13 agosto 2024

"Chiacchiere e Tortelli", si parte. Una storia millenaria. L'antenato arabo dei tortelli cremaschi. Nei ricettari di due medici arabi del Duecento il prototipo di tutti i tipi di ravioli italiani

Questa sera alle 19 aprirà i battenti a Crema la manifestazione gastronomica "Chiacchiere e Tortelli" che richiama in città fino al 18 agosto migliaia di persone per gustare la specialità cremasca. Il ricercatore Michele Scolari ha trovato che nei ricettari di due medici arabi del Duecento si trova il prototipo di tutti i tipi di ravioli italiani, giunto in Occidente con le traduzioni latine dei trattati medici orientali e probabilmente portato a Crema dai veneziani. Ecco la storia degli antichi tortelli cremaschi.

Nel fondo manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi è conservato un codice miscellaneo membranaceo (segnalato all’inizio del ‘900 dal filologo cremonese Francesco Novati sull’Archivio Storico Lombardo) prodotto alla corte angioina di Napoli per Carlo II; portato poi in Francia verso la fine del Trecento dal Duca di Berry, fratello di Carlo V, il libro, nel 1404, venne donato ad una fondazione religiosa (la Sainte-Chapelle di Bourges), donde passò alla Nazionale parigina. La sigla, Ms. Lat. 9328, non dice nulla ai non esperti, ma dietro quella sequenza di numeri si cela una raccolta di otto manoscritti latini (databili tra il XII e il XIII secolo), l’ultimo dei quali altro non è che l’estratto in traduzione latina del Cammino dell’esposizione di ciò che l’uomo utilizza (Minhaj al-bayan fina yasta miluhu al-insan), la monumentale enciclopedia compilata dal medico arabo Ibn Jazla (noto all’Occidente latino come Buhahylyha Bingezla): le sue 2170 voci rappresentavano all’epoca la descrizione di tutti i medicamenti, di tutte le bevande e di tutti gli alimenti e dei loro composti, disponibili nell’impero islamico. L’enciclopedia fu redatta dal medico nella Baghdad dell’XI secolo, elegante capitale del califfato abbaside nonché centro della cultura araba persianizzata dopo le conquiste dell’VII e VIII secolo. Completa e sofisticata, con metodi diagnostici e terapeutici all’epoca altamente sviluppati assieme una ricca farmacologia, la medicina islamica riservava grande spazio alla dietetica umorale (basata sulla teoria umorale ippocratica), fiorita in numerosi manuali medici in tutto l’impero islamico.

Il manoscritto di Jazla, tradotto nel Duecento dal medico di origine cremonese Giambonino da Cremona (poi rettore all’Università di Padova ed autore di vari trattati medici) con il titolo di Liber de ferculis et condimentis, contiene anche quello che ormai anche la ricerca storica accademica ha riconosciuto come il prototipo di tutti i tipi di ravioli italiani (inclusi tortelli cremaschi ed i marubini cremonesi): è il sambusuch, prelibati fagottini di sfoglia all’uovo (di forma triangolare o semicircolare) riempita con un trito di carni soffritto chiamato Mudacathat (descritto anche nelle Tavole della salute, redatte nella prima metà dell’XI dal medico iracheno Ibn Butlan, di poco precedente a Jazla): il trito poteva essere speziato (Mudacathat kafuriya, ossia “trito di Kafur”), condito con succhi agri (Mudacathat hamida), oppure con miscela di sapori dolci e salati. Di origine probabilmente indiana e diffusa nei califfati arabi tra il IX e il XII secolo tramite la mediazione persiana, questa sfoglia ripiena antenata del nostro raviolo è diffusa ancor oggi tra Iran e Arabia Saudita con i nomi di Sanbusaj (persiano Sanbusak), Samosa o Sambusa (vedi sotto i testi delle ricette di sfoglia e ripieno). Nei manoscritti di Jazla e Butlan il mudacathat può trovarsi sia inserito in una sfoglia di sambusuch, sia confezionato in semplici polpettine di farcia.

Si potrà notare che anche i tortelli cremaschi presentano caratteristiche non meno orientaleggianti dei marubini cremonesi: il loro ripieno comprende infatti ingredienti orientali quali amaretti, mostaccini (biscotti speziati con dentro Armelline di Damasco, ovvero piccole mandorle contenute nei noccioli delle albicocche – frutto introdotto in Occidente proprio dagli arabi), uvetta, cedro mentina e noce moscata; il tutto sapientemente amalgamato in un delicato equilibrio di sapori che richiama proprio il tipico gusto arabo-persiano per le miscele dolci-salate indicato nei ricettari medici di Jazla e Butlan. Gioverà notare che del sambusuch esisteva (come per molte altre specialità arabo-iraniche) anche una versione dolce, in cui la sfoglia all’uovo era riempita con un trito di zucchero, mandorle pestate, acqua di rose, canfora ed altre spezie. Questa seconda versione del sambusuch non compare nell’enciclopedia di Jazla, ma è presente nelle Tavole di Ibn Butlan e nel Compendio di Al Baghdadi con il nome di mukallal (lett. “incoronata”), entrambi tradotti alla Corte di Re Manfredi nel Duecento e, successivamente, in Italia Settentrionale nel Trecento.

Del resto dalla letteratura medievale (come ad esempio si legge nella Chronica in Salimbene de Adam o nel Decameron di Boccaccio) si evince che i ravioli erano ben conosciuti nei Comuni e nelle corti dell’Italia padana e meridionale almeno sin dalla metà del XIII secolo. Ma come giunsero dall’oriente? Sicuramente con i commerci e le Crociate, ma soprattutto attraverso le traduzioni latine delle ricette contenute nei trattati medici arabi. Uno dei canali di diffusione di questa specialità in Italia dall’Oriente fu l’Italia Meridionale. Qui, dapprima con la dominazione araba e la Scuola medica di Salerno, poi con la corte di Federico II di Svevia, l’instaurarsi di un sapere medico che dava nuovo spazio al cibo andava di pari passo con l’introduzione dell’alta cucina arabo-persiana: sotto Federico, che ricreò attorno alla sua corte lo stesso ambiente poliedrico e permeato d’interessi scientifici e artistici che aveva caratterizzato i grandi califfati abbasidi, fiorirono sia la poesia siciliana, sia una letteratura dietetica e gastronomica a partire dalla traduzione di compendi medici arabi. L’altro grande canale di diffusione della dietetica e della gastronomia arabe in Italia (soprattutto in Pianura Padana) fu Venezia, dove fu attivo per qualche tempo Giambonino da Cremona, il traduttore di parte dell’enciclopedia di Jazla.

Dalla Serenissima e dal Meridione, dunque, il prototipo dei ravioli (come numerosissime altre specialità arabo-iraniche), già nel Medioevo si diffuse in Italia e nella pianura padana, assumendo poi caratteristiche proprie da luogo a luogo per forma, farcia, dimensioni e tecniche di cottura (già nella traduzione di Giambonino, talvolta le specialità arabe vengono adeguate ai gusti e alle abitudini culinarie della tradizione occidentale più povera).

Non c’è da meravigliarsi dunque che il precursore di specialità come i tortelli cremaschi o cremonesi (oltre che del torrone e, forse, anche della mostarda) vanti un prototipo arabo-persiano. A partire dal XII secolo la pianura padana e soprattutto la zona di Cremona ha intrattenuto molteplici relazioni durature non solo la cultura islamica ma anche con paesi limitrofi o appartenenti all’impero arabo. Per cominciare, andrà ricordato che intorno al 1187 la chiesa di S. Lucia a Cremona entrò in possesso di oltre 70 testi scientifici arabi tradotti in latino a Toledo da Gerardo da Cremona (si veda Gerardo e la scienza araba a Cremona). Accanto ai nuovi testi arabi messi a disposizione dall’intenso programma di traduzioni e la cui conoscenza alimentava i dibattiti scientifico-tecnici e filosofici, non vanno dimenticati i rapporti instaurati tra Cremona e l’Oriente con le Crociate, con i commerci, ma soprattutto con grandi studiosi come Gerardo da Cremona, Giambonino da Cremona o Gerberto d’Aurillac (che divenne poi Papa Silvestro II): fulgidi esempi di un proficuo dialogo tra culture, del quale oggi si sente sempre più urgente il recupero.

Nella foto i tortelli cremaschi e il sambusuch persiano. Poi un banchetto arabo

 

Michele Scolari


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commenti


Lilluccio Bartoli

13 agosto 2024 15:10

Che mi venga un colpo (traduco con padana disinvoltura: che mè vègna 'n kankèr) se conoscevo queste cose (tranne Samosa). Il ricercatore, scrittore, storico, giornalista acculturatissimo, che lo ha scritto, ha sottolineato un assioma che dico da un secolo (mi mancano 28 anni scarsi) ovvero... La gola è piu vicina al cervello che allo stomaco. Devo tradurre il complimento annesso o èl sè capìss cuzè cuma l'è?