6 aprile 2024

'Li Stòori de Ognisàant' - Di fede e tradizione. Il nome delle domeniche di Quaresima e la "preghiera de Santa Chelara"

Una serie di quattro appuntamenti col dialetto e con la vita delle nostre campagne: ‘Li stòori de Ognisàant’, ossia le storie di Ognissanti, raccontate da Ferruccio Boari, nato e cresciuto proprio nella piccola frazione di Pieve San Giacomo, che negli ultimi vent’anni ha raccolto e scritto di suo pugno sul suo quaderno tutta una serie di storie, filastrocche, ninne nanne e modi di dire rigorosamente in dialetto, preziosa testimonianza di un mondo che ormai non c’è più.

In questo primo appuntamento (vedi il video sotto), Ferruccio ci leggerà alcune ‘chicche’ legate al periodo pasquale ed alla religiosità della gente semplice. 

Ferruccio è l’ultimo discendente della famiglia Boari che giunse ad Ognissanti alla fine del 1800 ed acquistò dalla famiglia Barbò l’edificio che per oltre un secolo fu l’Osteria del Cavallo Bianco, centro della vita sociale del piccolo paese perchè, oltre ad osteria, era anche la bottega e l’unico forno del paese e delle frazioni intorno (Silvella, Ca’ de Varani, Torretta).

In quei locali quindi Ferruccio fin da bambino ha incontrato e conosciuto direttamente tutta l’umanità di questa fetta di campagna cremonese che parlava solo il dialetto, idioma unico e inimitabile, sintesi di quella cultura contadina che ha caratterizzato la nostra terra, una lingua fatta di parole ed espressioni che non sempre trovano una traduzione immediata e corretta in italiano corrente.

Pagine e pagine scritte rigorosamente a biro ed in corsivo su un quadernino (esercizio oggi ormai soppiantato dalla scrittura digitale, dove la grafia non è più tratto distintivo -abbiamo risolto il problema delle ‘zampe di gallina’, tante volte rinfacciate dalle maestre delle elementari per i meno giovani).

Il Triduo di Pasqua è la prima testimonianza, dove viene spiegata tutta la liturgia riferita alle celebrazioni pasquali, quando venivano legate le campane e tolti paramenti e tovaglie dagli altari, ma anche la tradizione singolare di usare i gusci vuoti delle lumache, riempiti di olio, come lumini da mettere sulle finestre in occasione della processione del venerdì santo; scopriamo poi dalle parole di Ferruccio tutta una serie di attività per sistemare la casa, come imbiancare le pareti annerite dalla fuliggine o ricoprire i fili delle lampade con carta velina a fiori. Infine ai bambini il compito di ‘sgurare’ le catene del focolare, coperte di ‘calösen’ (fuliggine), trascinandole -rigorosamente nel giorno del Sabato Santo- sulle strade ghiaiose per poi sciacquarle nei fossi dove era sempre presente l’acqua. 

Proprio sull’attività de ‘Sgüràà li cadèeni’ si concentra il secondo racconto in dialetto, con la spiegazione dettagliata di questo importante compito che per i bambini, oltre ad un gioco, era anche un lavoro vero e proprio, svolto pure per conto di famiglie senza bambini piccoli o per i ‘padroni’ e che, se ben svolto, portava sempre come gratificazione qualche dolcetto. Insomma, un gioco, un impegno e naturalmente un momento di socialità per i numerosi bambini e ragazzini dalle ginocchia sbucciate che il secolo scorso vivevano ad Ognissanti (e non solo, naturalmente, perché era pratica ‘universale’ in tutti i paesi di campagna).

Infine un’altra curiosità davvero inedita, ossia il nome delle domeniche di Quaresima: ciascuna delle sette, infatti, ha un nome vero e proprio: la prima si chiama Anna, la seconda Rebanna, poi Rebecca, Susanna e Lazzara, quindi le più conosciute Palma e Pasqua. Da dove derivino, non è risaputo. Di sicuro se ne parlava tra le mura e gli avventori del ‘Cavallo Bianco’, tra un bicchiere di vino ed il baratto di un po’ di strutto con qualche uovo.

Infine Ferruccio ci regala un’altra perla che probabilmente in pochi conoscono, ossia la ‘Preghiera a Santa Chelara’ (Clara), che da bambino ha imparato quando la signora Santa teneva occupati i bambini che accompagnavano le mamme al forno del Cavallo Bianco per cuocere i bombonini. In quelle occasioni, che erano un altro momento di gioco e socializzazione per i piccoli, la paziente Santa (di nome e di fatto, si direbbe evidentemente) intratteneva i bambini raccontando storie ed insegnando preghiere, come questa. 

Insomma, uno spaccato di vita che oggi sembra davvero molto lontana ma che in realtà era la quotidianità dei nostri piccoli paesi fino a meno di cinquant’anni fa e che oggi torna a vivere grazie ad un quaderno, una biro e la memoria di chi le ha vissute. 

Per questo, dopo questo primo appuntamento, ne proporremo altri per ridare vita a quelle esperienze e quella cultura di cui Ferruccio è stato attento testimone.

(1-continua)

Michela Garatti


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commenti


Maria Cristina Milani

6 aprile 2024 20:43

Ringrazio di cuore il Sig.Ferruccio Boari, che ho avuto la fortuna di conoscere durante i quattro anni nei quali ho vissuto ad Ognissanti (1964-1968).
Mi ha fatto rivivere la mia infanzia e mi ha fatto emozionare quando ho risentito la preghiera a Santa Chiara. La mia nonna Ester la recitava e l'avevo dimenticata.
Grazie ancora.