Al Ponchielli una Traviata transessuale fa discutere. Scene bondage e frustini, fischi per il regista
La serata della prima cremonese ha avuto inizio con l'inaugurazione dell'illuminazione esterna del Teatro alla presenza del Sindaco Gianluca Galimberti, del Sovrintendente Andrea Cigni e di tutte le autorità.
Evento mondano, la presentazione del titolo d'opera prodotto a Cremona, raccoglie sempre grande consenso fra gli appassionati. Se poi il titolo è "La Traviata" di Verdi, la sala non poteva che essere sold out.
L'opera presentata sul palco del Ponchielli trova nella regia di Luca Baracchini una proposta che legge nel personaggio di Violetta Valéry la storia di una persona transessuale e del suo rapporto con l'accettazione del proprio corpo. Con l'aiuto delle Scene di Francesca Sgariboldi, dei Costumi di Donato Didonna e delle luci di Gianni Bertoli (vincitori del Bando under 35 di OperaLombardia) il capolavoro di Giuseppe Verdi viene ambientato in epoca contemporanea.
Già a luci ancora accese in sala è chiaro il bisbiglìo legato alle note di regia presenti sul programma di sala. Il regista ha deciso di accogliere il pubblico dicendosi "intimamente convinto che la lunga e assidua frequentazione ci abbia assuefatti a Traviata e forse non devo scusami, caro Spettatore, se tutto quel che porteremo in scena fra poco sarà fatto nel tentativo di rendere la tua poltrona un po’ meno comoda."
E fin qui, un grande punto interrogativo. Poco di seguito anche il direttore d'orchestra Enrico Lombardi: "Mi sono chiesto come potrebbe risultare se eseguita in forma completa con tutti i “mattoni” al proprio posto. E forse potremmo scoprire che, contrariamente a quanto si dice di solito, La Traviata non soltanto “si sa”, ma si può anche (ri)studiare."
Cogliamo l'intenzione decisa, quasi ossessiva, di "rivedere" questo titolo in tutti i suoi aspetti. Da un lato eliminare le tradizioni legate ai tagli storici in partitura, dall'altro mutare proprio la storia di Francesco Maria Piave, ispirata da Dumas, "accomodandola" ad un tema delicato come il "cambio di genere". Come sarà andata?
Far discutere è sicuramente tra i ruoli del teatro oggi, anche perchè è forse l'unico modo per riportare le persone agli spettacoli. La domanda, però, sorge spontanea (tentando naturalmente di non fare la figura dei bigotti e dei bacchettoni): Il teatro ha davvero bisogno di questo per far parlare di sè?
La risposta è presto data. Partiamo proprio col parlare della regia. L’azione scenica funziona, ma il libretto parla sì di una prostituta, peró non ponendosi il problema del tabù della prostituzione. La storia narra di una persona che ama, che sa amare davvero e che sa immolarsi per amore, in pieno stile Romantico. Utilizzare un libretto così perfetto per portare in scena un argomento simile è un’operazione che va ben oltre l’arte e che invece sembrerebbe rasentare il machiavellismo.
A rappresentare questo intenso ma posticcio conflitto di genere un mimo che segue Violetta durante l’opera e che rappresenta, con la propria coreografia, questo dualismo fra una donna che prima era un uomo e l’uomo che non sta bene nel proprio corpo maschile. Coerente con la linea, ma la cui ragione risulta incomprensibile, anche il coro donne è vestito con abiti maschili. Abbiamo, anche recentemente, avuto regie che trattavano il programma di sala a guisa di tesi di laurea, prodigandosi in lunghi monologhi spesso più simili alla tanto amata supercazzola Tognazziana che ad un vero e proprio pensiero registico. Qui il processo è invece per sottrazione e la spiegazione è lasciata alla pura immediatezza emotiva di ciò che accade sull’antico palco. Violetta passa quasi l’intera opera in compagnia del suo alter ego mimo che in modo eloquente, ma non troppo efficace, esprime questo conflitto fra la registica Violetta-uomo e quella femminile. E fin qui ci sta tutto. Non fosse che il coro di zingarelle e mattadori si è trasformato in un festino a base di frustini, di avances fra uomini, di bondage con tanto di maschera con le corna. La scena è stata accolta da un tiepido applauso e da un folto coro di “buu” e di “Vergogna!” dal loggione. L’idea, peraltro, per come era gestita nel primo atto, pareva perfino funzionare. Evidente in questo allestimento è la ricerca del moderno, del contemporaneo, dell’attualizzazione. Il desiderio di mostrare qualcosa di nuovo trova sempre più strade, sostanzialmente due: quella del “wow”, e quella del “non ci siamo”. Il problema è che chi percorre quest'ultima, a parere di alcuni, debba necessariamente essere vecchio, obsoleto, tradizionalista. Traviata però è già moderna, è innovativa, è una “teenager”. Non ha bisogno di vestiti nuovi per sembrare giovane, lei È giovane. Giuseppe Verdi in quest’opera dimostra non solo una scrittura con concatenazioni armoniche interessantissime ed una cura inarrivabile delle linee melodiche, ma trova la via per trattare un argomento come quello di una cortigiana in un’epoca di censure, di borghesia suscettibile, di pubblico attento ed immediatamente comunicativo delle emozioni provate. Dicotomicamente opposta la scelta del direttore di aprire i tagli. Innovazione contro l’estremizzazione della tradizione. Non solo l’edizione in utilizzo è esattamente quella scritta con tutte le ripetizioni che per l’appunto la tradizione ha tagliato, ma lo stesso Lombardi ha vergato di suo pugno alcune delle cadenze, come usava all’epoca. L’edizione udita dal pubblico, pur non dichiarata sul programma di sala, è l’Edizione Critica curata dallo stimato musicologo (cremonese adottivo, docente all’ateneo di Musicologia) Fabrizio Della Seta. Buona la prova del cast vocale, senza grossi stupori ma di livello uniforme. Nonostante la scelta del direttore di aprire i tagli di tradizione costringendo i principali protagonisti ad eseguire doppia cabaletta, con il conseguente sforzo vocale ad essa richiesto, i cantanti si sono distinti per varietà di colori ed interpretazione oltre che per una buona tenuta fisica. Francesca Sassu propone una Violetta consistente, dal bel timbro ricco di armonici, omogeneo nel cambi di registro, efficace interpretativamente. Valerio Borgioni propone un Alfredo squillante, non sanguigno ma dalla grande cura interpretativa. La sua cabaletta è ben articolata con un suono garbato ed elegante, forse un po’ troppo poco graffiante ma molto espressiva, ed è culminata con il do acuto (non presente in partitura) tradizionalmente eseguito.
Bene il Giorgio Germont interpretato da Vincenzo Nizzardo. Dotato di un timbro brunito e proiettato, Nizzardo porta in scena un “Di Provenza” da manuale pur con qualche sbavatura nell’intonazione.
Il Barone Douphol di Alfonso Michele Ciulla porta in scena tutto lo spudorato cinismo di un protettore.
Reut Ventorero è una Flora sicura e precisa. Sharon Zhai (Annina) ha diversi problemi di pronuncia oltre ad un volume appena sufficiente a passare l’orchestra. Buona prova anche di Gastone (Giacomo Leone), del Marchese (Alessandro Abis) e del dottore (Nicola Ciancio).
Il Coro OperaLombardia preparato da Massimo Fiocchi Malaspina è compatto ed efficace, preciso nei tempi stretti staccati dal direttore. Meritati gli applausi tributati dal pubblico in sala. Nuovo coro di “buu” per i quattro mimi travestiti da donne. L’Orchestra I Pomeriggi Musicali ha esibito una buona prova pur con qualche lieve sproporzione fra ottoni ed archi durante il brindisi e su “Né rispondi d'un padre all'affetto?”. Particolare menzione all’ottima prova della banda di palcoscenico.
Enrico Lombardi ha un po’ di fretta. L’opera in generale “gira” bene con un po’ di vivacità, ma non tutto può essere staccato a tempi infuocati. Il direttore compensa con un’ottima tecnica ed un controllo quasi maniacale di buca e palco, portando a termine comunque un’ottima recita. Per lui diversi “bravo” dalla platea anche durante gli ingressi dalle pause fra gli atti. L’opera deve far parlare di sè, certamente, ma un conto è l’interpretazione, un altro è la distorsione o la strumentalizzazione. Riccardo Muti nelle sue lezioni-concerto ricorda sempre che “il libretto e la partitura sono il vangelo”. Lo scopo di un direttore è quello di restituire il meglio possibile di ciò che il compositore ha desiderato ed ha scritto. Egual cosa per il libretto. Sicuramente sono molte le riflessioni che scaturiscono da questa regia, che tenta di essere moderna ma che lo fa nel modo più vecchio del mondo. Nulla di nuovo, ne abbiamo già viste di regie così “ispirate”. Siamo giunti al punto che probabilmente risulterebbe decisamente “moderno” ed incredibilmente “sovversivo” portare in scena qualcosa di nuovo: ciò che hanno scritto il compositore ed il librettista.
Fotoservizio Gianpaolo Guarneri/Studio B12
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commenti
Pasquino
3 dicembre 2022 03:35
Da un sovraintendente così non c'è altro da attendersi . Nulla da discutere solo da fischiare e gridare vergognatevi !!!!
Tullia
3 dicembre 2022 09:48
Il giornalista ha interpretato perfettamente il pensiero di quasi tutti gli spettatori di ieri sera. Se l'opera rappresentata in questo modo serve a fare discutere, credo che serve anche a svuotare il teatro. Uscendo dal teatro ho guardato la magnifica facciata illuminata e ho pensato che nel futuro l'opera mi mancherà.
Antonio
3 dicembre 2022 11:48
Povero Maestro Verdi, “perdonali non sanno quello che fanno…”
Donato
3 dicembre 2022 15:11
Una recensione ben argomentata e sostenuta da una solida preparazione che ha dato voce al malcontento degli spettatori. La conclusione: "Siamo giunti al punto che probabilmente risulterebbe decisamente “moderno” ed incredibilmente “sovversivo” portare in scena qualcosa di nuovo: ciò che hanno scritto il compositore ed il librettista", è arguta e fulminante, molto più di una semplice una battuta. E bravo il recensore che assolve in pieno alla propria funzione di critico musicale e non di cronaca mondana (ancor più conformista quando invoca il bello della trasgressione).