato o di un fico selvatico, altri al fresco dell'ombra, davanti a piccole stalle adiacenti ad una abitazione in mezzo ai prati. Lungo una strada più larga si arrivava a un gruppo di case dove una bottega di generi domestici faceva anche da osteria, entrando si sentiva il fresco delle case antiche e ci sapeva di birra, di lisciva e di baccalà. Lì si comprava il gelato: due coni, venti Lire. Quando, al tramonto, il sole rosseggiava  e laggiù all'orizzonte esso si avvicinava grande e rotondo alla foschia dei bordi dei prati lontani, i due stavano già sulla strada del ritorno. Arrivati al caseificio, bisognava versare il latte nelle vasche per fare affiorare la panna; il giorno dopo il latte diventava formaggio e la panna diventava burro. In virtù dei modelli che gli si palesavano tutt'attorno Egidio aveva raggiunto l'inconsapevole convinzione che le cose andassero affrontate con naturale baldanza; sua cugina era più grandicella, ma rabbrividiva ai voli dei pipistrelli, lui certamente no e nei lunghi tramonti estivi li osservava affascinato mentre frullavano sotto il cielo che lentamente diventava blu; riusciva anche a tenere in mano una di quelle rane verdi e con i grandi occhi dorati, che dai fossi circostanti avesse avuto la ventura di sconfinare nel prato lì davanti per finire catturata. Questi caratteri del piccolo ragazzino divertivano moltissimo la zia giovane, coi capelli nerissimi  e sempre pronta al riso. Essa non lavorava volentieri nei campi coltivati a pomodoro, perché, prima della raccolta, con la cimatura delle piantine occorreva strappare alcune foglie che avevano un intenso profumo di pomodoro, ma anche una linfa verde che lasciava brutte macchie scure sulla pelle delle mani. Proprio nel bel mezzo dell'estate si distribuivano in paese migliaia di cassette fatte con listelli piatti di legno; servivano per il trasporto dei pomodori verso le grandi fabbriche di conserva. In attesa del raccolto i ragazzi nei cortili delle cascine ci giocavano o simulando un treno o creando barriere; gli uomini  le usavano come rustici sedili la sera, sotto il portico, quando si concedevano un po' di fresco prima di andare a riposare.

 Come al solito in quella regione, due file di case addossate l'una all'altra lungo la strada, che attraversava la campagna piatta e fertilissima, costituivano il paese. Al centro del paese dei nonni la strada si allargava in una specie di piazza: a destra si scorgeva il cimitero; di fronte si elevava in cotto rosso, nobile e bella, la facciata romanica dell'antica chiesa dedicata a San Bernardo; ad essa adiacente biancheggiavano gli storici alloggi dei monaci, ormai scomparsi, e l’edificio che abbracciava il loggiato del chiostro  sfociava direttamente nella coltivazione erbosa dei campi circostanti. Sulla piazza si affacciavano le botteghe allora consuete: fornaio, barbiere, osterie e pettinatrice. Non esistevano locali pubblici con sale abbastanza capienti e l'estate era l'unica occasione per proiettare spettacoli cinematografici, perché ciò era possibile solo all'aperto e i sedili non erano certamente poltroncine di velluto, ma per l'appunto erano le cassette per pomodoro appoggiate per terra alla rovescia. Si aspettava che il sole fosse tramontato, che la sera, assieme con qualche nugolo di insettini alati, portasse la sua ombra e lo spettacolo cominciava.  

La foto è di Ezio Quiresi             

 

Giorgio Peri


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commenti


ennio serventi

9 ottobre 2023 07:51

"si aprivano dietro portici angusti ed ombrosi gli alloggi a due piani dove abitavano i braccianti".In quegli alloggi, che dall'incipit possono apparire anche civettuoli ( o forse no) abitavano i braccianti ed i bergamini che furono soggetti attivi in quella epopea contadina che fu la lotta alla azienda agricola "Cartiera". "VIVA LA CARTIERA DI GUSSOLA" la scritta murale incancellabile, riemergente ad ogni tentativo di cancellazione, indelebile per anni fu visibile sui muri ci Cremona , a testimoniare la vasta partecipazione ideale, a quella lotta, anche da parte di chi a questa non fosse direttamente interessato. Il racconto di una storia che andrebbe riproposto.