16 aprile 2021

Collabora coi giudici Nicolino Grande Aracri, boss della cosca di Cutro a Cremona, Piacenza, Mantova e Reggio Emilia

Forse ora sarà più facile districare il complesso nodo di rapporti che ha governato vari livelli della vita economica, sociale, istituzionale, politica del territorio negli ultimi trent’anni e di quel contropotere, che grazie alla sua forza colonizzatrice, è riuscito ad interfacciarsi con essi. Il quotidiano “La Repubblica” scrive oggi che il boss della 'ndrangheta Nicolino Grande Aracri sta collaborando con la giustizia. Secondo indiscrezioni provenienti da ambienti giudiziari “Don Nicola”, il capo-clan più spregiudicato e intraprendente dei cutresi, avrebbe iniziato “un percorso ancora tutto da sviluppare". La cautela dei magistrati antimafia è comprensibile perchè si tratta ora di capire le reali intenzioni del boss dei cutresi che per almeno 20 anni ha comandato le diramazioni della cosche in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Del radicamento della cosca Grande Aracri a Reggio Emilia già si sapeva in seguito alle operazioni ‘Scacco Matto’, ‘Grande Drago’ ed ‘Edilpiovra’ dei primi anni 2000, intervenute nel pieno delle faide tra ‘ndrine rivali. 

Il clan dei Grande Aracri, in Emilia Romagna, è considerato egemone e ben radicato in almeno 4 province. I suoi affiliati, come dimostrato nel processo "Aemilia", sono presenti a Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Ma ci sono voluti tuttavia due decenni di processi per portare definitivamente alla luce quanto l’organizzazione aveva costruito nei decenni precedenti attraverso un’oscura rete di rapporti criminali di natura associativa radicata tra il mantovano e il cremonese (processo ‘Pesci’), un collaudato sistema di faide strumentale a “far capire chi comanda” tra i clan a Brescello (processo ‘Aemilia 1992’), fino alle incestuose convergenze d’interessi con la pubblica amministrazione e, in generale, con il mondo istituzionale e politico (processo ‘Grimilde’). Armi, droga, rapine, estorsioni, usura, incendi, ricettazione e riciclaggio, bancarotta fraudolenta e false fatturazioni, gestione di settori strategici quali edilizia, movimento terra, ristorazione, smaltimento di rifiuti, lavori di ricostruzione nelle zone terremotate, scambio elettorale politico-mafioso. Le ingerenze dei cutresi sono documentate praticamente in tutti i settori dell'economia criminale. Il boss Nicolino potrebbe dunque far luce su un'intera stagione criminale che a partire dalla provincia di Crotone si è poi estesa in diverse altre regioni del centro e nord Italia. Gli inquirenti, in questo momento, stanno valutando la bontà delle sue primissime dichiarazioni a caccia di riscontri. Resta ancora da chiarire fino a che punto il padrino della 'ndrangheta, già condannato in via definitiva a diversi ergastoli, voglia andare fino in fondo. Nicolino Grande Aracri era stato condannato in primo grando all'ergastolo nel processo per l'omiciio delle Colonie Padane del settembre 1992 in cui vennero freddati il 29enne muratore calabrese Dramore Ruggiero e il trentenne cutrese Antonio Muto, poi assolto in appello a Brescia.

 


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