Continua il successo di “I silenzi del Po”: proroga fino al 18 ottobre per l’esposizione al Municipio di Motta Baluffi
E’ prorogata fino al 18 ottobre la mostra fotografica “I silenzi del Po” di Paolo Panni, conosciuto anche come “Eremita del Po”, allestita nella sala consiliare del palazzo municipale di Motta Baluffi. Inaugurata in occasione della fiera del paese, grazie alla disponibilità del sindaco Antonietta Premoli e dell’Amministrazione comunale, rispondendo anche alle sollecitazioni di diversi cittadini, la mostra va avanti ancora per una decina di giorni dando la possibilità a tutti di poterla visitare. E’ aperta al pubblico nei giorni e negli orari di apertura del municipio e, quindi, il lunedì, il mercoledì ed il venerdì dalle 8 alle 13; il martedì e giovedì dalle 8 alle 13 ed anche dalle 14.30 alle 16.30. Per Paolo Panni, occuparsi a qualunque livello del Po è un diritto sacro ed esclusivo di chi vive dalla nascita in simbiosi con esso. “Solo che lo conosce, ci è nato, ci vive e lo vive – afferma – è in grado di conoscere e sapere di che cosa hanno bisogno le terre di Po. Purtroppo invece – afferma senza giri di parole – assistiamo spesso al giungere di espertoni, talvolta laudanti e giubilanti, che giungono da terre lontane e pensano di conoscere il fiume solo perché hanno studiato qualcosa (ma non hanno studiato il nostro fiume) e pigiano sui tasti di un pezzo di ferro ritenendosi portatori del vero, con risultati quasi sempre nefasti che sono sotto gli occhi di tutti. Per non parlare delle tante, troppe tavolate (che qualcuno definisce convegni) dove giungono i celeberrimi incravattati che amano sentire la loro voce e, a costo di provocare noie nauseabonde, parlano e straparlano senza forse nemmeno capire, lo stessi, i sensi dei loro sproloqui. Poi li vedi arrivare, quando è ora di farsi vedere (e solo in quei momenti) con mocassini e abiti all’ultima moda divinizzati da chi dovrebbe, invece, voltar loro le spalle perchè di fiume – tuona – devono occuparsi solo ed esclusivamente coloro che sono nati in queste terre, lo vivono e ci vivono e lo frequentano con gambali e pantaloni sgualciti, con un filo d’erba in bocca, un cappello di paglia ed un tabarro nei più rigidi giorni d’inverno”. Per descrivere la quiete silenziosa e la fluida maestosità del Po, i ritmi lenti di chi lo contempla e degli esseri che lo abitano, Panni ha scelto la sinestesia: non la parola, ma l’immagine, che, per sua stessa natura, rende l’assenza del suono e la densità profonda dell’atmosfera, con tinte all'insegna di una bellezza misteriosa, pudica, sognante ed intimamente malinconica. L’evento offre pregevoli scorci delle due rive, quella parmigiana e quella cremonese, colti in tutte le stagioni. Entrando nel merito dell’allestimento, l’autore evidenzia che: “Bisogna sapersi mettere sulle strade della bellezza: per rendere le giornate migliori e per essere, anche nella quotidianità, costruttori e non spettatori di un mondo migliore. Le terre del Po, sull’una e sull’altra riva offrono questa possibilità, in un silenzio profondo ed essenziale, dato dalle stagioni stesse. ‘Ogni giorno – come scriveva Paulo Coelho - è diverso dall’altro, ogni alba porta con sé il suo speciale miracolo, il suo istante magico, in cui si distruggono gli universi passati e nascono nuove stelle. I Navajo, infatti, insegnano ai loro bambini che ogni mattina il sole che sorge è un sole nuovo. Nasce ogni giorno, vive solo per quel giorno, muore alla sera e non ritornerà più. Dicono ai loro piccoli: Il sole ha solo questo giorno, un giorno. Vivi bene la tua vita in modo che il sole non abbia sprecato il suo tempo prezioso’. Ci sono spazi e luoghi che, in ogni tempo e in ogni stagione, intorno al Grande fiume, e sul fiume stesso, offrono, gratuitamente, spettacoli mozzafiato e di grande effetto. In un ambiente senza tempo in cui il silenzio, ogni volta, è grazia e, soprattutto, si fa necessità per rispondere al caos e alla frenesia di tutti i giorni. Lasciate da parte le auto: questi sono luoghi da vivere, conoscere e osservare, in ogni dettaglio, in silenzio e, soprattutto, in cammino. Non ci sono confini, di province, di regioni o di comuni; non ci sono stagioni migliori di altre e non ci sono nemmeno momenti del giorno migliori di altri. Ogni momento, in qualsiasi istante, sa offrire un angolo, un dettaglio, una scoperta. Sa presentare quella bellezza, vera e autentica, che solo Madre terra è capace di donare. E’ sufficiente percorrere un sentiero, una carraia, un argine, attraversare un bosco o uno spiaggione per scoprirlo, per rendersi conto del patrimonio che si ha. Per decidere di tutelarlo, difenderlo e custodirlo: compito, questo, che spetta a ciascuno di noi. Lo dobbiamo a noi stessi e a quei laboriosi villaggi che sono la nostra culla; lo dobbiamo a coloro che ci hanno preceduti e ci hanno passato il “testimone” tra sforzi e fatiche; lo dobbiamo a coloro che verranno, per consegnare loro una terra non soltanto bella ma anche sana, produttiva, in cui credere e investire sempre, tutelandone le specificità e le peculiarità, difendendola da interessi di bottega portati avanti da soggetti, che per nulla hanno a cuore la salute pubblica ma hanno interesse sempre e solo per le loro tasche (senza ricordare che quando volteranno i piedi all’uscio, come si dice nella nostra campagna, i loro averi non se li porteranno nella tomba). La natura è sempre maestra, anche nello spettacolo delle foglie che vestono le loro variopinte livree e, insieme al fiume, nei suoi silenzi, ci ricorda che siamo tutti chiamati a prenderci cura del Creato (assumendo la consapevolezza che, in questo modo, ci prenderemo cura di noi) e di tutto ciò che gli appartiene. In una continua ricerca di ciò che è essenziale e necessario, e di ciò che in queste fette di terra, ovattate dalla nebbia autunnale e sferzate dai geli invernali e dalle afe estive, può portare benessere alle nostre genti di fiume. Anche nei più uggiosi e freddi giorni d’inverno, come nelle più soleggiate e afose giornate d’estate, accompagnate dalle incessanti melodie delle cicale e dei grilli, andare sul fiume e viverlo è un toccasana, una necessità del tutto essenziale per stare alla larga da una società globalizzata in cui dilagano contenuti scontati, banali, ripetitivi, monotoni, essenzialmente noiosi. Per andare in golena, sugli argini, nei boschi, lungo le carraie e sugli spiaggioni bisogna sapersi infangare gli scarponi, i gambali; bisogna saper portare il tabarro o indossare un vecchio giaccone di quelli che si potrebbero strappare all’improvviso a contatto con i rovi o un vecchio tronco. Nei suoi grandi silenzi il Po, con il suo teatro naturale, offre scenari spettacolari ed incantati, che solo chi conosce a fondo queste terre può raggiungere. Sia chiaro: qui non ci sono “location”, come amano dire i globalizzati che, probabilmente, si sentono meglio all’uso di qualche inglesaggine. Qui ci sono semplicemente luoghi. Non c’è il “green”, sempre con buona pace dei cultori incalliti delle inglesaggini: c’è semplicemente il verde… E col verde ci sono il fango, la sabbia, i pioppi, i salici, l’acqua, l’aria, il vento, il gelo e la pioggia: e tutto è grazia, nella sua vera, necessaria essenzialità. Talvolta capita di incontrare, tra vecchie cascine e case coloniche, lapidi piazzate ed “inchiodate” sui muri che narrano di memorie passate. Sono le pietre parlanti, come le definisce chi scrive queste righe. Sono scritte in italiano, talvolta in latino, senza bisogno di ricorrere a linguaggi che non ci appartengono. Percorrendo la golena, a mezzogiorno e all’ora del vespro, tra una riva e l’altra succede ancora di avvertire, anche se sempre più di rado, profumi di cose buone, di piatti che ancora cercano tenacemente di tenere vivi antichi saperi, arcane tradizioni ereditate dai nostri nonni e bisnonni, quelli che il tabacco lo portavano regolarmente, quelli che allungavano il brodo col vino rosso per dargli sapore e si nutrivano con polenta, qualche fetta di salame, pane “miseria” e ciò che la natura offriva. Si avvertono profumi che parlano di un passato andato e di un presente che non annuncia, purtroppo, nulla di piacevole. In terra di fiume ancora si cerca di restare saldamente ancorati alle nostre identità più vere ed autentiche, tra molti ostacoli: purtroppo spesso messi anche da gente che qui ci è nata, ci vive ma ha svenduto la nostra identità, anche a tavola, anche nel linguaggio. Questa è terra fatta per chi la sa vivere ed apprezzare; sono ambienti di cui devono parlare e scrivere coloro che ci sono nati, ci vivono e li vivono. Questi, va ribadito fino alla nausea, sono posti in cui non esiste nessuna “location”, ma solo e semplicemente luoghi che sono da vivere, cogliere ed apprezzare nella loro più intima e vera essenza. Sono da percorrere a piedi o in bicicletta, sporcandosi abiti e calzari, Sono luoghi in cui è necessario fermarsi accanto ad ogni muretto, ad ogni cascina, ad ogni casa colonica, ad ogni chiesetta, ad ogni crocevia perché in ogni dove puoi incontrare pietre che parlano, intrise di tracce di storia. Bisogna entrare nei cimiteri di campagna, osservando e studiando le lapidi, scrutando i volti genuini e belli di chi ci ha preceduto, fermandosi a leggere, parola per parola, il contenuto di tante lapidi che spesso narrano di storie ai più sconosciute. Quando poi desideriamo assaporare piatti buoni e genuini è bene andare alla ricerca delle vecchie osterie di campagna, lasciando perdere le “food experience”: osterie e trattorie sono sufficienti e rappresentano il meglio della nostra cucina e del nostro cibo che si chiama, appunto, “cibo” e non food. Ci sono gli aperitivi, fatti con qualche buona fetta di salame, pane casereccio e vino in scodella: altro che “appetizers” ed “happy hour”. In terra di fiume si deve tornare ad essere autentici, ancorati alle nostre identità, anche facendo buona memoria e buon uso di quel “Tornate all’antico e sarà un progresso” pronunciato dal maestro Giuseppe Verdi, uno della nostra terra. Bisogna sapersi sporcare gli scarponi in terra di Po e sentire la forza della brina che ti fa vibrare le dita dei piedi; si deve apprezzare il volo della poiana, si deve ascoltare il canto dei germani intorno alle lanche e saper vivere in pienezza, e in silenzio, le ricchezze dell’essenziale. Quell’essenziale che, con l’arrivo della bella stagione si colora e si profuma con la delicatezza e la meraviglia delle erbe e dei fiori spontanei e, ancora una volta, ogni più piccolo dettaglio della natura è una grazia, mai scontata e mai dovuta, che ci viene donata. Perché ogni pietra che si incontra lungo una spiaggia è un pezzo di storia dei nostri padri che chiede solo di essere conosciuta. In tutto questo impari e ricordi che il fiume e il suo ambiente chiedono, semplicemente, rispetto: quello che purtroppo manca. Del resto se le persone non si rispettano tra loro, come possono rispettare l’ambiente in cui vivono e di cui sono ospiti? Chiede rispetto il fiume, chiedono rispetto i suoi boschi, i suoi animali, i suoi fiori e le sue piante. In cambio offrono uno spettacolo che, in ogni tempo e in ogni stagione, per le sue peculiarità, è un privilegio poter continuare ad osservare, fuori dai baracconi in cemento e a costo zero. Nel suo silenzio il fiume ti invita a ricercare sempre, e ovunque, quello stesso silenzio perché è così che troverai quelle risposte che cerchi, consapevole che è quella la forma più alta della parola. Nel suo scorrere costante ed incessante verso il mare, il fiume ti insegna a cercare sempre, in ogni istante, la meta e il senso della vita che ti è donata, non dovuta e mai scontata, percorrendola in pienezza. Nel suo passaggio contornato da pioppeti e piccoli borghi, il fiume ti insegna la bellezza di saper stare in disparte, senza mai cercare di stare al centro dell’attenzione. Nella sua stessa naturalezza il fiume ti insegna a ricercare sempre il vero e l’essenziale, tralasciando il superfluo, il vano e l’esteriorità. Nel suo nutrimento che è l’acqua, il fiume ti rimanda alla fondamentale preziosità del Creato, e alla necessità costante della sua tutela, ripercorrendo le parole di San Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature “Laudato sì, mì Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”. Nel suo essere, da sempre, fonte di vita, il fiume è custode tenace e vitale delle sue genti e delle loro sorti. Nel suo essere scrigno di storia, di saperi e di tradizioni il fiume ti ricorda di fare sempre tesoro del passato, studiandolo e conoscendolo, per costruire il futuro. Nel suo essere protagonista autentico e vero delle terre che attraversa, il fiume ti insegna ad amarlo, conoscerlo e rispettarlo sempre, custodendolo con consapevolezza. E quando un tramonto sancisce la fine di un giorno e l’alba dipinge l’arrivo di quello che viene, il fiume ti ricorda e ti insegna che Tutto è Grazia e ciò che hai di fronte è un dono. E si ricordi infine, va ribadito, che il fiume è per chi ci è nato, ci vive, lo vive e lo racconta in dialetto o con la lingua di Dante”.
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