Cento anni fa nasceva Domenico Luzzara. Il Presidente grigiorosso più grande. "Io di calcio non capisco niente" una bugia durata 35 anni
Un secolo fa, il 1° gennaio 1922, nasceva a Cremona Domenico Luzzara. Cento anni fa veniva al mondo il presidente grigiorosso più grande. Come raccontava spesso, era venuto al mondo in via Ghisleri in una osteria gestita dal papà e dalla mamma. Mènech raccontava volentieri la gioventù trascorsa nella fumosa osteria, il profumo del tabacco e gli effluvi del vino, gli erano rimasti impressi. Anche qualche mese prima di morire, a tavola, ricordava la “sua osteria”. Ed anche nelle interviste ufficiali rilasciate a quotidiani, televisioni e riviste incuriosite dal successo della sua “Cremonese pane e salame” che si batteva alla pari con Milan, Juve o Inter, Luzzara ricordava la sua infanzia. “Sono nato in un'osteria, mio padre vendeva vino e acciughe. - ha dichiarato alla Gazzetta dello sport - Non volevo mai andare al mare. Una volta mi hanno portato e sono scappato a casa. Io ero uno del Po. Mi piacevano il mio fiume e l'odore della mia osteria. Il vino, i sigari, il Tabacco del Moro”.
Poi gli studi da ragioniere, l'impiego al Consorzio Agrario prima di andare a lavorare con uno zio, Chiappa, che costruiva piccoli impianti elettrici. Luzzara lavorò moltissimo, prese in mano l'azienda ed arrivò ad avere perfino un migliaio di dipendenti, perlopiù in giro per il mondo a costruire impianti.
Poi nel 1967 la Cremonese. Prima come commissario straordinario in serie D poi presidente. Luzzara ufficialmente entrò nella società grigiorossa per “risarcimento” del mancato pagamento della illuminazione dello Zini che la sua ditta aveva realizzato. In realtà era stato conta- giato dalla passione del suo unico figlio, Attilio, tifoso della Cremonese. Ma “Tete”, a soli 21 anni, se ne andò in un incidente stradale.
Una tragedia per Domenico e la moglie Nanda. Nel nome di Attilio, Luzzara si buttò nel lavoro e nella Cremonese di suo figlio. Nel 1976 tornò in serie B. Poi nel 1984 la storica impresa: la serie A dopo quella presenza nel 1929- 30 in quella a girone unico. Nel 1993 a Wembley la vittoria nel torneo anglo- italiano battendo in finale il Derby County per 3 a 1. Poi il crollo sportivo e la vendita della società a Graziano Triboldi, dopo un lungo braccio di ferro, nel marzo del 2002.
Dal 1967 al 2002 alla guida dell’U.S. Cremonese: prima Commissario Straordinario, poi Presidente. L’hanno chiamato Presidentissimo ma, forse, è stato solo “il Presidente”. Partita per caso (forse per rientrare da un credito contratto dall’allora presidente Maffezzoni nei confronti della sua azienda che aveva rifatto l’impianto di illuminazione dello Zini), la sua avventura sulla tolda della società di via Persico si è trasformata in una cavalcata lunga 35 anni che ha portato Cremona, non solo dal punto di vista calcistico, ad essere conosciuta ed apprezzata a livello nazionale. Quanta acqua è passata sotto le pale del mulino grigiorosso da quel lontano ‘67, con la squadra precipitata in serie D e la società vicina al tracollo finanziario, oberata da debiti e circondata da scarso entusiasmo dall’esterno: Domenico Luzzara ha però un asso nella manica, il figlio Attilio,
“Tete” per gli amici, grande appassionato e tifoso della Cremonese, amico dei giocatori legato soprattutto all’estro ed al genio, non solo calcistico, di Emiliano Mondonico. Divenuto Presidente, Luzzara sceglie personalmente l’allenatore della rinascita, Manlio Bacigalupo che, malgrado la “storica” sconfitta allo Zini con la Leoncelli, riporta i grigiorossi in serie C, grazie soprattutto alla crescita di un difensore “nostrano”, Luciano Cesini da Piadena ed ai gol di “Mondo”, capocannoniere a fine torneo con 17 reti. Orfana del talento di Rivolta, partito per Torino, la Cremo torna in D, dopo lo spareggio di Brescia con il Marzotto di Valdagno, e su Luzzara si abbatte una tremenda mazzata: nella primavera del 1970, un pauroso incidente stradale tronca la voglia di vivere del figlio Attilio. Ormai la Cremonese è però entrata nel sangue di Domenico che nel calcio trova la molla per reagire alla crudeltà che il destino gli aveva procurato: in Società si circonda di amici fidati e comincia a tessere una fitta ragnatela di amicizie con importantissimi personaggi del mondo del calcio, che offrono alla Cremonese la possibilità di valorizzare alcuni giovani talenti senza doversi impegnare in onerose campagne acquisti.
Sono i tempi della stretta collaborazione fra Cremonese, Atalanta e Juventus, “alleanza” che, sull’asse Boniperti-Bertolotti-Luzzara, durerà per anni grazie soprattutto alle particolari doti umane, morali e di simpatia di Domenico, doti riconosciute da tutti coloro che l’hanno incontrato. Due anni in D poi, con l’arrivo di Titta Rota si torna in serie C: la squadra gioca bene, ed intanto in Società si capisce che, per una piccola realtà di provincia, la sopravvivenza nel mondo del calcio passa obbligatatoriamente per la validità del settore giovanile. Mentre la prima squadra sfrutta il prestito di parecchie giovani speranze, il vivaio inizia a forgiare calciatori in grado di rafforzare la rosa e di diventare potenziali fonti di autofinanziamento: l’esplosione di Cabrini, il ritorno di Mondonico, e l’ingresso in Società di Giuseppe Miglioli furono le pietre miliari su cui posò la nascita del “miracolo grigiorosso” che, qualche anno più tardi, sarebbe esploso a livello nazionale. Antonio Cabrini era il timbro che certificava i prodotti del vivaio grigiorosso, con una positiva ricaduta a livello di immagine e di investimenti; “Mondo” aveva il calcio nel sangue ed era legato a Cremona e alla Cremonese (e sarà una figura decisiva negli anni ottanta per l’ulteriore salto di qualità del sodalizio di via Persico); Beppe Miglioli, portò una carica di simpatia, entusiasmo e buonsenso direttamente proporzionale alla sua mole, e contribuì alla trasformazione della Cremonese in un affiatato gruppo di persone che lavoravano tutte per un obbiettivo comune. Tenevano molto alla definizione “Società pane e salame”, per significare sia la dirittura morale e le modalità di gestione basate sull’onestà dei rapporti e sul grande valore della parola e delle promesse, sia il fatto che molte questioni, anche spinose, potevano essere meglio trattate e risolte attorno ad un tavolo con due affettati e mezzo litro di quello buono.
L’accoppiata Luzzara-Miglioli portò di peso la Cremonese nell’Olimpo del calcio che conta: “Io di calcio non capisco niente!” amava ripetere il Presidente, ed intanto tesseva le sue tele e riscuoteva consensi ed apprezzamenti da tutti.
Nel 1977 fu serie B: si tornava fra i cadetti dopo ventisei anni ma fu subito retrocessione: nessuna paura, la Cremonese imparava dai suoi errori ed il ritorno fra i cadetti nel 1981 le permise di rimanere nel calcio che conta per sedici stagioni; un miracolo se paragonato alle potenzialità economiche della società ed alle risorse del bacino d’utenza. “Io di calcio non capisco niente!”, e giù una risata, anche se il suo cuore cominciava a fare le bizze, ed intanto inventava Mondonico, allenatore della squadra allievi in cui giocava un certo Luca Vialli, mister al posto di Vincenzi a sette turni dal termine del campionato; risultato: salvezza, spareggi di Roma per la A (con oltre diecimila tifosi a Varese), promozione in A. Un clamoroso filotto che aveva coinvolto la città che si riconosceva completamente nei grigiorossi e nel loro Presidente: si tornava in serie A dopo oltre mezzo secolo e, per festeggiare il clamoroso evento, era tornato all’ombra del Torrazzo Ugo Tognazzi, icona del cinema italiano ed amico di lunga data di Domenico Luzzara. Erano i tempi di Straconcolo, cascina teatro di tante riunioni informali del consiglio direttivo grigiorosso e, nel frattempo, anche Erminio Favalli, cremonese purosangue trapiantato a Palermo, si era aggiunto al gruppo dirigente: si retrocede al volo, “Mondo” parte per una carriera di alto livello su panchine importanti ma, in via Persico, si torna al lavoro per risalire in fretta.
“Io di calcio non capisco niente!”, altra risata, e con Mazzia si arriva agli sfortunati spareggi con Lecce e Cesena, e ci si qualifica per la semifinale di coppa Italia, persa con l’Atalanta (dopo la magica notte di San Siro quando si eliminò l’Inter ai rigori). Sarà ancora serie A, e si sale in altalena: con Burgnich si scende in B, con Giagnoni si torna in A, ed è di nuovo serie B. Se Cremona e la Cremonese vivono questo saliscendi senza esaltazioni e senza drammi e, lo si deve soprattutto alla filosofia societaria che continua a lavorare con dedizione e serietà: intanto il vivaio, sotto la direzione del bravo Pierino Donati, continua a sfornare giovani talenti: Bonomi, Favalli e Marcolin passano in blocco alla Lazio, la Primavera di Cesini vince la Coppa Italia di categoria ed arriva ad un passo dallo scudetto. “Io di calcio non capisco niente!”, ed arrivano Berago e Simoni, si parte senza grossi obbiettivi, ma ci si ritrova promossi e, il 27 marzo 1993, tre giorni dopo il suo novantesimo compleanno, l’USC conquista la vetta più prestigiosa della sua ultracentenaria storia: a Wembley, nel mitico stadio colmo di quarantamila “rams”, più di mille fedelissimi grigiorossi possono festeggiare la conquista del Trofeo Anglo-Italiano, ottenuta battendo il Derby County per 3 a 1. Anche più distratti si accorgono di Cremona e della Cremonese, che torna di nuovo in serie A e, questa volta, ci rimane per tre campionati.
Il calcio però sta cambiando, la pay-tv ha fatto il suo fragoroso ingresso nel mondo del pallone, la linea “pane e salame” non basta più per rimanere competitivi ai massimi livelli: in via Per- sico si sente qualche scricchiolio, comincia qualche malinteso; il gruppo che ha retto la Cremonese per trent’anni dà qualche segno di cedimento: Miglioli se ne va, Luzzara è in difficoltà, vorrebbe cedere, ma il suo cuore, fra una bizza e l’altra, pompa sempre sangue grigiorosso.
La Società rimane incartata in un limbo che, pian piano, la porta in C2. Luzzara decide di passare la mano, si fanno avanti i fratelli Mastagni (più con le parole che con i fatti) e alla fine tutto rimane sulle spalle del buon Domenico che, intanto si avvia verso il traguardo degli ottant’anni. In via Persico si passa qualche periodo molto gramo, nel 2001 la Cremonese rischia sparire e solo un miracolo permette a Favalli di trovare i fondi necessari per l’iscrizione al campionato di C2. L’8 marzo 2002 la Cremonese passa nelle mani di Graziano Triboldi, vicepresidente per tanti anni, e cala definitivamente il sipario sulla gestione Luzzara. Nella mente e nel cuore ci resta il fragoroso applauso in suo onore partito dalla “Sud” e che ha accomunato spettatori e calciatori, tutti in piedi, la sera dei festeggiamenti per il centenario grigiorosso: era la “sua” festa ma non se l’era sentita di venire.
Se n'è andato il 29 maggio 2006 per “Arresto cardiocircolatorio” recitava il certificato di morte. Il suo fisico era debilitato: problemi cardiaci con un pace maker che non bastava più e il tumo- re alla vescica che lo faceva soffrire. Il suo cuore ballerino ha cessato di battere nella sua bella casa di piazza Marconi dove era stato riportato un paio di giorni prima dall'ospedale. Una residenza importante, cinquecentesca, un tempo abitata da Sofonisba Anguissola, la pittrice più grande. Luzzara l'aveva comprata vent'anni prima dopo una vita passata in via Ghisleri, una strada che amava perché carica di ricordi.
“Io di calcio non capisco niente!”... una bugia durata trentacinque anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Giuseppe FRANZOSI
3 gennaio 2022 18:34
Un grande uomo morto solo come un cane, ma i veri tifosi lo ricordano sempre.