25 gennaio 2022

Campo 3, fila A, tomba numero 15. Dagli Stati Uniti arriva la notizia: ecco dov'è sepolto il cremonese Renato Pasini morto nel '44

Campo 3, fila A, tomba numero 15: è in un settore dello sterminato e curatissimo cimitero militare di Ojendorf, nei pressi di Amburgo, che riposa Renato Pasini, il soldato cremonese andato in guerra e mai tornato a casa. “Sapevo di Amburgo ma non di Ojendorf”, commenta, commossa, Fiorella Domaneschi, 69 anni, che ha ricostruito con tenacia gli ultimi momenti dello zio. Tutti tranne un tassello: il luogo della sepoltura. “Spero di portargli presto un saluto, un fiore”.
Pasini, nato a San Sigismondo il 22 settembre 1922, partì per il fronte nemmeno ventenne. Da allora la sua vita e la sua fine sono state avvolte nella nebbia, dissipata dalle ostinate ricerche della nipote che, pur non avendolo conosciuto personalmente, lo sentiva vicino grazie ai racconti, lei bambina, della nonna, Maria Maddalena, e della mamma, Luisa, sorella di Renato. “Dicevano che era bello. Ma quando si è giovani non si presta molta attenzione a queste cose, che però si sedimentano nel nostro cuore e riaffiorano più forti con il passare del tempo. Mi è sempre rimasto il desiderio di colmare quel vuoto”. Catturato dai tedeschi dopo l'8 Settembre, il militare venne portato nel lazzaretto di Fullen, dove, il 25 maggio 1944, la tisi lo ha stroncato. Il puzzle della verità ritrovata si fermava praticamente quel giorno.

Ma ora il colpo di scena. Giovanni Alberto Frisone, 75 anni, psicologo clinico, figlio di Ferruccio Francesco Frisone, compagno di detenzione di Pasini e autore del libro 'Binario morto. Diario di un pittore internato a Semlin, Versen e Fullen', ha letto il precedente articolo di CremonaSera e dagli Stati Uniti, dove si è trasferito con la moglie Deborah, prima ha scritto al nostro giornale, poi si è messo direttamente in contatto con la nipote di Pasini per darle, come ha fatto con i familiari di altri deportati, le informazioni mancanti sul suo congiunto. Queste: “I soldati italiani deceduti a Fullen furono traslati negli anni Cinquanta dall'omonimo camposanto, con ormai solo poche tombe di soldati per lo più russi o polacchi, a quello di Ojendorf”. Qui, alla periferia sud-orientale di Amburgo, giacciono le spoglie di 5.839 nostri concittadini (prigionieri di guerra o civili, vittime dei campi di concentramento, condannati ai lavori forzati), di cui 5.668 identificati e 171 non identificati. Sulle lapidi sono incisi il grado, il cognome e il nome o la nota 'sconosciuto'. Il Consolato generale italiano ad Hannover è responsabile della cura dei tumuli.

Mi auguro che tutto questo sia un modo per riconnetterla con suo zio,  spentosi così giovane e così lontano da casa”, ha scritto Frisone a Domaneschi promettendo di comunicarle altre notizie che avesse ricevuto da un suo contatto in Germania. “Mi fa sempre piacere poter contribuire al ricordo degli internati militari italiani, a lungo dimenticati e umiliati in patria, di cui mio padre fu uno dei tanti”. Le ultime novità sono arrivate lunedì scorso: “Il mio amico tedesco è stato velocissimo. Suo zio riposa nel Campo 3, Fila A, numero 15 di Ojendorf. Il cimitero è grandissimo e, mentre a Fullen c'è quasi un senso di intimità, qui si percepisce l'enormità di quella tragedia che fu la Seconda Guerra mondale. Un caro saluto da me e mia moglie, la mia compagna in questo viaggio della memoria”. 
Quel viaggio contro il silenzio e l'oblio iniziato da Francesco Frisone, continuato dal figlio e intrapreso anche dalla ex dipendente dell'amministrazione provinciale di Cremona, che ha risposto alle mail spedite dal Connecticut: “Gentilissimo dottore, la ringrazio per la documentazione che mi ha inviato e la sua cortesia. Il libro di suo papà mi ha permesso di illuminare gli ultimi momenti della vita di mio zio, che non ho conosciuto ma che ho amato attraverso le parole di mia mamma. Sapere dov'è seppellito mi ha dato gioia: spero di recarmi presto ad Amburgo perché è come se dovessi rendergli pace”. La nipote del soldato cremonese richiude le pagine di 'Binario morto' e aggiunge: “Prima non sapevo niente di queste vicende, adesso sembra che, un po' alla volta, tutto venga alla superficie. E' come se mio zio, da là dov'è,  mi dicesse: brava, ti sei svegliata. Di lui mi manca, ora, solo una cosa: una fotografia”. E già si annuncia un altro possibile capitolo primaverile: l'incontro, l'abbraccio a Cremona tra la donna che si è messa alla ricerca e l'uomo che, dall'altra parte dell'oceano, l'ha aiutata a trovare. 

nelle foto il cimitero di Ojendorf, poi il cimitero di Fullen,  Giovanni Frisone e la moglie Deborah, Fiorella Domaneschi con i documenti dello zio e la lapide dei caduti di San Sigismondo, il libro di Giovanni Frisone

Gilberto Bazoli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti